FAME E CENSURA

FAME E CENSURA FAME E CENSURA Nemmeno chiuso, senz'armi, in ti so campamento cinto di reticolati e di baionette i] prigioniero della grande guerra arava terminato di combattere. Contro privazioni e patimenti d'ogni genero anzitutto, e poi ancora contro il nemico. Il qnalo era costretto a considerare il buo bottino umano come una specie di cavallo di Troia: occhi troppo acuti, lingue troppo ciarliere. So solo pochi prigionieri erano in grado di dar notizie militarmente utili, tutti por dolorosa esperienza diretta potevan denunziare le condizioni disperate dell'avversario. Fin dal 1915 le riserve alimentari doli'Austria erano scarse, e andavano assottigliandosi ogni giorno più. Guai se un coro crescente di prigionieri avesse potuto far sapere al mondo gli orrori della patita fame! Sarebbe stato assai peggio d'una battaglia perduta,. Giustificata quindi, — ad esser giusti, — la severità austriaca nella censura-epistolare dei nostri soldati. Ma naturale altresì ohe questi ingaggiassero una lotta accanita por non lasciarsi turar la bocca. K. essa lotta ha conservato memorie in un fìtto volume il signor Leo Spitzer, del cui primo studio sulle corrispondenze dei prigionieri di guerra italiani ho dato notizia giorni addietro. Volume intonato a maggior rigore filologico il nuovo (primo por vero iu ordine di tempo), tanto che è apparso corno supplemento d'un illustre Rivista di filologia romanza, ma interessantissimo anche a chi voglia, trascurando classificazioni e argomentazioni linguistiche, cercarvi alcuni segni vivi delia passione d'Italia. Raffiguriamoci anzitutto i due attori del singolare dramma. Da una parte in uno studio assai confortevole, a Vienna, il censore co' suoi aiutanti, saputissimo, acutissimo, armato oltreché d'inchiostro indelebile d'una quantità di dizionari, repertori bibliografici, archivi folkloristici ecc. ; dall'altra il povero soldatino italiano, seduto nell'angolo meno rumoroso della Bua squallida baracca, con sulle ginocchia il foglio di carta da lotterà o la cartolina gualcita, e armato il più delle volte d'un semplice mozzicone di matita. Ma con lui è il gonio della lingua e... l'appetito. • ...Addgnza la hambre log ing-enios », aguzza i cervelli la fame, fa diro in testa a.1 libro da Calderon questo bel tipo di censore, deciso a non lasciarsi imbrogliare, ma già rassegnato alle corbellaturo proprio inevitabili. DeV l'entità di queste, si capiace, nè Uri nò noi sapremo mai nulla. Gli ordini delle autorità austriache eraaio : permettere che i prigionieri ohiedesBeroira di generi alimentari; "P"™"» P"°ogni lamento esagerato Ma Santaddio comeei può patendo la fame, essendo ossiliat* dal timor di non ricevor nulla, di non riu •essendo assillatiBcir a smuovere i parenti, o a superare le difficoltà postali insidiosissimo, non esagerare t Es gerare del resto era già il dire: ■ Ho farne ; inaudate;ni del pane ». Così chiaro chiaro scrivevano a ccea i novellini. E da caea rÌKr>and<r,'ano : c Che cosa dicevi nel passo cancellato dalla Censura! ». Tra an''.ero e venire orano intanto passate diverso settimane « il novellino aveva imparato un po' di malizia. E ricorreva allora allo designazioni diahrUali, a! gergo di casarnia, di opificio o di quartiere, ai gerghi furbeschi e chiamava la fame: spazzolastria, brul.tavcceb.ia, gasa»»», bruna, leggera, gloriosa, Blandirono, isiia, barbc-caci'.(.rina. bizzina, o^jjosa, eoasifola, bavaT..rqr.. phl"* <.<c. ce;, i badr-udo bene a non cominciare la terribile parala con /:ù io / erano sospetto. Sospette eranoUr ixsr ani ecrw> « oste-rie d'olle tre effe », iu cuii prigionieri pare bazzicassero troppo spessoI pìii sempliciotti credevano bastasi» unp:u semp! anagramma o scrivevano : ertiaf, inefa, nioffa. ila a tanto ii censore ora subito arrivato. E a poco a poco aveva fatto co 10soeiiza unche colle varie designazioni diolettali o di gorgo, reso diQidenfce dal giro stesso delia frase, ch'era ad esempio : * Qui si patisce la scasifola ». Occorreva dunque pigliare il giro più largo, nascondere il lamento in una frase innocente, confinarlo nei saluti, seppellirlo nei nomi proprii. Un soldato vuol sapere ee lo ricordino ancora le signorine Magherini; un altro che cosa ha detto di lui, venendo a casa per lo feste pasquali, lo zio Carestia; un terzo come stia di salute la famiglia Defamezo. Incredibile la quantità di amici col nome Petite, dequali i prigionieri sanno daT notizie. Drado questo signoro ha un buon carattereUn calabrese annunzia: t Petitto, l'amicointimo del vecchio e defunto Sansone, «heil mezzogiorno veniva a bussare alle nostre porte di casa, l'ho incontrato giù, e qul'ho conosciuto per la prima volta. E3uante mai maligno ! ». Talora però cresce i grado e dà ragione di compianto, come nel lamento di quol fiorentino: « Disgraziatamente è morto con medi capitano A. Petite fratello della signorina Magherina che tu conoscevi tanto bene. E' stata una gran disgrazia! Non so'come farà a consolarsquella povera figliuola ». Dove tutto è molte pietoso, ma un po' trasparenteSpesso il prigioniero non vuol credere, che una cosa tanto scherzevole come l'appetito possa esser merco dannosa. Se si può durar la vita quanto Matusalemme « facendo delle scorpacciate d'appetito »! Appetito era però lontano dal l'esercitare il fascino della più dura parola fame. Come se gl'infelici avessero bisogno di vedersela scritta davanti in lettere nere per sontirsvendicati a ...A. mi parlava di quella simpatica bambina, diteli che io le già 9 mesi cho sono maridato ho presa unno donna che si chiama la fame, e le grande e grossa e..[anch'io] sono diventato grande e grosso ' dopo che sono in Austria con la mia molie e con la mia donna che si chiama fame ». Il buon valsusino era troppo irato verso la sua Santippe per dissimulare prudentementeBen altrimenti coperti altri. Un tarantino rievoca scherzando ocrti ricordi d'osteria: « Io ho sempro in ricordo del francese che venne a Taranto nell'osteria e andava cercando la sua donna e il bambino, esprimeridosi in francese: — ma femme et mon petit e il povero oste capiva diversamente... enoi quanta ilarità ! ». Rise anche il censore, cassando. Un udinese è in vena di proporreindovinelli : « Una nota e un pronome po-tranno farti sapere ciò che movo in questo istante » ("fa-me]. Diversi si sentono pieni del dio della musica, tracciano un rigo musioale e buttano giù una battuta, primo spunto d'una sonata, che affermano aver sviluppata ampiamente; per cs. o si fa _ fa mi », in chiavo di violino. Qualcuno ricorre al disogno e abbozza sotto la finn a una faccia Bparuta o anche soltanto una fila di gagliardi dent: pronti ad ogni bat¬taglia ed inoperosi. A tali ripieghi avevaforse indotto i! divieto di farsi forogra-fare i non grassi, onde i parenti non velassero a conoscere ii loro cattivo stato di salute. E allora i disgraziati troppo magri smendicavano < marcando visita », accu-a sando cioè nelle corrispondenze a casa le più strambe malattie : sgaiosile acuta e simili. Un milanese comunica di star benissimo, d'aver soltanto una forte tosso, per guarir la quale ci voglio a le caramello del prestino ». Un genovese sentimentale soffre di nostalgia « Patisco anche di nostalgia, come dire gastrica, nostalgia dello stomaco ». Un paveso vede con dispiacere macchiarsi il candore de' suoi denti per via d'un po' di ruggine. (I denti c'è chi li vorrebbe mandare a casa come campione senza valore). Un modenese ha sempre « sonno sotto il naso ». Innumerevoli sono, a descrizione di pinguedine, i confronti con Succi, le lasagne, lo sardelle, le candele ecc. « Sto diritto se non tira vento », dice nn torinese. 30 un bolognese immaginifico: « Vivo, ma sono come le foglie sopra gli alberi nel meso d'ottobre elio sempre stanno per cadere ». Fame e noia s'alleano insieme per generare un'epidemia di sbadigli. Un senese si corica ogni sera <t con una sbadigliarella di non potermi adormentare ». Addirittura la fondazione d'un giornale annunzia un trevisano : « Abbiamo ottenuto il poi-messo di stampare un giornale intitolato Lo sbadìglio, il quale uscirà ogni settimana con le vario novità del campo di concentramento ». Pittoresca l'espressione d'un soldato di Settimo Torinese: « siamo qua semnro a bocca aperta come i pesci fuori dell'acqua ». Agli Bcoppi degli sbadigli corrispondono i tumulti della budella. « Io ho giornalmente teremoto nel mio ventre ». <r Ogni giorno più le bodelle brontolano come l'acqua per il Carso », dicono due veneti. E un Busto Arsiziese fa pensare a un tour de, forre clownitsico: « perchè qui mi fanno doperaro la pelle del ventre di fare il fazzoletto ». Con quegli sconvolgimenti di bocca e di pancia vanno unite parecchie altre manifestazioni di moto, balli, suoni, canti. « Qua si baia e si fa dei salti senza sonare ». « Qui si canta e non bì beve e si lava la gamella colla luna ». t Ciò che spedisce l'Università Bocconi manca, di conseguenza se sifula l'Aida ». Belvo d'ogni sorta, la lupa, la iena, la volpe, la liona, la lonza impauriscono coi loro ululati i prigionieri, i quali perciò si raccomandano alle preghiere dei parenti. E quauti cammelli ci sono in Austria ! Un comasco vede girare i nel ridento Tirolo... un camello con 200 gobbi ». So lo allusioni alla fino per affamamenti di Aida e alle prolungate astinenze del cammello possono dar un momento a pensare, chiarissimo b il frequente accenno | £ Conte Ugolino. Per quanti sferri i pri , f«S*to di camuffare il famfge- i «omeri facessero di camuffare 6 . . . . .,, raro nomo, ì censori messi sua avviso taglia- vano senza pietà. L'operazione era così comune per loro, che la chiamavano: c censurare Dante ». E vedevano il pericolo dappertutto, pur che comparisse il nome del poeta. Così dovrebbe nascondere nelle sue pieghe un lamento di fame la seguente deliziosa lettera d'un soldato di Casale Monferrato t ...Qui al ccnoenfcramento è una. posiziono bellissima, anzi una pianura di | CO Eliometri a mie idea, d'intorno altissime mofcagnie ooperte di neve, a poca distanza score un fiume si chiama il Danubio come noi il Po !... Altro non vi sò spiegare perchè sono entrato in màggio del 15 e non o più usato fin ora. Porsi farò come Dante Alighieri, che noi suo sognio passo l'inferno donde trovò quei scritti Batate voi ehe entrate, seguì nella sua storia trovò beiatrico insegniaudo la via del Paradiso. Abbi co- raggio che i giorni paesano e la vita preme I una felicità di risorgimento finale per tutti... | Ora ini trovo nei pompieri e_ rimango sempre a! campo io non ciò illusione" di donna, ormai son vecchio o altro da pensare ». Ma | tarsi dell'arrivo d'un pacco di viveri, | sono ^l'in numero voli passi lunghi o Meravigliosi arrosti, e dolci e mandorlati no, elle qui la fame non c'entra. Si tratta invece d'un ingenuo e perciò commovente tentativo di spiegare il proprio destino-con quello del grandissimo vate. Va bene il casalasco non è uomo di corte e s'adatta a faro il pompiere, ma anch'egli come l'esule fiorentino ha perdute ogni illusione terrena o, vecchioni Bente premere sol più della speranza del risoTgimento finale. Se nella lettera dantesca l'intenzione artistica traluoe appena, in altre corrispondenze è evidentissima. Così in quella contenente la biografia di S. Pacchiano de' Sbadigli figlio di Don Disperato Famelico e marito della Beata Abbondanza, colla quale leggenda un genovese vuol adebi- ' Arte passi lunghi o brevi nelle lettere di persone colte o indotto, nè quali lo scrivente inveco di limitarsi a comunicare i suoi bisogni s'abbandona all'impulso della fantasia. C'è il gusto del giuoco in moltissimi lamenti di fame.' Lo condizioni sono quello che sono, sì, cioè orrende, tristissime, e il prigioniero ne soffre; ma ormai egli ha già rappresentato tante volto il suo stato, che deve, scrivendone ancora, adornarlo di colori vaghi e sottili contemplandolo quasi coll'occhio d'un estraneo artista. Lo sforzo stesso di comunicare per allegoria e simboli una verità, non è già arte? E non è parte importante della poesia popolare l'enimmistica ? Lamentiamo anche noi collo Spitzer che non si sia pensato, da altri censori austriaci, di far studi analoghi sullo corrispondenze dei prigionieri d'altra lingua. E' sua opinione ad ogni modo che gl'Italiani avevan creato una tecnica particolarmente raffinata delle comunicazioni segrete, nella quale eran forse suj>erati dai soli ebrei orientali. L'indole artistica degl'Italiani e il loro temperamento li portavano ad esagerare i loro dolori da un lato, e dall'altro rappresentarli volentieri umoristicamente. In ogni modo i loro scritti si distinguevano da quelli di tutti gli altri prigionieri per singolare rigoglio di fantasia. Questa la conclusione finale dell'egregio censore che, a suffragarla ci offre un grazioso squarcio in martelliani d'un posta, il cui più fortunato fratello esercitava in patria, per metstiero o per diletto, la nobile arte del cuoco: .. ._M'immagino quei pasti, duello sontuose [cene. Lucullo appetto a voi non sapea mangiar bene Intingoli di moda, pasticci prelibati U„ Arno »! , e 6alse alla tedesca, risotti miJanesi cibi di tutto il mondo, e novità viennesi, o condimenti nuovi di tua invenzion recente, roba che a boera aperta starà tutta la gente — o insigne cuoco, queste son l'arti tue novelle I per cui torrui le grinze degli uomini alla Tpelle... ecc. Ah i ruscelletti del Casentino cho nell'Inferno l'idropico Mastro Adamo vede scendere per canali freddi e molli a giusc LEONELLO VINCENTI. I.r.n Spiizer: o Die Uiiischreibitngcn des Begrlffes minger ini ItaUenlschen ». Halle, Max Njeineyer, ed,

Luoghi citati: Austria, Carso, Casale Monferrato, Italia, Settimo Torinese, Taranto, Tirolo, Vienna