Con le tasche dei contribuenti

Con le tasche dei contribuentiCon le tasche dei contribuenti Pax8 dul"l«e che a Roma si stia prendendo sul serio la .pretesa'di un cantiere navale italiano, di far coprire a spese dello stato un « rischio di cambio » di particolare natura, che non 6 mai esistito cosi come lo 6i rappresenta. Siccome ciò costituirebbe una vera nuo?va amenità nella storia del protezionismo, «osi mette conto di richiamare alla mente la questione. La Navigazione Generale Italiana volendo far costruire un piroscafo «a passeggeri di 33.000 tonnellate di stazza lorda e di polente velocità, ha ricevuto le itmgliori offerte da un ctinticro inglese e da ^in altro italiano, quello «Ansaldo», il quale però impiegherebbe sei mesi di più per la consegna. La N. G. I. stava per optare per il cantiere inglese, perchè, oltre alla più rapida costruzione, ciò lo permetterebbe di pagare, giovandosi di una legge Britannica, i due terzi de! prezzo mediante tin prestito concedibile da bunchc inglesi, con l'ammortamento in dieci anni al saggio del 6 %, tasse comprese. Ma l'« Ansaldo » fece osservare che in tal guisa anelava perduto del lavoro per l'industria nazionale e che anche in Italia era facile ottenere da qualche banca un prestito pei due terzi della nave, della stessa durata e al medesimo saggio di interesse. Restava però il rischio del cambio per la durata dell'operazione. In Inghilterra essa veniva contratta in sterline — moneta che si afferma omini di valore fisso — e la N. G. I. avrebbe pagato le sterline coi noli, i quali sono un prezzo commisuralo internazionalmente su tale moneta. In Italia, invece, il ru Jiio del cambio deila lira è tale che l'assicurazione costerebbe il 2,5 %, che la N. G. I. naturalmente non intende pagare. Di qui il richiesto intervento dello Stato, il quale si dovrebbe esso assumere tale onere, per alimentare il lavoro di un cantiere. Le proposte avanzate per tradurre in etto tale pretesa furono parecchie. La formula che oggi gode maggior favore nelle cosi dette si'ére competenti della capitale sembra, essere la seguente. Un decreto-legge Ciano dal febbraio 102'ì, riguardante il regime provvisorio delle costruzioni navali mercantili sino al 30 gin gno 102G, concede alle navi impostato e compiute entro tale periodo 150 milioni di premi. Pare che esistano dei residui di stanziamento per gli esercizi finanziari 1922-23, e 1923-24. Si1 questi avanzi appunto si proporrebbe di destinare, come misura generale, un sovrapremio di L. 180 per tonnellata di s. 1. alle navi superiori a 80.000 T. e di oltre 20 nodi di velocità oraria in navigazione. Questa cifra corrispon de appunto alla copertura dell'intero ri schio di cambio. Esso difatti, nel caso del « Superduilio » della N. G. I., per i 2/3 della somma per cui si calcola il mutuo, corrisponde, scontato al valore attuale, a circa 5,7 milioni. E L. 180, moltiplicate per le 33.000 T. del piroscafo, danno precisamente L. 5.940.000. *■"* 11 primo quesito che si affaccia è molto semplice: esiste veramente questo rischio di cambio nel caso di un mutuo contratto in Italia? Nessuno, mi pare, si è proposto questa 'domanda. Vediamola. I noli — è verissimo — sono ragguagliati in sterline ed in scellini in tutto il mondo. Ciò non significa che vengano pagati in moneta inglese, ma che si ragguagliano ad essa, al cambio nella moneta di ogni paese: in pesos, in yens, in lire, franchi, fiorini, ecc. Supponiamo che il cantiere inglese chiedesse per il piroscafo in questione 750,000 sterline, quando il cambio era di 100 lire per sterlina. So la Società italiana contraesse in Inghilterra il prestito sui 2/3, ossia per 500,000 sterline, rimborsabile, poniamo, in 10 rate annuali comprendenti il capitale e l'interesse, significherebbe forse che toon corre il rischio del cambio? Ma certo che lo corre. Essa deve pagare in sterline ed il suo bilancio è in lire italiane. I noli che riscuote nello monete dei varii paesi li traduce in lire nostre al cambio corrente : i debiti che paga in Inghilterra per carbone, tasse portuarie, ecc., li salda in sterline, calcolandole in bilancio pure al cambio corrente. Perciò quando lo rate dell'operazione di credito scadono, la N. G. I. pagherà o coi noli accreditati ad essa in sterline, o in dollari, in franchi, in lire e cosi dicendo, a seconda che le conviene di più : e la convenienza è determinata dai corsi dei cambi, che le permettono di fare degli arbitraggi. Se ha ricevuto dei noli in scellini quando il cambio nostro su Londra era a 105, e, al momento di pagare, il cambio sta a 95, evidentemente la società pagherà in lire. Oppure, in altro caso, comprerà con le sterline dei dollari a tempo dehito e poi pagherà con questi. Farà, ripeto, ciò che le conviene, ma il rischio di cambio lo sopporterà in pieno. Supponiamo ora che la costruzione del piroscafo venga affidata al cantiere «k Ansaldo » allo stesso prezzo di 750.000 sterline (fissato quando il cambio era a 100) e facciamo l'Ipotesi estrema che il cantiere pretenda il pagamento in sterline. La N. G. I., che ha contratto per 500.000 sterline «in debito, poniamo, con la Banca Commerciale di cui è .cliente, sopporta forse per questo un rischio diverso da quello dolla prima ipotesi? Per nulla al mondo. Essa riscuote sempre i suoi noli ragguagliati in sterline e scellini e li segna all'entrata in lire. E alle scadenze pagherà b addrrittura con le sterline riscosso in noli; oppure acquisterà le sterline con dollari, o pesos, o fiorini, o franchi, o lire, facendo magari degli arbitraggi, a seconda sempre delle convenienze. Dove si trova la differenza? Duale ragionamento mai ba potuta condurrò gli interessati a trovare u.no speciale rischio di cambio nel caso della commessa della nave affidata all'Italia? E psiwo io ere-lene che a Roma 1 ministri competenti non abbiano visto l'errore? Ma voglio prima vedere, per credere... Se il rischio di un contralto in sterline è stimato al 2 1/2 %, che la N. G. I. paghi a Londra, o a Milano, che soldi essa volta per volta il suo conto correndo direttamente l'alea, o affidi quest'ultima ad una banca, il rischio è quello che è e non Bono per eerto la forma ed il luogo dell'operazione quelli che lo fanno variare. Dunque la base su cui si chiede l'intervento dello Stato non esiste. +** Restano altri due punti che aggraverebbero notevolmente la responsabilità dei ministri competenti, ove effettivamente si addivenisse alla concessione di questi milioni per un rischio cosi spropositatamente valutato. La legge Ciano del febbraio 1923, corno osservai in quell'epoca su queste colonne, fu lodevole specialmente per questo: che l'art. 15 di essa sancisca che « a decorrere dal l.o luglio 1926 6 concessa ai cantieri l'introduzione temporanea in franchigia dei materiali e macchinari di ogni specie (occorrenti alla costruzione delle navi ». Il che significa che finalmente il cantiere viene considerato fuori della linea doganale e si spezza completamente il vincolo disastroso che legò sin qui — con conseguenze formidabili e pesanti — le costruzioni navali alla siderurgia ed alla meccanica. Ma questo beneficio viene pagato caro. Ove la nave in questione resti aggiudicata All'» Ansaldo », anziché al cantiere ingle¬ se, essa, dato il suo tonnellaggio, viene già a costare all'Erario, in premi, 12 milioni circa di lire. Si tenga presente che — come si rileva dall'ultimo numero della Marina Italiana dell'ing. Albini — la mano d'opera italiana costa in salari circa la metà di' quella inglese, mentre vale altrettanto. E siccome, per navi di qualità del genere « Superduilio », il costo dolla mano d'opera rappresenta in cifra tonda almeno il 50 per cento del costo totale — 1650 lire su 3300 di spesa per tonnellata — si ha che solo per questa voce il cantiere italiano risparmia, rispetto a quello inglese, nientemeno che il 25 per contò della spesa totale della nave. Ora ò enorme che un cantiere il qua!' ha già un guadagno di lavorazione del 25 per cento su quello inglese e che, coi premi, eguaglia largamente il maggior prezzo dei materiali metallici nel nostro paese, senta ancora il bisogno di un ulteriore regalo del 7-8 per cento per competere coi cantieri esteri, inventando una inferiorità Glie non esiste. Questo fatto dimostra due verità: la prima, che per taluni cantieri nostri male amministrati le spese generali prendono una quota eccessiva del costo totale. La seconda che, essendo i cantieri italiani troppo numerosi di fronte al fabbisogno, non possono far giocare a proprio vantaggio i benefici di una larga e continua produzione. Ma non basta ancora. Si afferma che, se tale « copertura di cambio » verrà elargita nel caso particolare, altri 4 o 5 piroscafi verrebbero impostati in Italia per fruire delle nuove L. 180" di sovrapremio. Ma siccome in tal caso fra studio di essi e costruzione si andrebbe oltre il l.o luglio 1920, così si chiede già sin da orache la scadenza dell'art. 15 del decreto Ciano venga debitamente prorogata! Si ripeterebbe, cioè, per esso il gioco inverecondo già tentato pel decreto De Nava. E nulla il paese avrebbe ottenuto; pagar, do invece 180 lire alla tonnellata di più. Si costruirebbero piroscafi di mole sproporzionata alla potenzialità italiana non perché servono, ma per sfruttare dei premi. E si ritornerebbe al passato, con un notevole peggioramento E passo all'ultimo punto. Tutto questo rigiro, tutte le campagne giornalistiche e quelle personali a Roma, comprese le dichiarazioni dell'ineffabile sottosegretario al Ministero delle Comunicazioni, mirano unicamente ad uno scopo : ad eseguire uno dei tanti assalti in grande stile al Tesoro per tenere in piedi tutti i cantieri. Essi alla scadenza del decreto De Nava ammontavano a 27: salvo tre, gli altri si mantengono in vita. Ora questo è uno sforzo che distrugge milioni senza raggiungere il più piccolo scopo. Non vi è in tutta Italia un tecnico il quale non affermi che più di sei o sette cantieri non possono, nè potranno sussistere, quando si tenga presente ehe uno solo di essi, quello di Monfalcone, ha tale potenzialità da bastare, ove lavorasse in pieno e con continuità, a produrre tutto il tonnellaggio normale (da 200 a 300.000 T.) di cui l'Italia ha bisogno annualmente. Questo è il cerchio vizioso entro cui si continua a far aggirare questa disgraziata industria. Essa ha un costo altissimo non per la lavorazione, ma per le spese generali, perchè le unità da costruire sono poche. Fino a quando tale costo sarà quello che sarà, non si potrà mai sperare di produrre per l'estero, unica via per alleviare la crisi. E il costo non potrà mai diminuire, sino a quando le commesso non siano divenute continue, ben distribuitetali da permettere quelle sapienti rotazioni che tanto giovano ai cantieri inglesi e tedeschi. Ma ciò a sua volta esigo che i 24 cantieri si riducano all'incirca dei due terzi : e così si rientra nel circolo vizioso, aj punto di partenza. Per il momento, intanto, stiamo a vedere so il governo starà a regalare dei milioni per la copertura di un rischio speciale di cambio che, come ho dimostrato, non esiste. ATTILIO OABIATI.

Persone citate: Ciano, De Nava