La vita l'opera del Maestro

La vita l'opera del Maestro La vita l'opera del Maestro Tanto sono vive nell'anima e davanti agli occhi delle folle italiane l'axte e rimaglile di lui òhe non occorre davvero sollecito elogio rtevocatore. Comunque si giudichi l'opera sua, il rimpianto sarà cordiale e universale, poiché fu artista gentile e onestamente laborioso e recò il nome d'Italia nei più lontani paesi. E risuonino oggi soltanto le voci del cordoglio e le espressioni della simpatia. Del resto, un discorso che non volesse essere soltanto elogiativo, anzi adulatorio, non potrebbe che riporre In discussione quegli argomenti che alcuni, pensosi di storia e di valutazioni personali, già opposero alle manifestazioni collettive: l'ampiezza e l'intensità dello spirito drammatico dell'artista Puccini, la sua concezione del melodramma, 1 problemi della sua arte, il suo divenire. Tali discussioni avrebbero potuto, forse, orientarsi in modo nuovo coni la conoscenza dell'opera ch'egli lascia incompiuta; ma esse saranno riprese, quando sia chetato il clamore degli entusiasmi e condurranno probabilmente, a traverso una pacata revisione dell'opera diluì, alla scelta definitiva d'un fascio di pagine musicali ov'è racchiusa una personalità artistica di non comune valore. Quella che fu la giovine acuoia italiana, 6orta fra l'Otello e 11 Falstaff, già privata del Catalani, perde oggi il suo più popolare compositore; poiché le statistiche mondiali del teatro presentano avvicinati, nelle cifre, 11 Puccini e il Verdi. La scomparsa di lui toglie certo una probabilità, alla divulgazione della musica italiana e recide un altro filo alla tradizione del melodramma ottocentesco. Torino, che terme a battesimo le sue più vivaci opere, Manon e Bohème, e che d'un'amarezza lo compensò poi con la più fedele simpatia, s'associa al lutto delle città e dell'arte italiana, " Un garzoncello ,, H bisnonno, tfl nonno e il babbo di Giacomo furono musicisti. E Giacomo li ricordava volentieri. Un suo omonimo, nato a Lucca nel J712, fu organista e compositore, socio della Filarmonica bolognese; Antonio, fu pure organista e compositore nella Cattedrale e nella Cappella Palatina di Lucca; Domenico, che studiò col Mattel e col Paisieilo, compose opere e acquistò fama di buon organista, lasciò un figliuolo, Michele, allievo del Mercadanto e dal Donizetti, poi ispettore dell'Istituto musicale di Lucca e Insegnante, compositore assai lodato dal Pacini. Quando Michele mori, Giacomo aveva sei anni, essendo nato il 23 dicembre 1858, a Lucca. In morte di Michele lo stesso autore della Saffo diresse la propria Messa da Requiem e pronunciò un elogtio, nel quale alluse al piccolo Giacomo dicendo : « Voi volgerete un pensiero all'ottuagenaria madre, a cinque tenere fanc lunette, ad un garzoncello, solo superstite ed erede di quella gloria che i suoi antenati ben si memtarono nell'arte armonica e che forse egli potrà far rivivere un giorno ». Uno zio, Magi, s'assunse la cura d'educare musicalmente il piccino, facendolo cantare da contralto. Che Giacomo amasso molto la musica, nel primi anni, non risulta; sembra anzi che lo zio stentasse non poco nel costringerlo allo studio. Infine, l'organo lo attrasse, e, come i suoi antenati, fu organista, allievo di Carlo Angeloni; alle cerimonie m chiesa fu assiduo accompagnatore di solisti e di cori; suonava anche il piano, fj/i poco a poco sorgeva la passiono musicale. Un'audizione dell'Aida lo decise. S'era recato a piedi fino a Pisa; ascoltò l'opera verdiana, ne fu scoeso. E decise di andare a Milano. La mamma gli ottenne un sussidio dalla Reglna Margherita, un prozio gli promise qualche sovvenzione. Ed ecco nell'81 Puccini, a Milano, nel Conservatorio. Abitava una stanzetta nel vicolo San Carlo, o con lui dimoravano anche un fratello ed un cugino; ma almeno erano in tre a pagare l'esigua somma del fitto! Giacomo aveva conto lire al mese, per suo conto. . Mangio maletto — scriveva alla mamma — ma mi riempio di minestroni, brodo lungo... e seguitata La fame non la paio ». In altre lettere, a bastanza serene, mai sconfortate, imprecava giocondamente ad « freddo cane », sospirava « un pastrano di quelli belli di Bocconi ». E si consolava con i compagni non più ricchi di lui; fra essi era Pietro Mascagni. Intanto dava lezione di pianoforte, studiava al Conservatorio, pensava alla prima opera. L'Aida verdiana aveva eccitato la sua fantasia musicale e l'Aida milanese lo... nutriva. Cioè l'osteria dell'Aida, che ebbe fama appunto por certi suoi clienti: Puccini e Mascagni. Puccini v'accorse, attratto dal nome e dal sottotitolo : « Trippe e cannelloni » ; stava in via Torino, fondata da un Gigi Mennini fiorentino. 11 Puccini ricordava con simpatia quegli anni di bohème, col b minuscolo... Creda, Shè la stoffa „ Quarant'aiini fa ti solevano bandire, in Italia, molti concorsi teatrali. No era 6tato indetto, appunto, dal Teatro illustrato, uno che doveva scadere alla mezzanotte del 31 dicembre 1884. Puccini, appena uscito di Conservatorio, si sentì proporre dal 6uo maestro di composizione, Amilcare Ponchielli : < Concorri anete tu ». Occorreva un atto, poetico e teatrale che costasse poco, magari niente. DI qui una specie di congiura a Magglanico, presso Lecco, nella villetta in cui Ponchielli, in un giorno d'agosto, riunì alla stessa tavola, per presentarli l'uno all'altro, Puccini e il librettista Ferdinando Fontana. C'era anche il poetv di Aida, Ghislamzani, ma quello si limitò a dare al giovane maestro, pieno d'appetito e di fervori musicali, un consiglio gastronomico: « Tacchet a quell,, gli disse quando apparve in tavola un pomposo piatto di salame. E fu provvidenziale suggerimento, perchè l'antipasto costituì il pezzo forte del convito dal quale usci anche l'accordo tra Fontana a Puccini: — Si — disse il librettista — avrei un atto scritto per un certo ma'.'sUQ Quaranta che non no fa nien¬ -■ te. Se mi riesce di levarglielo, lo do a lei. Quaranta mollò il libretto — Le Villi — che passò a Puccini Le Villi sono fate maleflchi: dimoranti nelle selve ove danzano tregende, inscenano ridde infernali e ghermiscono gli umani colpevoli di peccati contro l'amore. Una delle sirene s'invaghisce d'un montanaro della Foresta Nera, Boberto, e per separarlo dalla sua fidanzata, Anna, gli appare in forma di matrigna ricca d'oro e di possedimenti, tutto cose di cui lo lascia erede. Per sposare Anna, ii montanaro vuole prima recarsi presso io matrigna per procurarsi il tesoretto che, poi, gli assicurerà una vita coniugale prosperosa e serena. Quando la matrigna si svela una leggiadra creatura, Boberto, ghermito dalle perfide lusinghe, pecca d'infedeltà ed Anna, sotto la percossa del tradimento, muore. Il padre della fanciulla, in una sua invocazione di vendetta, è ascoltato dalle Villi che circondane Boberto, allorché torna al paese natio, lo stringono in un cerchio malefico, travolgendolo nella ridda infernale. Puccini portò il libretto a Lucca e lavorando febbrilmente dall'agosto al dicembre, arrivò all'ultima sera dell'anno che ancora la partitura non era ultimata. Se l'avesse spedita il di dopo, la sua partecipazione al concorso indetto a Milano non sarebbe riuscita più valida. Mentre il compositore tracciava febbrilmente le battute del finale, le sorelle, la madre e l'amico, maestro Cairignani, aiutavano a ricopiare. Poi, via, alla posta, appena in tempo per cacciare 11 prezioso plico nel sacco della mezzanotte. Quando, qualche tempo dopo, l'autore tornò a Milano, ricorda un biografo, Incontrò in Gallerìa 11 6uo librettista : « Andiamo a gonfie vele. Dalle indiscrezioni che corrono sul concorso sembra che l'opera vincitrice abbia un soggetto a base di fate, demoni... Caro mio: è la nostra ». Invece era un'altra: la Fata del Nord di Zuelli. Avvilimento, costernazione. Però il buon Fontana riuscì'a procurare a Puccini una audizione in presenza di AiTigo Botto, e In casa del gentiluomo milanese Marco Sala. L'effetto fu che Boito si fece promotore di una sottoscrizione per mettere in iscena le Villi. Boito, Sala, Emilio Treves, Carlo Vimercati ed altri si quotarono per cinquanta lire ciascuno. Giunsero altri rinforzi e con 250 lire furono noleggiati costumi dt contadini — quelli della Sonnambula — e alcuni metri di garze per vaporare un poco le vesticciuolie delle Fate più o meno malefiche. Durante le prove al Dal Vprme, -essendo l'orchestra risultata scarsa d'istrumcntì, vari ex-collegnì del Conservatorio Verdi si offersero amichevolmente di suonare e il maestro Panizza d'allora — che non ha alcuna parentela con l'attuale e che ispirò a Ferravilla il tipo del Pastìzza — fu ben felice di annoverare qualche violino in più e una viola come il ptoI. Andreoli. Il libretto fu stampato pure gratuitamente da Giulio nicordi che alla prima rappresentazione mandò, in galleria, un suo impiegato, un esperto, il quale tornò all'indomani dal Sclur Gitili, dicendogli: — Creda, ghè la stoffa! L'opera, che ebbe molto successo, acquistata dal Scinr Giuli, fruttò duemila lire che Puccini sparti nel modo seguente: mille al librettista; trecentooinquanta alla trattoria dell'Aida nella quale pendeva un conto per una filza di colazioni e cene consumate in attesa della gloria. OltTe le duemila lire, il maestro ebbe incarico di scrivere una seconda opera che fu YF.dgar. Ma questa non ebbe fortuna alla prima rappresentazione, alla Scala, 21 aprile 1889, e scarso favore incontrò nelle riproduzioni in altre città. Del libretto, pure del Fontana, il Pucoini non fu mai convinto. Vi lavorò attorno quattro anni, senza riescìre a penetrarlo. V'era un che di convenzionale nei personaggi, un che di simbolico nell'ambiente; e tutto ciò lo lasciò freddo. L'opera fu poi rimessa In iscena, nel 1905, a Buenos Aires, con molte innovazioni. Ma non piacque allo stesso Puccini: » E' minestra riscaldata, l'ho sempre detto. Ci vuole un soggetto che palpi*" e ci si creda, non le panzane ». " HUnon ,, a Torino Un soggetto? Marco Praga gli suggerì una commedia di Shakespeare. Puccini 6i riserbò di decidere. Egli si sentiva attratto verso il dramma sentimentale, verso il patetico, senza colpi tragici e senza simboli. Non è a stupire se risalisse alle fonti della commedia lagrimosa e so, malgrado il successo vastissimo della, Manon di Massenet. sceprliesse appunto l'eroina patetica dell'abate Prévost. Letto il romanzo francese, ne fu colpito. Ne parlò a Marco Praga, il quale 6'affrettò ad abbozzare un libretto comprendente gli episodi più significativi del romanzo e quelli più melodrammatici. Poscia alla redazione del libretto concorsero: Domenico Oliva che fu, in massima parte, ff^versitlcatore, Giulio Bicordi, che scrisse qualche strofa, Luigi Ulica, vhe rimaneggiò alcune scene: lo stesso Puccini vi collaborò. Ma quando si trattò di scrivere sul frontespizio del libretto il nome dell'autore, nessuno dei collaboratori volle tale privilegio. E però ili libretto è restato anonimo. Puccini si poso al lavoro con ardore ; vagando fra Milano e Lucca, Torre del Lago e Chiasso, il compositore compì saltuariamente l'opera, avendo musicato il quarto atto prima del terzo; dovette poi accorciare di molto il quarto. Intanto Puccini cominciava a godere una certa agiatezza. Appunto a Chiasso aveva affittato una villa... che di villa aveva solo il nome. Egli ricordava or non è molto che quella cnsjna aveva solo tre stanze: «a pianterreno la cucina, al primo piano la camera da lello per me e la moglie, e sotto al tetto i lettini dei miai figliuoli Tosca e Tonio. C'era lo studio... Di giorno la nostra camera da letto ' diventava lo studio, e qualche pranzo o salone di ricevi- volita sai» da mento.., ». Il terzo atto di Manon fu terminalo nel Al primo di febbraio dell'anno seguente l'opera era rappresentata al nostro Reqìo, diretta dal maestro Pome, protagonista la Ferrtuii; Cremonini era- Des Grleux. Il suc cesso fu entusiastico. Nelle colonne della Gazzella V'uniontese il Depanis così riferiva la cronaca, rinviando lo suo riserve ad un successivo articolo : • Finalmente ieri sera pareva di essere ritornati ai bei tempi del teatro Bcgio quando il nostro pubblico ara chiamato a dare il battesimo ai nuovi lavori ; nell'ampia ed elegante sala circolava come un alito di vita nuova od erano «onversazloni animate ed erano discussioni preventivo, tutto quel susurrìo e tutte quell'agitazione che accompagna i grandi avvenimenti e che sogna le grandi battaglie « Si poteva temere che la coincidenza di un ballo nel Palazzo Chiablese presso la Duchessa di Genova e della festa dello Zodiaco ner gli Asili notturni avessero a spopolare il teatro; invece questo presentava uno splendido colpo d'occhio, massimo nelle poltróne e nei posti numerati, gremiti. La stampa italiana in genere e quella milanese in specie vi erano largamente rappresentate e numerosi erano pure i forestieri. Tra gli altri formava l'oggetto dell'attenzione del pubblico il palco numero 11 dà seconda fila a destra, dove erano le signore Bicordi, moglie e nuora del celebre editore, e dove s'era sparsa la voce che vi fosse anche la Patti: alcuni andavano oltre e, non contenti della Patti, vi aggiungevano anche Giuseppe Verdll... L'immaginazione è una maliarda che fa di simili tiri I « Le ultime parole di Manon implorano dal cielo l'oblio delie sue colpe e richiamano nell'orchestra il tema del minuetto del secondo atto che quasi più non si riconosce tanto è cupamente funebre, Manon muore, di nuovo le quattro battute dell'Introduzione nella idesntica tonalità ritornano a richiamare l'idea dell'infinito e la parentesi è chiusa e l'onera finita. Ma non finisce cosi presto l'ovazione del pubblico. Il diapason dell'entusiasmo sale ad un livello altissimo : si grida, si urla, si vuole ii Puccini per sei volte alla ribalta, ed il Puccini appare commosso dinanzi ad un'accoglienza calda, spontanea di quella fatta. Tirate le somme, abbiamo venticinque chiamate e due bis : il numero importa poco, ma vi 6ono i dilettanti di statistica e faccio l'addizione per loro ». Mentre continuavano le repliche al Begio numerosi cittadini torinesi organizzarono un banchetto al trionfatore. Puccini, che era tornato a Milano, riparti per Torino. Durante il viaggio una grave preoccupazione lo prese: — Dovrò certamente parlare, ringraziare! Ahimè I — Ma egli non sapeva improvvisare; a prepararsi un discorso c'era pericolo di scordarselo. Il Maestro narrò ad un suo biografo di una sua idea : scrivere poche parole. E per averle sott'occhio al momento buono si mette a scriverle a matita sul polsino sinistro della camicia, raggiante per la trovata studentesca. Poi rilegge. E' una cosa commovente: breve, ma commovente. Il discorso comincia con molta eleganza: •— Poche parole mi riesce di raccapezzare... » e avanti. Il resto del viaggio è felicissimo. Puccini si guarda spesso il pol6o sinistro, ed ha la persuasione di saper tutto a memoria. Si è al banchetto. Convitati distintissimi, sala magnifica, servizio sbalorditivo. Complimenti, sorrisi. Gli intimi g battono familiarmente sulle spalle per compiacersi. Puccini non ha mai ricevuto tanti pugni affettuosi come in quella sera. Egli sta fra il senatore di Sambuy e il sindaco Voli, e scruta ogni tanto il polsino salvatore. Brindisi di qua, brindisi di là': parlano tutti come angeli. Il Maestro comincia a sudare, e pensa fortemente: » Poche parole mt riesce di raccapezzare... ». — Parli Puccini I Parli Puccini I Puccini arrossisce, nicchia un poco, e finalmente deve alzarsi. E come guardare 11 polsino in mezzo a tutta quella gente che lo scruta fiduciosa? Puccini si sente mancare, abbozza un 60rri60 amaro e dice con voce soffocata : — Grazie a tutti I E si slede di colpo, sotto il peso della sua eloquenza. Ma nel dire «grazie a tutti » e»<i ha fatto con la mano un gesto cosi basso sulla tavola che cinque o sei bottiglie e altrettanti bicchieri ne vengono rovesciati, aumentando il disastro. "La Bohème,, a Torino Non poche peripezie precedettero la n>^clta della Bohème. Innanzi tutto, il diritto di precedenza a trattare quell'argomento fu cagione di controversia fra il Puccini e il Leoncavallo, il quale già da tempo aveva pensato al romanzo del Murger. Ad un punto il conflitto fra 1 compositori assunse tono quasi aspro. Per caso, una sera, trovandosi alla Birreria Trento nella Galleria De Cristoforis. a Milano, Puccini e Leoncavallo vennero a discorrere appunto della Bohème. L'autore dei Pagliacci si affrettò a fare pubblicare nel Secolo che egli già lavorava ad un libretto tratto dal romanzo francese. Sperava cosi di assicurarsi il diritto di precedenza Subito dopo il Puccini faceva stampare dal Corriere della Sera che egli stava musicando la Bohème. Certo è che Puccini, si affrettò a comporre l'opera. Senza aver ancora il libretto, vagheggiava già qualche scena, e senza aver guida di versi o di frasi scriveva la musica, come gli veniva. Il valzer di Musetta fu infatti scritto 6U una filza di parola quasi senza senso che lo stesso compositore aveva improvvisato, tanto per seguire un ritmo e modulare qualche spunto. Quando poi Giacosa ed Ulica cominciarono a lavorare attorno al libretto, l'impazienza di Puccini fu vivacissima. E il lavoro procedeva rapidamente. « Sapevo già — ricordava poi l'editore Giulio Bicordi, presso il quale si radunavano i librettisti ed il compositore — di assistere ad una intima festa d'arte. Giacosa apriva lo scartatacelo e leggeva con voce bella e sonora, con sillabazione chiara e perfetta. E quante volte nelle scene patetiche si finiva i>er fare un quartetto lacrimosoI E tal'altra, invece, si rideva di gusto a qualche scena gioviale. Tutto questo eccitava sempre più la fantasia di Ulica, il quale seduta stante trovava scene, dialoghi, atti intieri, tantoché il libretto avrebbe potuto duraie otto, dieci, dodici ore... ». Discorrendo della composiziono, il maestro ricordava: « Quando mi misi a descrivere Iti morto di Mimi, e trovai quelli accordi scuri e lenti, e li suonai al piano, venni preso Ua rnmBnpcpsdtapzerUpgslrsvnlvcrtistgafideedsccnbcqzccèavglalcppPtcrurpfeDcssaupepbmtblgoddcgnqspmmnbsadtbpprFdscdabotrnadBIdg1Raesiadgd o l o a o a . e ^ e i l a n i o a i l o è o a a o , , d e o o n l ! ; i . o a e a , i i e i , l o , e a i o i l a . a e e ia a l i r i . o a a e o i o l , o i i a una tale commozione che dovetti alzarmi, e in mezzo alla sala, solo, nel silenzio della notte, mi misi a piangere come un fanciullo. Mi faceva l'effetto di over visto morire una mia creatura ». L'opera andò In tscenn al nostro Beglo II 1.0 febbraio 1806. « Alle prove di Mannn — ricordava il Puccini — il successo si presentiva. Era nell'aria. A quelle di Bohème, invece, 6l stava zitti. SI diceva: ma, forse, vedremo... Biuscirono ad agghiacciare anche me, che pure avevo in quella mia creotura una grande fiducia. Alla prima rappresentazione mi recai con la stessa allegra disposizione d'animo con cui si deve andare al supplizio. L'esecuzione era eccellente. Dirigeva Toscanimi: Mimi era la Ferrani, Rodolfo il Gorga, la Pasini Musetta, 11 baritono Moro. L'opera piacque, ma senza entusiasmo ». E neppure a Boma sollevò entusiasmo, diretta dn.l Mascheroni. Trovò accoglienze trionfali a Palermo. Dirìgeva, al Massimo, Leopoldo Mugnone, il quale, assai superstizioso, non avrebbe vo'uto andare in scena nel giorno fissato poiché era un venerdì ed il 13 òrti mese. Ma Puccini resistette o da quelU volta il successo fu assicurato. Era la una quando finì l'ultimo atto, ed il pubblico entusiasta indugiava nel teatro, chiedendo a gran voce II bis del finale. Ma i suonatori avevano abbandonato frettolosamente l'orchestra e soltanto pochi di essi rimanevano nella saila. Mugnone, risalito al podio e radunati 1 pochi strumentisti, attaccò il finale. Accorsero in scena la Sthcle e fìarbln cuscESstapFdsdjrj dcomrprl'e vQspMtolaIogtuqtrzMhnì'e'Rodolfo,' che" avevàno"sàà còmincrito Sfa svestirsi, l'una discinta, l'altro senza par rucca, e ripetettero il duetto. udmnaLa bomba di Roma IMonnirr» fmtiiTinf iwdmn fu l'inlvln della i dneppure 'animatissimo mi inizio aena. ISca. Correvano VOCi ostili all'autore ed al- ìnto sca l'opera Si prevedeva battaglila, ai Costanzi la sera del 14 gennaio 1900. E perciò, come è facile intendere, Puccini era di malumore, ed inquietissimi erano gli esecutori ed il direttore, lo stesso Mugnone. Un quarto d'ora prima dell'andata in 6cena un delegato di P. S. avverti misteriosamente Mugnone: — Maestro non ci badi, se avvenisse qualche trambusto ; attacchi subito la Marcia Beale.- — Qualche trambusto, e perchè? — Oh niente! Ma sa, in caso... — Ma, insomma, che cosa si prepara! — Ma, si dice che stasera si voglia lanciare una bomba in teatro!... pvvmvtecqvqgrndcMugnone aveva già un'esperienza perso- : tnaie delle bombe in teatro. Qualche anno pri- ema era scoppiato un ordigno nel teatro di 11Barcellona ove egli dirigeva l'orchestra. Erano morti molti spettatori. Mugnone, vinte le preoccupazioni, fatti gli scongiuri, ed egli ne conosce moltissimi, «ali al podio. Aveva ap pena dato l'attacco che sorse un brusìo nella sala, brusìo che, come al solito, crebbe rapidamente, moiti imponendo di tacere. Si trattava soltanto della protesta di una parte del pubblico contro i ritardatari. Fattosi silenzio, 6i alzò la tela, e di nuovo sorsero voci, e stavolta più chimorose. Nessuno sapeva rendersi ragione dell'agitazione della lolla. Una voce si impose sulle altre: «Giù il sipario !» ; e prontamente il sspario scese fra grida e commenti. Dieci minuti dopo la sala si acquetava. Mugnone ricominciò da capo l'opera, e la rappresentazione potè continuare senza ulteriori incidenti. Quella sera il successo non fu entusiastico. Lo divenne via via, nelle successive repliche. A proposito della popolare romanza del tenore all'ultimo atto 6i ricorda che le parole: Afuoio disperato!, fissate dal Puccini, provocarono lunghe discussioni fra librettista e compositore. Illica avrebbe voluto che Cavaradossl ricordasse nei suoi supremi momenti la vita artistica, rimpiangendola. Puccini invece insistette perchè Cavaradossi ripensasse soltanto Tosca e rievocasse la sua ardente passione d'amore; e gli parve perciò adeguata la frase: Muoio disperato! Ed Illica lo assecondò. Il "Poge,, cacciatore A questo punto l'aneddotico di Puccini eoffre di magra. La sua vita scorre tranquilla, in lieta agiatezza Ecco come un suo amico descriveva l'artista nell'intimità della sua esistenza : « Torre del Lago è formata da poche cose e da molte capanne di falasco, della forma dei Tukul, annerite dal tempo e lucenti al sole: la gente, buona, operosa e intelligente, ci vive un po' coi lavori dei campi, e molto con la caccia e con la pesca. Una volta all'anno, il marchese Ginori, proprietario del lago, bandisce una fela alle folaghe,- altrimenti ci capita di rado una comitiva di cacciatori, o qualche signorotto della Toscana, a lare razzia di selvaggina. Il Puccini ci 6ta volentieri, ci lavora, e ci ingrassa, e ci si trova cosi bene che pare fino impossibile I Giacomo lassù non è il forestiero, né il villeggiante; ma in pochi anni è diventato l'amicone di ognuno, del più vecchio che è Mundo, fino a tutti 1 bimbi che gli vagliano un gran bene : ne ha studiato l'indole, Le furberie, lo abitudini ed ha preso a parlare persino il loro gergo; poiché tutti lassù hanno un soprannome, lo stesso Puccini lo chiamano tutti il Doge! Conosce la capanna della Pandora, di Lappare, e del Cipolla; sa parlare di caccia perchè il Puccini è il più appassionato cacciatore che sia esistito: provate a dirgli che è un ciuco in fatto di musica, e ci riderà sopra: ditegli che non ne imbrocca una su tre, collo schioppo in mano, e sentirete con quale impeto protesta! E' un fatto però che in paese si è acquistato una certa fama di buon cacciatore dal braccio pronto, e l'occhio giusto e 6icuro. Matteo di Pipo e Deo, due vecchie pelli da bosco e da riviera, che prima ne parlavano ridendo, ora non ci scherzano più. La mattina alla prima alba, egli se ne va 6ul Lago a cacciare con le stampe, assieme ad Amanno il 6uo cacciatore, e dopo un paio di orette o tre, egli 6e ne torna al paese bello fiero, con le sue vittime in mano, e disposte in un certo tal modo, da apparire più che non meno. L'altro giorno, dopo una bella vogata per il Lago, si cercava tutti i mezzi di avvicinarlo al pianoforte per sentire un po' di musica, ma non ci fu verso; bisognò rassegnarci, e seguirlo invece in una lunga passeggiata entro la macchia di Mi gliarino, che è proprio una maraviglia di orizzonti, di alberi, e di fragranze silvestri e di colori: qualche volta si vede sbucare fuori dal fitto, un gruppo dt cinghiali, e daini, e cervi, che vagabondeggiano poi nei viali grandi sterminati, finché il fischio del treno non li spaurisce. Giacomo Puccini conosce il quella macchia tutti i passi: conosce il fischio, le abitudini di tutti gli animali. A zampognare alle folaghe non è gran cosa bravo; ma zirla ai gambetti o al ciurlotti che è una meraviglia; e quando poi chiama il piviere, nel paese l'hanno perfino scambiato per Ciabatti, Cao, Pelle, che 60nò i più rinomati fischiatori del paese». Appunto a Torre del Lago, e in porte anche all'Albetone, Puccini compcse, su libretto di Giacosa e di Ulica, Madama Butterfly. interrotta in seguito ad un accidente automobilistico, che costrinse Puccini all'immobilità per qualche mese, la composizione fu compiuta a tempo perchè l'opera potesse essere rappresentata alla Scala il 17 febbraio 1904. Fu una serata tumultuosa, un fiasco formidabile. Gli ascoltatori di quella sera notarono subito il riapparire di notissime maniere puccinione e cominciarono a indispettirsene, dando la caccia alle reminiscenze, nominandole a gran voce. Già alla fine del primo atto la battaglia era perduta. Poche chiamate all'auore ed agli esecutori (la Storchio, lo /'natello, il De Luca). Il giorno seguente Pu ni ritirò l'opera e l'editore Ricordi rimborsò il nolo. La musica fu poi ritoccata, il secondo atto smembrato. Con tali modificazioni Madama Butterfly fu ripresentata al Grande di Brescia, nello stesso anno, e ottenne successo. Il compositore rievocava sovente una frase della protagonista: « Rinnegata e felice! ». savnmmmnrsadptos1cdurcgsdnspvctvicbdcpMeSdvlussdtdsnumsMnsdrcctfzpcftmcssdctfmptslollvtntcpdcrWq0ppSrnccdcLpsec1rcsaxgrqda1tpctEPPensieri sull'arte Dopo la Fanciulla del West (libretto di Zangarinl), rappresentata al Metropolitan, nel 1910, con lieto successo, Puccini scrisse la Rondine, su libretto di Adami, che offerta agli ascoltatori del Teatro di Montecarlo, nel 1917 e replicala in altre città, non riesci poi a es-' sere accolta nel repertorio teatrale. Del che il Puccini era spiacente. « E' un'opera che amo ascai o la cui assenza dalle scene mi duole. L'opera avrebbe bisogno di essere eseguita in uu teatro più piccolo, più raccolto dei nostri teatri lirici. Là essa av-eboo Ve-"- U cuzione dotata della semplicità, della freschezza, della grazia che le sono necessarie ». E' recente la fortuna delle Ire opere (Taliarro, Suor Anaellrn, Gianni Schicchi) che costituiscono il Trittico, rappresentato al Metropolitaln nel 1918. Ultima composizione nota al pubblico è l'Inno a noma, cantala su versi di F. Salvador!, eseguita a Roma nei 1919. A traverso intervisto giornalistiche e confidenze ad amici, si pr>=?ono riassumere i pensieri di Puccini sull'arte. Egli disse, un paio d'anni or sono, quando (ria attendeva al Tujrandot : • Io credo che la musica sinfonica sia la morte del melodramma E del resto off mino pud vedere come un melodramma fatto dì musica esclusivamente sinfonica. a.nche avendo isolati ammiratori, resti sempre, lontana dall'anuria della massa del pubblico. Io. por esemplo, sono tra coloro allo spirito dei (fiali le opere die. io dilanio » le op'.-rc dell'altra parto», pe." la assòluta diversità tra esse e 11 mio modo <\\ mentire la musica — anche allo volte ammirandole, restano sempre lontaneQuf;t!{ che ho magglórmonte sentito vicine, al mio spirito sono • Salone » e «Pelftas e Mel'sendc ». Ma quest'ultima va s--,:o sentita In un ambiento adatto a far risaltare tutta la sua atmosfera Urica, la poesìa 0 la frequente bellezza della sua musica. Io ho sentito tutto c'.<> all'«Opera Cnmitpie. ; la poca grandezza del teatri, le mezze voci dot cantanti, tutto contribuiva ti creare onesto :.Uito d'animo e questa atmosfera, che n"n ho più ritrovato In altro plil grandioso esecuzioni ». A chi gli chiedeva quali fossero le condizioni più propizie alla composizione rispose: «Io vedo, sopr.iiIntIn vedo. Vedo 1 personaggi f « «S1,0^. * 1 «.PW*. io sono un uomo d! teatro. Io faccio del teatro. Se, chiuso qui dentro, non riesco a wjere spalancata davanti a me la flnestraccla, rosilo dire la scena, non scrivo, non so scrivere una nota. K me ne vano via, In automobile, a caccia. .V. torno a scrivere magari dopo un mV.se. quando la scena e 1 personali m« riapparsi, ma chiari, precisi, tangibili, che nmssn chiamarti \m tìn Irto che mando sto da¬ posso chiamarli. Non ho Idee che quando sto davanti al pianoforte., al mio pianoforte. Qualche volta, si, anche filóni di qui m'e, passato per la mente un motivo: ma mi e accaduto di rado. Una volta, a studio di Mentasi, tanti anni fa. Mentessl era andato a visitare un manicomio o m'accennava 11 lamento d'una pazza, un lamento che quella ripeteva nlI'lnfllTiito, straziante. Mentesst aveva un armonium. Provai a rendere sull'armonium quel lamento. Mt piacque. Me lo segnai s.u un foglio: è il tinaie del terrò della ■ Manon ». Ma ripeto, lo non so scrivere mirica che qui al pianoforte, cosi, per la disperazione dei copisti ». Delle suo inquietudini artistiche 6i confidò così: « Un autore non può essere mal ccropletainente contento dell'esecuzione delle sue opere. Per quan. to cht deve interpretare la sua musica possa essere grande, pur.:, esso non potrà mal trovare 1? rispondenza perfetta con Io spirito, con cui artista ha creato la sua musica. Dlrieondo da sè la propria musica, si può, torse, solo allora, avere la sensazione di avere reso tutto ciò che volevamo che. la nostra musica rendesse, fino nelle sue minime stumature. lo non tio. invece, mal potuto dirigere una mia opera. Ad ogni mia prima rapprcsantizlone lo sono un uomo morto: passo in nnUngosctoya ansia ore assai penose e non potrei mai, sul podio direttoriale, con la freddezza di spirito necessaria, dirisera quella musica eh" dr.: mibbllco che fc dietro alle mie spalle attendo '1 L'indizio. Ma, non è del Testo mi fatto limitato alla mia prima rappresentazione. Anche adesso lo non riesco a sentire anche un'opera vecchia come la « Boheme,» o « Manon • senza mettermi In un indescrivibile stato d'agitazione. Ed e, infatti, rarissimo che 10 abbia sentito eseguire una in'i opera dal principio alla fine «. L'opera Incompiuta Recentemente Puccini aveva lasciato Torre del Lago per Viareggio. S'era fatto costruire una villa in Pineta. Egli stesso no aveva curato il progetto edilizio. Essa è di 6tilo tre-, centesco, costruita senza economie, in pietra grezza ed in mattoni, è a un solo piano, a cut si ascende per una scalinata esterna, protetta da una ringhiera solidissima in legno. Le finestre piccole, la chioma dei pini che sovrastano la villa fanno 6Ì che solo una tenue penombra penetri nell'interno. NelOa sua nuova casa io visitò, or non è molto, l'Ojetti, e cosi lo descrisse: • Eccolo nella sua casa, nel suo studio a terreno, tra me e il suo eran pianoforte nero lucente. E' vestito di grigio sanza una nota che stoni : capelli irrisi, occhi d'acciaio Infossati nell'orbite, sopraclsila nero, una più su e una più C'ù. cravatta bianca e nera, scarpe basse hlanch» e nere, calzini dt seta gTlstfa. fazzoletto idemi. Il volto di colore ac ceso, e rettangolare, d'un'ossatura potente o scoi, plta die rammenta quella del volto di Ferdinando Martini conterraneo! suo; ma la bocca è piccola e socchiusa, sorto due battetti anch'essi sale e pepe Solo il risvolto della giacca aperta gittato In dietro sulla spaUa sinistra gli dà un che di spavaldo e d'irrequieto. La stanza è bassa, poco più lunga del pianoforte: di qua un dLvano con cuscini a toppe fgargiantl e accanto al divano la statuetta dt Trubctzko! con Caruso nella « Fanciulla del West »; di là un tavcllno e uno specchio settecentesco; sul pianoforte, tra monti dt lettere e di giornali, il bronzetto d'una vittoria con l'ali spiegate. Nemmeno la fotografia d'un cantante, nemmeno la fotografia d'un caro collega. Soltanto un autografo di Rossini, dentro una cornlcetta (1: mogano. Alla prima sombra che 1 suoni in quella scatola abbiano a confondersi In un frastuono. Ma nel fatto, questo è lo studio d'un compositore non d'un pianista, e 11 pianoforte non è che la sua scrivania. Sul leggio, fermati da due targhette di bronzo, una col ritratto di Beethoven, una col ritratto di Wagner, stan ritti gii ultimi fogli della cara ■Turandot»; e a me ehe non sa leggervi, e concesso guardarti e toccarli. Sono scritti a matita, cou se^ml Impetuosi larghi e pittoreschi che fanno sulla i>ag!na l'effetto d'un paesaggio schizzato alla brava, con le divisioni tra le battute che paiono fusti d'albori .e le cancellature serpeggianti che paiono frondami. e le note tonde che paiono fiori sul prato. A guardare quei gran colpi di matita, pochi per pagina, rapidi e nervosi, è facile immaginarsi il musicista con le mani sulla t.isUera che s'imeri'cmpo di scatto e alza una mano per scrivere più nrt-^to che può. Attorno, tutto è disposto cosi da non ritardare d'un attimo l'ansia della fantasia; matite di ricambio morbido come carbonella, due macchinette per temperarle, scatole e pacchi di sigarette e accendisigari d'ogni foggia e misura a portata di mano ». La favola gozziana di Turandot fu lungamente travagliata dal Simoni e dall'Adami, prima che il Puccini fosse contento del libretto. Ed a cagione di tali rifacimenti il compositore non giunse a compir l'opera. Della quale ebbe a diro nel settembre dell'anno scorso: « Sarà nn'opera essenzialmente melodica. Ne sono ora assai soddisfatto: la vedo tlnalmente in tutta la sua lntlexczza, in tutti CU sviluppi, In tutte le possibilità; d5vo tare ancora, è vero, delle varianti, ina essa è già fissata In tutta la struttura principale. In tutte le scene, ano aU'ulttma nota. Il tevz'atto del libretto si è dovuto rifare tre volte, ma ora e come io lo volevo e attendo con impazienza di esser libero da ogni impegno per poter fintre 11 secondo atto e comporre il terzo di cui solo le prime o le ultimo pagine sono complete. La musica ù facile e piana, dal largo respiro, assai più semplice della «Fanciulla del West», no cercato questa volta di liberarmi da qualsiasi preoccupazione che potesse raffreddare, 0 falsare la spontaneità della creazione per essere più sincero possibile: a questo mi ha giovato, e non poco, la profonda vena di verità e di umanità che Slmonl e Adami hanno saputo trovare nella Turandot gozziana e mettere in prima linea, imponendola alla esteriorità coreografica o meglio decorativa della favola. L'opera sarà In tre atti e cinque quadri e vi avrà grande Importanza U duetto, specie quello che chiude 11 terzo atto, e che mi Interessa e mi preoccupa In modo speciale. L'ambiente esotico' dell'opera soffonderà tutta la parte appassionatamente umana. La folla e il paesaggio avranno II primo posto; runa sulla scena e nella vicenda, l'altro nell'orchestra: credo anzi che per questi due elementi «Turandot» sarà tra 1 miei lavori anello più vasto: * insomma un'opera di grande linea ner la quale ho grandi preoccupazioni, ma anci..- più grandi speranze. Non solo ho molto studiato la musica orientale, ma anche gli strumenti Indigeni; e cosi oltre ad un xylophon e a degli strumenti speciali, ho aggiunto un gong e dei tamburi di legno che daranno Imprevisti e suggestivi risultati fonici, 1 quali gioveranno molto a comporre l'atmosfera, a dare insomma l'Illusione dell'ambiente...». Da un anno, pertanto, la composizione nori aveva progredito. Ancora qualche giorno fa 11 Maestro confidava ad un giornalista reca, tosi a visitarlo prima dell'operazione : « L'opera e già annunziata alla Scala e non è completamente finita. E' questa l'idea che mi tormenta. E' rimasta alla metta del terzo atto/ E temo che non arriverò a terminarla in temP°;,.E- PP'i adesso, mi manca la disposiziono dall'anima... ». Il vapore Italiano "Toti,, In pericolo Un piroscafo tedesco corre in soccorso Lonci::: 29, notte. L'Agenzia Reuter ha ricevuto un radiotelegramma anmuiciante che 11 vapore italiano Enrico Toti di 5233 tonnellate, clic si recava da P.altirr!,>ra a Livorno si trovava in pericolo al r,70li' 'di latitudine nord e :i5°S' di lougitudine ovest. 11 radiotelegramma aggiunge dio un vapore tedesco e diretto nella detta zona per prestare soccorso ai piroscafo ita» liano.