Principi costituzionali

Principi costituzionali Principi costituzionali Lo tre circolnri di autorità fasciste — municipali e di partito — del circondario 'di Lodi pubblicate dai giornali documentano analiticamente ciò che già si conosceva nelle linee generali: come, cioè, si preparino le adunate fasciste intorno al capo del governo. « L'amministrazione comunale da me rappresentata — scrive il sindaco di un comune del Lodìgiano — per ordine della Federazione fascista (si noti: l'autorità pubblica che professa esoltcitamente di essere alle dipendenze dell'autorità di partito) impone a tutti di andare a Lodi. Ella quindi è pregata vivamente di obbligare in modo assoluto i di lei dipendenti di recarsi a Lodi alla grande adunata fascista. Mi darà la nota dei contadini e degli avventizi che si rifiuteranno di intervenire alla radunata patriottica per eventuali provvedimenti». Queste citazioni sono troppo eloquenti perchè occorra aggiungerne dalle altre circolari. E' un vero peccato che il capo del governo fascista non conoscesse — certo, egli non conosceva — questi od altri documenti analoghi, quando ha parlato ad Aquila. Si sarebbe, evidentemente, astenuto dal cilaro le adunate fasciste, in occasione delle sue visite ufficiali e programmatiche in questa o quella località, come prova del «consenso», contro la lesi dello opposizioni. Ma, anche nella presunta ignoranza della realtà, pur facilmente intuibile, circa la •« fabbrica dei consensi », il ragionamento abbozzato nel discorso di Aquila (e epa-prima, tante,.yQltci^aanca di base logica e di fondamento costituzionale. Di base logica, perchè, una volta ammesso il principio plebiscitario (che è in fondo a simili ragionamenti) esso non può esplicarsi in una o più adunate di piazza, inorganiche e irresponsabili per loro natura, e tali che non vi partecipa so non chi è disposto a plaudire od almeno a tacere ; adunate compiute saltuariamente, in momenti e luoghi diversi, e riunenti, tutte insieme, una parte .veramente minima del popolo italiano. Il principio plebiscitario implica una consultazione contemporanea, totale, libera, organica del popolo: e i dialoghi colla folla ammaestrata delle « camicie nere », terminanti nell'assegnazione a queste dell'Italia come privata proprietà, non possono chiamarsi neppure una parodia del principio plebiscitario. Altrimenti, non ci sarebbe tribuno popolare — Coccapieller o Bombacci — che in un dato momento non potesse pretendere, in forza della folla plaudente riunita Intorno a lui, la signoria perpetua della nazione. Ma c'è dell'altro. La nostra costituzione, idopo la formazione dell'unità nazionale sotto la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II e dei suoi successori, non {conosce plebisciti: e si comprendo. Il plebiscito si fa per determinare la forma e il capo dello Stato : ciò che fu fatto, appunto, nei plebisciti del 1860-61, 1866 e 1870. Un capo di governo che, in Italia, facesse ritorso al principio plebiscitario per il suo mantenimento al potere, si atteggerebbe, per ciò stesso, a capo dello Stato, e cioè ad eversore dell'ordine costituito, e prenderebbe posizione, in pari tempo, contro il Parlamento e contro la Corona. Egli professerebbe di riconoscere il suo potere, e il mantenimento di esso, non dalla nomina del Re nè dalla fiducia del Parlamento; ma dalla presunta investitura diretta del popolo. Funzione monarchica e funzione parlamentare sarebbero annullate di un colpo. Vè, dunque, una stridente antitesi fra gli atteggiamenti plebiscitari del capo dell'attualo governo e le proteste di fedeltà alla monarchia, le grida di « Viva il re » che ordinariamente li accompagnano. E' possibile — data la scarsissima elaborazione d'idee politiche propria del fascismo — che l'antitesi rimanga inconsapevole. Ma essa non è, per questo, meno reale, mentre a confermarla e a renderla insanabile viene il principio, continuamente riaffermato dal capo dell'attuale governo, che il suo potere deriva — ieri come oggi come domani: in perpetuo o (che è praticamente lo stesso) indefinitamente — dalla marcia su Roma. Ciò che è, appunto, negare in pieno l'articolo dello Statuto secondo cui il Re nomina i ministri : articolo di cui, invece, il sistema parlamentare non è che una ulteriore determinazione, accettata dalla monarchia sabauda fin dalle prime applicazioni dello statuto albertino, e costituente un diritto inalienabile del popolo italiano. Questo, precisamente, è stato lo svolgimento della monarchia costituzionale in Italia: che potere della Corona e potere del Parlamento si limitassero e insieme si sostenessero a vicenda. Ove alla Corona si tolga il potere di nominare o congedare i ministri, si rende, nel momento stesso, vano ogni voto politico del Parlamento contrario al governo in carica, perchè viene a mancare il modo di attuarlo praticamente. Se, d'altra parte, s'impugna il potere del Parlamento di provocare, col suo voto contrario, le dimissioni del governo in carica, viene meno altresì, se non l'occastone unica, certe quella principale e normale per la Corona di esercitare il suo potere di nomina e revoca dei ministri. Monarchia e Parlamento sono, in Italia, così strettamente legati, che l'abolizione o 6emplicemente una lunga piùlerizionc del potere parlamentare condurrebbe necessariamente, o.per evoluzione del sistema di governo che a ciò avesse portato, o per reazione al sistema stesso, ad una repubblica plebiscitaria Ciò che spiega, fra parentesi, le simpatie manifestate talvolta da elementi repubblicani al fascismo ed al suo capo, o la esistenza — crediamo, almeno, che esistano ancora — di « fasci repubblicani nazionali », anche senza ricorrere alla famosa « lendenzialità » di anneria Ire anni or tono (o ai ricordi di duella jjgllimana rossa di cui faceva l'esaltazio ne, recentemente, l'organo personale del capo del governo). Il sistema governativo italiano — rimasto intatto dal 1848 all'ottobre '22, e che ora si tratta di reintegrare pienamente al più presto, nell'interesse sanamente conservatore delle istituzioni — non soltanto risulta da un armonioso collegamento fra Camera e Corona ; ma è anche il più adatto a. salvaguardare, il principio essenziale della irresponsabilità del monarca. Sono, infatti, i rappresentanti della nazione che, con i loro voti, designano e. sostengono il governo, e portano, della sua scelta e della sua permanenza, la diretta responsabilità, non solo giuridica, ma politica e morale ; nè, quando il sistema funzioni effettivamente, queste responsabilità possono esser fatto ricadere, sia pure per speculazione politico, sul capo dello .Stato. (E' la stessa ragione — una delle ragioni' — per cui le leggi regolarmente votate dalla Camera sono da preferire, senza confronto, ai decreti-legge ; e tanto più quanto più delicata è la materia). Nei casi dubbi, il Sovrano ricorre alla consultazione popolare: runica forma di plebiscito (ma che solo impropriamente si può chiamare tale) del¬ la nos'-ra .'ostituzione è data appunto dalle elezióni gt.;erali politiche. Le quali, per rispondere al loro scopo giuridico e politico, devono naturalmente esser compiute in ambiente di piena libertà, all'infuori di ogni coazione materiale e morale. Condizioni notoriamente mancate nelle ultimo elezioni del 6 aprile: il cui unico significato valido può esser questo, che il popolo italiano, tutto, aspirava al ritorno pacifico nella costituzione, nella legalità e nella pace interna ; e per questo ritorno pacifico parte di esso (maggiore o minore ora non importa) era anche disposto a dar mandato all'attuale governo e ad una sua maggioranza parlamentare. Mandato, dunque, strettamente condizionato, che, in mancanza del governo, deve essere adempiuto dalla maggioranza medesima, ove essa non voglia lasciar cadere nel nulla l'unico suo titolo di validità, costringendo in tal caso, ipso facto, il potere statale supremo ad intervenire. Dedichiamo questa modestissima lezione di diritto costituzionale ai ministri « liberali » e « costituzionali » dell'attuale governo, on.li Casati, Sarrocchi, Nava, Di Giorgio, Thaon di Revel.

Persone citate: Aquila, Bombacci, Casati, Di Giorgio, Nava, Revel, Vittorio Emanuele Ii

Luoghi citati: Aquila, Italia, Lodi, Roma