Bologna di ieri

Bologna di ieri Bologna di ieri i i — Di quasi tutte le grandi e le minori città d'Italia si può dire quol che Sebastiano Soni scrivo di Bologna {Bologna d'ieri, Zanichelli, ed.) : « Nel breve volger di una trentina d'anni s'è mutala in guisa da esser quasi irriconoscibile per fino a noi, che pur vivemmo durante questa sua prodigiosa trasformazione la nostra infanzia e la nostra giovinezza». Dall'anno dell'Esposizione, 1888, a quello della guerra, il mutamento ò compiuto. La « grezza » Bologna diventa mercantile ed industriale. Fissare la fisionomia d'una città, Anch'essa è viva nella memoria d'un cittadino che conobbe intimamente e visse la vita politica, sociale, .artistica, elegante, mondana, della città stessa, è bene per la futura storia civica ed è dilettoso per i contemporanei. Via Rizzoli Parlando ad esempio di via Rizzoli, la grande arteria df Bologna, il Sani ricorda quel Caffè del cacciatori, il quale, dopo quasi un secolo di vita, chiuse i suoi battenti nel settembre del 1915. Il caffo fu aperto nel primo decennio dell'800, e si chiamò Caffè Ungherese. Ne era proprietaria una donna, la quale aveva bizzarramente arredato il locale non con quadri, specchi, o stampe, ma con gabbie di uccelli. Perchè mal? Non si sa. Verso il '59. il caffè passò in proprietà di un'altra donna, Carlotta Machiavelli, ricordata come una delle bellezze del suo tempo. Le sue simpatie erano per l'esercito, e gli ufficiali le ricambiavano la simpatia, infatti l'Ungherese, che aveva accolto nelle proprie disadorne stanze i primi fautori dell'unità Italiana, ospitò non soltanto il generalo Cialdini con gli ufficiali del suo stato maggiore, ina i più ardenti patrioti bolognesi, da Gioachino Pepoli a Berti Plchat, al marchese Potenziane e tutta una schiera di giovani animosi. Dopo il '66, il caffè si rinnovò. A tempi nuovi, locali nuovi. Non si chiamò più Ungherese, nome che puzzava di austriaco, ma Caffè dei. Cacciatori. Verso il '67, la bella Carlotta scomparve, e il caffè fu assunto dal Riguzzi, il quale restaurò a nuovo l'esercizio e lo vide affollato da rappresentanti di tutte le classi cittadine, professori, aristocratici, patriotti, sfaccendati, scrittori, avvocati, uomini politici, giornalisti, artisti, mercanti, cavallari, cacciatori. Ogni gruppo aveva un angolo, un tavolo. Per gli intellettuali, il salone rettangolare, che dopo essere stato decorato da Beniamino Lolli, fu chiamato salone di Diana. Gli uomini d'affari stavano nella sala d'ingrosso, insieme con i cavallari e gli sportsmen. In quella sala d'ingresso si vociava come in Borsa. E c'ora il gruppo carducciano, ma Carducci vi indugiava poco, mentre Poscoli, Ferrari, Rugarli e Brilli, erano più assidui. In un angolo, appartato da tutti, non disturbato dal chiasso, il dantologo Landoni leggeva il giornale col (oglio quasi sotto al naso, a cagione della forte miopia. Corpulento, massiccio, la barba incolta, il cappello sulla nuca e l'abito costellato di macchie, leggeva attentissimo le notizie politiche. Il Salone di Diana ospitava gli artisti; era il cenacolo serotino e pomeridiano. Da Semprini Al Cacciatori gli studenti poi avevano stabilito il loro quartier generale. Fra essi s'era formata una compagnia detta « La banda di Stefano Pelloni », ed era capitanata da 7.1gnanl e Salaroli. Questi, al sabato, vestito con accurata eleganza soleva mettersi all'Angolo del Podestà con una valigetta auerta in terra, improvvisandosi ciarlatano venditore di cosmetici. Alla fine del suo discorso, mentre gli ascoltatori si attendevano di vederlo cavar fuori chissà quale medicina miracolosa, egli concludeva la ciccronata con uno sberleffo. Un delegato di questura non riusciva a mandar giù quello scherzo di cattivo genere, cosi frequentemente ripotuto, ed una volta, trovandosi nel pubblico, gli gridò: « Vagabondo, va a lavorare ». Ne nacque una lite ; Salaroli e Zignnni vennero acciuffati e condotti in Questura, ma durante il percorso i due giovani fìnsero di azzuffarsi fra loro, e, dandosi furibonde botte, riescirono a sfuggirò allo stupito delegato. Faceva da terzo in tale bizzarra compagnia, un marchigiano. Mosca, del quale si racconta che, visto un giorno in via Rizzoli un forestiere enormemente panciuto, gli corse incontro col bastone impugnato come una sciabola, e urlando come in sala di scherma, 10 tambureggiò di velocissime puntate. Una mattina, poi, spaakneò la finestra, o in camicia come era si mise a far la ginnastica fuori della ringhiera, sgambettando penzoloni ; a tale orribile vista, le donne scapparono strillando; la strada si affollò e fu necessario l'intervento di due questurini. In via Caprarie, da Semprini, la popolarissima trattoria non era nata li. Prima dell'88, 11 suo proprietario aveva una specie di gargotta, in via Mazzini, dove serviva vino e fagioli lessati. Sali poi da oste a trattore, e cominciarono ottimi affari. Studenti, artisti, giornalisti e bohemien» si raccoglievano al Semprini. Ivi capitavano le giovani reclute del socialismo bolognese e nazionale. Quello che divenne il riformismo italiano se non nacque da Semprini, vi crebbe in scapigliata giovinezza. Ne era capo Carlo Vezzani, direttore a Bologna della succursale della ditta veronese Trezza. Molti frequentatori del Semprini sono pervenuti ad alte fortune politiche. Vi capitava anche il futuro on. Monomi, Berto Barbarmi! vinse un concorso per la più forte ingiuria da pronunziar come saluto ul più autorevole fra i presenti; gli ospiti si chiamavano Guglielmo Ferrerò, Olindo Malasorti. Camillo Pronipolini, En rico Ferri, Berenini, Emilio Saffi. Il giuoco del pallone II giuoco del pallone aveva por sè la sua arena. La passione per il giuoco del pallone risale, come è noto, al Rinascimento ; i giovani delle prime famiglie di Bologna si addestravano al palleggio e facevano a gara, con il contatore e gli arbitri, su nel Salone del Podestà cho fu il primo sferisterio, ciòIII fa comprendere che le gare avvenivano e e l e o n , a i e . o e i , senza grandi colpi. Nel 600, si giuoco in piazza del Mercato, ora piazza Vili Agosto ; si ha notizia di una partita fra bolognesi e floretnini con la po6ta di 75 zecchini, e col patto della rivincita a Firenze. Ed i bolognesi vinsero a Bologna e perdettero a Firenze. Alla fino del 700 e al principio clell'SOO il giuoco divenne popolare, interesso tanto la cittadinanza che un gruppo di dilettanti, stanchi di palleggiare nei prati del forese, o nella piazza del Mercato, ottennero dal Comune la costruzione dell'Arena, che, secondo il preventivo, avrebbe dovuto costare tredicimila scudi romani. Ma i denari non bastarono ; si dovettero emettere azioni di scudi 2,60 l'ima Cosi fu costruito lo sferisterio, inaugurato nel marzo 1821, da due compagnie composte dai più celebri giuocatori dell'epoca. Ma sul più bello della partita la pioggia venne abbondante e disperse gli spettatori. Verso il '-50, l'Arena fu trasformata in circo equestre. Dal 72 all'82 Domenico Bossotto, fu famoso nel giuoco del pallone. Deposta la divisa da bersagliere, impugnò il bracciale ; mostrava di possedere, oltre la totale conoscenza del giuoco, una straordinaria resistenza. 11 suo colpo a man rovescio, in risposta all'» tergo dello Zlotti strappava applausi d'entusiasmo. Ebbe il balzo piuttosto corto e per allungarlo tirando, si valeva spesso del salto. Il pallone partiva con violenza dal suo bracciale e il principe Corsini ne ebbe una volta fratturato il braccio destro. _ Tonino li Caffè dell'Arena, prima di diventare caffè era stato bottega da fornaio. Una mattina d'invernò un operaio della Fabbrica Manservisi, entrò nella bottega mezzo assiderato, e chiese per favore una bevanda calda. Gli dettero una tazza di caffè. La mattina dopo, lo stesso operaio tornò, in compagnia di due o tre amici, ed il fornaio servi a tutti la bevanda calda, ma se la fece pagare : e fu questo l'inizio del suo nuovo mestiere. Gli avventori divennero'dieci e venti; agli operai di Manservisi si aggiunsero le massaie mattiniere, ed il fornaio decise senz'altro di cambiare l'insegna ; poi, dive nuto alauanto agiato, cedette il negozio ai fratelli Nerozzi Raffaele e Tonino, i quali procacciarono al caffè una clientela nume rosa. Tonino era di quegli uomini con i quali si chiacchiera volentieri ed al quale si affidano i propri! segreti. Egli areva conosciuto tre generazioni di artisti: da quella che si estinse con Giovanni Emanuel, a quella che ebbe per primo esponente Ferruccio Garavaglia ; il suo caffè era stato la casa, l'albergo, il restaurant, l'agenzia di affari, il luogo di villeggiatura, il casino da giuoco di tutti i poveri diavoli della scena di prosa, che vi capitavan dentro da ogni parte d'Italia. Chi non ha visto Zacconi giuocare lo scopone, non sa cosa sia un uomo in profonda meditazione. A capo chino, col cappello sulla nuca, gli occhi irrequieti, che vanno dalle carte che ha In mano a quelle sul tavolo, e da queste al viso dei compagni di giuoco, 10 Zacconi pare che si sforzi a indovinare 11 segreto della fortuna ; non parla, ma ad ogni carta calata, ad ogni mossa dol compagno il suo viso dice tutto quello che passa nel cervello, e se la partita diventa difficile alza una delle sopracciglia che, contratta verso la radice dei capelli, diventa un punto interrogativo, minaccioso, inquieto, in mezzo alla fronte. Finito il giuoco — narra gustosamente Sebastiano Sani — muta faccia ed umore, ridiventa sereno. Al caffè andava per passare un paio d'ore, per lo più di giorno, durante i mesi di riposo. Ermete Novelli teneva circolo volentieri. Rare volte Ferruccio Benini si recò al Caffè dell'Arena. Ma quando vi si recava, andava a sedersi accanto al tavolo dt Tonino, e li, mezzo nascosto dietro il tavolino, riceveva gli amici con garbo e finezza come se fosse in un salotto. Giunta l'ora di andare a teatro, sgusciava via in fretta distribuendo inchini e sorrisi. U tavolo di Scniedermaier Discorrendo di Bologna nell'ultimo cinquantennio, non si può dimenticare quel che la città ha rappresentato, in Italia, nel movimento musicale e culturale. Il Sani, a proposito delle persone addette ai Liceo Musicale, ricorda, fra gli altri, il Cadollni. che faceva parto dell'Amministrazione. Preposto alla distribuzione dei libri, adempiva al proprio ufficio con severità implacabile. In ogni lettore egli vedeva un acerrimo nemico, e consegnava i libri col gesto dell'avaro che consegna ad altri una parte del proprio tesoro. Nella sala di lettura imperava da despota. Guai a parlare : non poteva soffrire nemmeno il raschiare delle penne. Non era loquace. Con poche parole annichiliva colui che lo aveva disturbato e aveva turbato 11 silenzio delle sale. Un giorno, capitò al Liceo, un tedesco, il quale lo fece molto lavorare a portare libri ; finite le consultazioni, il forestiero lasciò sul tavolo uno scudo ; egli non se ne accorse : quando vide là moneta, capi di che si trattava: corsa dietro al tedesco, ma non riuscì a raggiungerlo ; allora fasciò la moneta in una carta, la conservò, brontolando: « Quando torna, sentirà ! » E quando egli tornò gli restituì solennemente la moneta. C'è ancora al Liceo il tavolo su cui il dottor Schmidele trascrisse libretti d'opera, e porta appiccicata questa epigrafe manoscritta con la quale il Caclolini, non senza ironia, eternava l'assidua fatica : « Cosi logorato da braccio tedesco per tre anni (lftO-i-1907), in moto continuo, come una macchina, a trascriver libretti d'opera pel musicologo dottor Schiedermaier ». Ma se si volesse continuare, spigolando nel dilettoso libro del Sani, capiterebbe di trascriverlo tutto.