Gazzettino del Santone

Gazzettino del Santone Gazzettino del Santone Terra di Norotenskittld, Spltsbergen, . settembre Quando la scoperta dei giacimenti di cartone, treni'anni fa, fece affluire allo Spitsbergoia nna vivace emigrazione di minatori e di ingegneri, costoro trovarono l'isola assolutamente deserta : non baracche, non capanne di pescatori, nessuna traccia più degli splendori dei secoli precedenti, quando la favolosa ricchezza delle sue acque attirava ogni anno flottiglie norvegesi inglesi e olandesi. La Città del Grasso Allora, nei secoli XVI e XVII, veri e propri! paeeetti ai erano creati sulle coste, regolarmente visitati ad ogni estate da un numero sempre maggiore di marinai. All'estrema punta settentrionale dell'isola, nella Baja della Vergine, gli olandesi avevano addirittura una città, che essi chiamavano Smeerenburg, la Città del Grasso. Questa emula di Bologna, almeno a giudicare dall'appellativo, visse per lunghi anni una cosi gaia vita che veramente un petroniano sibarita non l'avrebbe disdegnata. Osterie, pastiooerìe, caffè, balli pubblici, bische: il tutto sotto la protezione di un forte e di numerose chiese. E nelle strade larghe della metropoli tumultuava e trafficava —. se vogliamo credere alle cronache del tempo — una folla di quindicimila persone. Durante ì mesi d'inverno, naturalmente, la città rimaneva deserta : allora non si sapevano ancora i rimedii contro la lunga notte artica, e quei pochi ohe eran costretti a svernare morivano di scorbuto e di nostalgia. Ma poi la pesca delle balene, sfruttata per secoli senza misericordia, cominciò a diventare difficile e improduttiva; i pescatori si spostarono verso il Greenland, la Città del Grasso morì. Non se ne vede più un segno ora nella solitaria baja a cui Andrée diede una nuova celebrità : non c'è che ima piramide di sassi, fatta erigere nel 1906 dalla Regina di Olanda, sotto la quale sono state raccolte le numerose ossa umane trovate più tardi sul luogo. Partiti dunque i pescatori, non avendo mai l'isola, a memoria d'uomo, posseduto una popolazione indigena, essa rimase solinga e deserta fino all'arrivo dei primi gruppi di minatori. Ma voi sapete bene che un deserto, per essere deserto sul serio, deve avere degli eremiti. E lo Spitsbergen non ha voluto fare eccezione. Trovarono dunque, quei minatori, dei santoni, degli eremiti, sperduti qua e là in quell'immensa solitudine di rocce e di ghiaccio. Erano monaci russi o finlandesi. I loro conventi li rifornivano ogni anno di viveri. Durante l'inverno, essi tendevan trappole alle volpi azzurre, agli orsi bianchi; e quando tornava l'estate, avevano in serbo una bella collezione di pelli preziose che servivano ad aumentare le entrate del convento. I più avevano il cambio dopo un inverno o due ; ma ce no furon di quelli che rimasero vent'anni in quel perfetto eremitaggio. Avevano dimenticato ogni idioma umano; la vita degli uomini aveva perduto ogni importanza ai loro oochi ; vivevano con le rocce ed il suolo in quella comunione di sensi, in quella più ampia sfera di vita a cui noi siamo, d'ordinario, sordi e ciechi. Cronache di bestie e di elementi " Guido Gozzano, supino nel trifoglio, s'ac é%rse di- questa vita in cui gli uomini entrano, tutt'al più, come guastafeste: v'ta di steli, di insetti, di goccio d'acqua. E se ie accorse quel russo ohe udì e trascrisse il dialogo delle montagne: quel colloquio che dura, con pause e sospiri, migliaia di secoli, e fra una frase e l'altra la razza degli uomini nasoe, s'affanna e muore. Microorga* nismi, elementi : ma noi li abbiamo catalogati per sempre nei nòstri libri dotti, e il fragore dello città blaterone ci impedisce di accorgercene più. Bisogna, appunto, anneghittirsi fra il trifoglio un giorno di falciatura ; o camminare per giornate in queste terre intatte. Allora si riaprono gli occhi, 6Ì sturano le orecchie. Zu. zu, cari mosconi. Come stanno lo vespe e 1 calabroni? : E allora voi dite: Che ci sta a fare il giornalista, dove la pettegola cronaca degli Uomini muore! Caro lettore, io ti rispondo che ci son più tragedio e fatti diversi quassù ohe nelle tue città monotone. Quella famiglia di balene così organizzata e metodica come una famiglia teutonica è proprio degna di uno stelloncino ; quel cimitero di uccelli y» arini alla foce del torrente merita una menzione accorata (chissà per quale presentimento questi uccelli sentendosi presso a morte scelgon tutti lo stesso angolo ; o è invece la corrente del mare che spinge tutti i cadaveri a questo punto?). E come begli articoli descrivon da noi, in tempi di tumulti sociali, la silenziosa potenza delle masse ornane sfilanti nere e innumerevoli per le grandi strade, quali preoccupanti articoli . di fondo non si potrebbero scrivere qui, dopo vedute al lavoro le forzo minacciose del ghiaccio del mare del suolo? Ometti sparuti siamo, di breve ora e di breve èra, davanti alla indifferente lentezza di questo lavorò: ma domani s'apre la terra, fluisce di nuovo il fiume di ghiaccio dal Polo fin sui Mediterraneo, e che ne è delle nostre frontiere e delle nostre culture? Udite la storia dello Spitsbergen. Centinaia di secoli fa, queste isole misteriose erano immerse nello stesso calore torrido che oggi intorpidisce la Libia. Si trovano infatti ad ogni passo, in questi valloni solinghi, fossili di palme, di felci, di cacti, di tutta la flora tropicale. Vedete anzi maraviglia grande: c'è un albero ohe cresce soltanto nella Cina del Sud e in nessun'altra parte del globo si ritrova quella pianta (il nome dell'albero, ohi ci tiene, è ginkgo). Ebbène, foglie fossili di quella pianta ne hanno trovato in grande quantità qui, allo Spitsbergen. E allora io penso ohe anche l'isola che mi ospita sia caduta dalla luna come si dice Sella Cina. (Sapete bene. Si afferma da qualche fantasioso scienziato, che potrebbe anche ai■eocarci, che la Cina tutta intiera, con la sua gente buffa, e la sua civiltà cristallizBtvta da secoli e tutta all'incontrario della nostra, e i suoi alberi strani, si sia divelta da quella grande nicchia che ora nella Luna è chiamata il Mare della Serenità. E dunque i cinesi non si chiamano da sé i figli 3el Cielo, ricordandosi della loro prodigiosa caduta?). Poi il calore decrebbe. Ed ecco che trovata fossili delle piante di casa nostra, faggi, querce, castagni. Forse allora^ visse quassù una razza ed una civiltà che ci sono del tutto ignote. E passarono secoli, e l'isola fu travolta dalla grande invasione glaciale che troviamo'agli albori della nostra storia: • il cataclisma frantumò e serrò fra lo dure pagine della roccia le grandi foreste carbo •Mate. Oggi l'isola indifferente riso^ua jp| m\ Infunili immersa nella tepida ctmsatndrzgvlrvlvccLSdsflsfiEMvlldcpcsdggndcpbgrl(acbsrGfmvacdcddNngcsgmicdl corrente del golfo: mentre forze tumultuose, sempre al lavoro, preparano per domani (un domani cosmico: fra centinaia di secoli) una nuova rivoluzione. Faremo un articolo di fondo su^ questi cataclismi, intervisteremo il ghiacciaio ; lo pubblicheremo nel gozsettino del Santone in prima pagina, dopo ohe abbiamo messo in quarta la storia dei gabbiani morti e dei balenini arzilli. Intervista con II ghiaccialo Pania — Buon dì, signor ghiacciaio. Sono nn giornalista e vorrei intervistarla. Ci posso venire da Lei e a ohe ora? (Il ghiacciaio mi ammicca di laggiù, allungato fra due braccioli di montagne nere: ed ha una gran chioma grigia di nuvole). — Venga_ quando vuole la giornata è lunga, e voi uomini vi addormenterete e vi sveglierete una cinquantina di volte ancora, prima ohe venga notte. Lei non ha che da traversare la baia: ad ogni modo Le manderò incontro la mia figliolanza. Eccola, la figliolanza di papà ghiacciaio. Son migliaia di blocchi di ghiaccio che dondolano sul mare sporco, che crosciano sordamente sotto la prua del battello: con formo strane, contorte, sbilenche, erosi dall'acque irti di punte. Ogni tanto — dev'essere la gioia di vedermi — uno di questi figlioli fa una capriola e si capovolge. Tuff. E rimette il muso fuori tutto differente. Ma laggiù c'è gran baruffa. L'acqua è sconvolta, un coso nero si arrampica sopra ua lastrone che invano cerca di attuffarsi per liberarsene. E un altro coso nero fila alla disperata sull'acqua verso di noi. Son foche, brave fochette svelte e ouriose che portano il loro testolino intelligente fin contro alla barca, per vedere dunque chi siamo e che cosa vogliamo. Dopo poi, fra di loro, ci canzoneranno imitando i nostri gesti buffi... Con questa corte d'onore s'arriva sotto al ghiacciaio. Un muraglione d'una sessantina di metri, disperatamente liscio, piomba diritto sull'acqua, solcato qua e là da qualche crepa per tutta la sua altezza. Ma ai piedi della muraglia l'acqua lavora, antri bassi e larghi scavano e scavano, fino al giorno in cui un pezzo della parete crollerà. Se ne udrà il fragore per decine di chilometri^una nuova montagna di ghiaccio (iceberg} prenderà il largo in cerca delle acque più dolci, in cerca di qualche nave da colare a picco. Intanto il ghiacciaio borbotta, stride, cigola: mi concede l'interri; sta a modo suo. E dice : — Che fanno laggiù, fra Italia e Svizzera, quei pescecani dei miei parenti ricchi? Già loro sono andati a cercarsi le aure profumate del sud, e noi povera gente restiamo qui a sgobbare. Però abbiamo i nostri vantaggi, a restar qui. Intanto carovane di alpinisti goffi non vengono, da noi. E' vero che hanno offeso il ghiacciaio del Lys con dei pali del telefono? E' vero che sul ghiacciaio del Monte Bianco quegli irriverenti di francesi hanno avuto il coraggio di bandire delle gare sportive? Che malinconia. No, a pensarci bene, non sono così fortunati come dicovo, con tante malattie che gli hanno attaccato gli uomini. — Non s'annoia quassù, signor ghiacciaio ? — Annoiarmi? Se. sapesse. Ho tanto da fare, in questa estate così breve, tante centinaia di miglia di vallone da lisciare, tante pietre da portare al mare, tant'acqua da spremere fuori. Poi là sotto mi fanno compagnia milioni di uccelli che orlano le mie sponde. Procellarie, anitre selvatiche, albatros, grandi uccelli armoniosi a congresso sul mare: Alcuni volteggiano^con aristocratica indolenza per l'aria, senza batter mai l'ali, con una tecnica mirabile di penne e di coda ; tutti gli altri stanno a sedere nell'acqua diaccia, così stretti gli uni agli altri che coprono il mare. Questi sono il Suo lusso, signor ghiacciaio. E gli uomini? — Gli uomini stan di là dalla baia e grattano la montagna e ammucchian carbone e ne caricano le navi. Sono neri e tristi, sempre indaffarati, sempre curvi. Entran nella terra e vi stanno ore ed ore, e ne escono stanchi, e non hanno occhi per il cielo e per i monti. E quando possono, scappano via sulle navi nere e non tornano più. — Che ci vuol fare, signor ghiacciaio? Crede Lei che gli uomini si scomoderebbero per questa terra senza approdi invernali, senza donne, senza frutti, per il solo gusto d'immergersi nelle solitudini intatte? Ci vengono per i baiocchi, caro Lei. Auri sacra famr.s. Lei mi deve capire, che paria nello stile dell'Odissea. E Lei forse è geloso che per quei blocchi neri che cavano dal monte si dian tanta pena, e Lei sia tutt'al più la meta domenicale di qualche operaio nostalgico... E anch'io, in fin dei conti, son venuto qui per il carbone, come gli altri. E so oggi ho intervistato Lei, è stato per spasso, e per alleggerire un poco i lettori: ma domani mi rifaccio interrogando dieci ingegneri e venti minatori. Stia bene, e ri conservi così fresco. Bixì. E voltate le spalle alla natura intatta^ tornai pieno di pentimento a ricercare i miei fratelli uomini. E gazzettino del Santone potrà essere un bel giornale: ma purché esca una volta sola all'anno. PAOLO MONELLI. dlmpcnlilConpduipsumtpmvpngtdlclEqfinsoelnpetcnmgmnnzlrqdcfinSsscacmtvplddzdlvnntdN\tNtadlnQsdHlplfcctdadccFmm

Persone citate: Guido Gozzano, Santone, Sella Cina