Carlo Alberto e il Villamarina

Carlo Alberto e il Villamarina Carlo Alberto e il Villamarina Nel sentir ripetere lo obbligatorie designazioni di italo Amleto, Re Tentenna, Re impenetrabile, simulatore e peggio, si c tratti malinconicamente a sorridere della strapotenza delle l'rasi fatte, anche le più grossolane e le meno rispondenti a verità. In linea semplicemento archivistica (imi si perdonino le abitudini professionali) posso recisamente affermare che di nessun sovrano si possiedono, come di C. Alberto, così svariati, innumerevoli autografi: non già banali, pieni anzi di aperte rivelazioni sulle sue ideo fondamentali di governo, sui moventi reconditi della sua azione quotidiana. . Bissi-bando alle udienze settimanali la firma dello decisioni via via discusse e adottate, corrispondeva C. A. giornalmente coi ministri o in lunghe lettere o in rapidi biglietti o in glosse marginali bui documenti sottoposti al suo esame, al sno quasi burocratico vaglio. _ ; Nel bisogno persistente, irresistibile da espandersi si riaccosta, chi lo penserebbe! a G. Mazzfe!. Entrambi ci hanno lasciato scritto (a parte lo splendore della forma) con eguale trasparenza e copiosità ciò otte turbinava in mente ed in cuore, all uno nela chiusa reggia, all'altro noia solitaria stanzaccia di Londra. Un ?V™^*™°Z pleto del Be costituirebbe il più istruttivo contrapposto a quello che tutti ora ammirano ergersi lentamente monumentale del'abitatore. . ■ . ■ Nell'epistolario Ubertino un posto segnalato avranno le lettere a Emanuele Pes di Villamarina, che Nicomede Bianchi ha spilluzzicato e cincischiato di goffi commenti, dandone appena le briciole, si che nessuno sospetterebbe com'esso comprenda dal 1831 al 1847 — 18 anni di fidato coloquio tra favorito e Sovrano, avvezzi a parlarsi e scriversi a cuore aperto. Ascoltiamo un po' il loro dialogo, per sorprendervi una realtà psicologica, che e tempo di non lasciar più manomettere da tantii preconcetti. *** Sorvoliamo sulle esplosioni, in gran parte già note, dell'indomabile odio di C. A. per l'Austria: solo accennando che al Vilamarina come a ministro della guerra, racomandava continuamente di dare agli officiali la parola d'ordine ~ che ne' contatti on gli i. r. colleglli, pur attenendosi a coresia squisita di forme, rintuzzassero sempre la costoro burbauza. Anche la Bussia si mise di combutta con l'Austria nel '47 per affacciar rimostranze sull'attitudine ostile malcslata verso il governo viennese della opinione pubblica in Piemonte: e C. A., crivendone scherzosamente al Villamarina, risponde — Mio Dio! se si volesse eliminare dal nostro paese lo spirito anti-autriaco dovrei cominciare con l'espeller me tesso per primo. La familiarità col Villamarina fu cementata precipuamente dalla passione che nfiammava Sovrano e ministro per le rianne civili in genere, per la redenzione della Sardegna in ispecie, dove l'eversione degli ultimi resti feudali presentava ostacoli pressoonè, insormontabili. H sogno d'imprimere novella vita all'isoa..è già enunciato da C. A., come da tempo accarezzato nell'animo suo, in una lettera' del giugno 1834, in cui dice che il olo padre di Cavour gli pareva riunire le qualità necessarie per tener degnamente 'ufficio di Viceré. Pel rifiuto del marchese Michele Benso, occorse del tempo parecchio prima che al vicereamo di Sardegna si potesse preporre l'uomo adatto col De Launay. Le lettere di C. A. al Villamarina per incuorarlo ' a perdurare animoso e a spezzare tutti gli inciampi: per flagellare a corruzione-, la.venalità degli impiegati, 'egoismo de' ricchi ; per raccomandare che si procedesse con dolcezza verso il popolo oppresso, senza toglier pretesti da possibili scatti di rivolta a. inferocir su' sofferenti, per ritemprar soprattutto lo scoraggiato ministro co' richiami al dovere, agli oWiglri verso Dio, verso i sudditi, hanno, (mi si lasci dire,) sapore prettamente mazziniano. Lo si giudichi dai brani che fedelmente traduco. ^ « Vi rimando 11 lavoro del De LaAinav, interessantissimo. Ne sono assai soddisfatto, e tiuando l'avrà completato, son certo che ne ritrarremo un utile immenso per quel buono e povero popolo che vogliamo affrancare dale vessazioni signorili, a cui ancora sii trova in preda, grazie all'obbrobriosa venalità di tanti impiegati!... „ ... < Tutti t nostri sforzi voglion essere dtret'# ad attaccare ed estirpare questa corruzione nefanda... Oh amico Villajnanina, cbn che gente abbiamo a lottare nella nostra cara Sardegna: falsi testimoni, intrighi, calunnie, a difesa di funzionari venali; bisogna agire con prudenza, ma far conoscere ovunque nel modo più solenne che intendiamo rispettata e inviolata la giustizia... c Quanto alla forza, non abusarne mai contro un popolo così fedele, devoto, desideroso di progresso, che gli imbroglioni vorrebbero mettermi in mala vista... « Non ci lasciam traviare da costoro, ne Balle loro maldicenze. La storia c'insegna che tutti gli uomini, i quali compirono grandi cose nell'amministrazione degli Stati, non furono giustamente apprezzati so non dopo la loro morte: furono intralciati in ogni loro passo; e non ottennero luminosi successi se non spiegando una gran forza di carattere. Ora, amico mio, noi più d'ogni altro dobbiamo star preparati agli affronti della malignità umana. La formazione d'un esercito che con l'aiuto di Dio ci porrà in grado di te-J net alto l'onore della patria; la pubblicazione d'un Codice ; la rigenerazione della Sardegna, di tutto un popolo, ecco le grandi e nobili cose, a cui il nostro nome è associato. Caro Villamarina, che potete desiderare di più? Aggiungetevi la vostra coscienza, la mia affezione pubblicamente attestatavi: e vi lascereste abbattere da ciarle di gente insignii! cante? ma che diverrei io se mi accasciassi per tutti gli orrori detti a mio danno, o per gli intrighi che m'assiepano?... Animo, caro mio, mostrate una forza morale che sia pari ai vostro coraggio di soldato. < Fate un po' come me. Di pochi come di me, si è tanto cianciato e blaterato ostilmente ; ma tutto viene a infrangersi contro il mio disdegno, la mia indifferenza, incedo senza turbarmi verso la mia meta, corno in un giorno di battaglia, senza curar le palle che fischiano alle mie orecchie... Non mi preoccupo di odiosità, dove sappia di agire scrupolosamente ne miei doveri verso Dio... . « E' vero- talvolta, ve lo confesso, amico .Villa-marina, H mio cuore è oppresso dallo 'spettacolo di tante bassezze: e vorrei andar lontano, e non sentir più parlar di regno, di «roverno... 11 trattare con certi uomini è unapena insoffribile: ma bisogna pur dominarsi, e compiere il proprio dovere ner convinzionerispetto a Dio e non al mondo; e non lasciarsi scoraggiare per checchessia. Pazienza, fermezza, forza: volontà di fare il bene anche a chi non lo vuole; e decisione di mettere a segno chi malvagio ci annoi. Mi ccaiforla e allieta ciò che dite dell'effetto prodotto dallo scritto del Balbo: ciò piova quanto venga svolgendosi lo spirito nazionale, ed e questa la più gran forza del nostro paese, la maggior speranza del suo avvenire. . « Continuiamo intanto ad agiro con spirito illuminalo, con generosità, oon giustizia; r ne saremo premiati ora dal veder sormontai gli ostacoli : più tardi dui giudizio sereno della poiitmitii. Glande e calunnio saranno obliatequando dell'opera nostra durerà onorata memoria, congiunta a una pagina bella e arando nella storia... •.. Non possediamo finora le responsive del Villamarina: ma un solo suo Memoriale del 1835, col quale arditamente denunciava lo mene austrofile del Lescarene, determinandone la caduta, basta a giustificare la fiducia di C. A., che a tutti chiedeva, da ben pochi poteva promettersi, sincerità e disinteresse di consigli. Dal Villamarina voleva più che tutti una parola d'amico: una volta che il generale si schermì con diplomatico garbo dall'ometter nettamente il suo avviso, C. A. se ne rammaricò scrivendo candidamente: « Voi avete fatto dello spirito, caro Villamarina, quand'io nella semplicità della mia anima parlavo al cuore dell'amico, m'avete recato un vero dispiacere ». Timoroso d'intrighi cortigiani, che minassero la sua posizione di ministro, il Villamarina mandò nel '44 ad assaggiare il terreno presso S. M. il figliolo Salvatore (il futuro ambasciatore a Parigi). C. A. non risparmia una paternale ad entrambi: al vecchio ed al giovane, concludendo — non ascoltate pettegolezzi, venite da me francamente e i vostri crucci spariranno subito. Voi che da tanto tempo mi conoscete, non mi recate l'ingiuria di credere che io possa, per gli altrui subdoli maneggi, commettere un atto di bassezza o di pusillità. Ho il coraggio, grazie & Dio, di ciò -che dico e di ciò che fo : come quello di saper esporre la mia vita allorchè l'occasione si presenti. E il cielo volesse che fosse presto il momento di gettarla per l'indipendenza nazionale: si vedrebbe allora di che sono capace... La preparazione alla guerra santa fu lunga, intralciata pur essa di rovi, perchè non doveva il rinnovamento limitarsi agli ordinaménti civili, ma estendersi all'esercito, scosso nella sua compagine, dal disastro della prima Novara del '21, dallo cospirazioni del '33; inquinato in una delle prime sue fonti, l'Accademia torinese; insidiato fin nel corpo delle guardie reali. Quale amarezza provò il Be nello scoprirò per le propalazioni del Brofferio (il demagogo-cortigiano) che si era tramato di ucciderlo, esecutori o almen complici i custodi della Reggia. Perdonò magnanimo: ma traboccò nel suo cuore lo sdegno, allorchè dalle congiuro mazziniane potè legittimamente temere gli venisse spezzata tra mano l'arma che accuratamente teneva forbita pel duello con. l'AuBtria. Se allora fin Gioberti, Cavour, le teste più equilibrato si lasciavan sedurre da ribelli disegni, figuriamoci il fermento di quell'alveare che era l'Accademia di Torino. Tutta una serie di lettere di C. A. al Villamarina ce no descrive le condizioni lacrimevoli e morali e politiche. Dilagava il mal costume nelle sue peggiori degenerazioni: della disciplina rilassata al più alto grado l'occhio scrutatore del Re sorprendeva sintomi sconfortanti nell'attitudine poco meno ohe provocante al suo cospetto di officialetti riottosi. Fanno certe smorfie, osservava al Villamarina, da tradire a che punto ci abbia tratti il lasciar correre, il dare soverchia familiarità, il rallentarne fino ad annullarli i vincoli della disciplina. Fu dunque col Villamarina tutto un as^ siduo lavorìo di disinfezione morale, e di educazione rigidamente militare; perchè da quel vivaio di officiali uscissero giovani capaci di onorare il Piemonte e la sua ah? tàca prodezza nell'ora dell'ardue prove> imminenti. Nè francesi, nè tanto meno austriaci (scrive C. A. al Villamarina) mi faranno mai paventare della nostra nazionalità, se molti cuori rispondono a quello che Dio m'ha dato. Credetelo, finché avrò la speranza ohe il vecchio valore piemontese sia intatto, saprò sempre di possedere un'immensa forza malgrado l'esiguità territoriale de' miei Stati. E il mio coraggio si centuplica allora nella fiducia che Dio proteggerà la nostra causa santissima: al pari della Spagna contro Napoleone, della Svizzera contro gli austria*^ degli abitanti del Caucaso contro l'immensa Russia, sapremo vittoriosamente difenderci. La preparazione militare piemontese aveva necessariamente un carattere difensivo, non aggressivo. Fin dal '35 (appunto per ammonire C. A. che l'Austria conosceva certe speranze nutrite a Torino di prossimo sfasciamento dell'impero danubiano) gli si era detto chiaramente : che al minimo scarto di politica nazionale, l'ombroso preveggente Racletzky gli sarebbe saltato al collo. Conoscendo dunque a fondo l'Austria da un lato, avendo finito dall'altro col concepire una sconfinata disistima per la monarchia di Luigi Filippo, teneva C. A. per fermo che le i. r. truppe potessero un giorno o l'altro assalirlo, Bensa ohe la Francia pensasse a soccorrerlo, t I liberali dovrebbero, (scriveva al Villamarina) convincersi che l'interesse dinastico è tutto per L. Filippo. Quel governo che ha ingoiato i maggiori affronti dall'Inghilterra, in questioni d'interesso personale e di prestigio nazionale; che s'è lasciato provocare dalla Germania nelle vertenze fra Turchia «d Egitto, non comprometterà certo mai il suo avvenire per esclusivi vantaggi d'Italia ». Noi quindi, sottintende, dobbiamo astenerci da passi inconsiderati e star pronti a ricacciare un attacco inopinato austriaco. In alcune considerazioni del giugno '48, indirizzate al ministro della guerra Franzini, come risposta alle critiche mosse da ogni parte alla condotta della guerra, Carlo Alberto invitava i facili censori a riflettere che alla formazione dell'esercito aveva presieduto il concetto di sostenere una guerra d'indipendenza nell'interno del paese, infinitamente più che non la mira di spedizioni lontane: da ciò derivavano difetti, lacune a cui non s'era potuto, nel marzo, allo scoppio della rivoluziono delle Cinque Giornate, apportare pronto, adeguato rimedio. **'* C. A. dovè staccarsi dal Villamarina nell'autunno del 1847: e il perdere quell'amico fidato fu un gran dolore pel Re, che gli scriveva angosciato di non saper sopportare l'amarezza di un ultimo abboccamento. « Je vous aime sincèrement et do grand coeur; vous voir domain màtin dans un moment sembiante, Jc vous l'avoue, ca me decliirerait rame; apres, venez me voir et eroycz quo mori affection pour vous se conserverà inaltérable et s'étendra en preuves sur votre famille ». Al successo della guerra del '48-'49 non giovò l'ingerenza al campo di un ministro della guerra, responsabile al Parlamento : e C. A. avrebbe potuto declinare iterameli te la colpa che gli si addossava per gli in successi militari, riversandola sul Fransi ni, sul Bava, sul Salasco, ecc. Cavalleresca, sublimo, fu dunque l'attituditie del Re, che dopo l'armistizio Salasco, indirizzandosi al Rcvel c al nuovo titolare del Ministero della guerra, generale Dabormida, protestava — non avrebbe egli mai lasciato denigrare alla cieca tutti i generali, e li avrebbe sempre coperti della sua responsabilità, anche se in fatto non gli spettava. V'era p. e. grande irritazione contro il Salasco. Non son io (scrive C. A.) che l'abbia chiamato, come si deve egualmente al Franzini la scelta del gen. Chiodo, a' miei occhi incapace. Ma il Salasco ha ad ogni modo spiegato gran coraggio, nè s'è lasciato mai abbattere, ha diritte a rispetto e delicati riguardi. L'inchiesta su tutti i generali è una misura rivoluzionaria: e vi prego di credere che io ho abbastanza cuore per addossarmi tutto sulle spalle, sfidar tutti gli odi, deponendo poi subite dopo tale affronto una corona, che unicamente conservo in questi gravi frangenti per devozione alla patria. Così parlava ai suoi ministri Re Tentenna! ALESSANDRO LUZIO.