Un amante dell'Italia

Un amante dell'Italia Un amante dell'Italia , PARIGI, settembre. .-^ le?g«re, l'altro giorno, sulla copertina giallo-limone dell'editore Pdon il titolo del "uovo libro di Gian Luigi Vaudoyer, confesso che mi venne il dubbio di avere a diicndermi da uno spirito armato di pungighoiie e addottorato in sarcasmi. Le delizie ueiVltalial Ecco, mi dissi, uno che torna indietro adesso dalla penisola e che dà sfogo al proprio malumore. Avrà pellegrinato con sospetto su treni vigilati da uomini d'armi quali convogli di colonia penitenziaria, sarà stato travolto mal suo grado m baruffe di piazza e preso a ceffoni per errore, la passione dei carciofi alla giudìa e del vino in fiasco lo avrà condotto a farsi pedinare dalla R. Questura per taverne suburbano e vichi malfamati, i giornali gli avranno rovinato il sistema nervoso con l'attesa quotidiana della notte di San Bartolomeo; e, ripassato il Cenisio con una nova, peggiore che non al partire per le vacanze o giurata nimistà etorna al nostro disgraziato paese, avrà, per cominciare, 'stoso d-ol proprio viaggio una relaziono veridica e particolareggiata atta a disgustare dell'Italia un paio di generazioni di francesi. Aperto il libro col ribrezzo di questa prevenzione, adocchiai qua e là qualche titolo, qualche frase, osando a mala pena fermare lo sguardo sulle parole. Non mi parve di aver colto nel segno. Frammisti alla prosa c'erano dei versi: e chi ha cuore di faro dei versi può egli obbedire a sensi che non tengano dell'amoroso o dell'apologetico ? No, mi dissi: ho ideato a rovescio. Ecco nuo che torna indietro dalla penisola entusiasta di averla ritrovata campo di battaglia di guelfi e ghibellini, di bianchi e neri, di palleschi e piagnoni ; gongolante di aver potuto fare senza rimetterci nulla del proprio un tuffo nel Medioevo e nel Rinascimento, di essersi sentito vamipare sulla fronte lo spirito fazioso e disperato delle torri dei merli, dello bertesche, dei bastioni, tutte cose in cui gli amanti dell'Italia avevano proso ormai £1 mal vezzo di non vedere più se non innocui pretesti di serenate afrodisiache, di essersi urtato ad ogni passo in allucinanti copie di Maramaldi, di Ezzolini, di Orsini, di Borgia, di Cenci in formato tascabile e tirate a migliaia di esemplari, in sinistre e beffarde bande di bellissimi bravi attendenti ad opere di ventura nel chiaroscuro lunare dei trivi romantici. E suo libro sarà un invito al viaggio, destinato a toccare il cuore di quanti non hanno ancora interamente perduta, in questa nostra epoca cinematografica, la passione dello scenario non posticcio, dell'aziono non simulata, del pericolo non immaginario, del sangue non dipinto. Ed è impossibile che, dopo un appello di tal metro, Cook non provveda a indire viaggi circolari attraverso la penisola per procurare alla clientela internazionale la joddisfazione di avere assistito almeno una volta a una zuffa di partigiani come i suoi antenati dell'epoca di lord Nel vii si procuravano quella di farei svaligiare, in omaggio al colore locale, dai cavallereschi briganti cari al bulino di Bartolomeo Pinelli.. Ma anche questa seconda ipotesi doveva tosto avverarsi fallace. No : Gian Luigi Vaudoyer non è uno che torni dall'Italia in proda al disinganno e nemmeno uno che ne torni entusiasta. Il suo viaggio non data da oggi e lo delizie d<» lui evocate non sono quelle dell'Italia dei nostri giorni. Egli ha fatto nella penisola due brevi scorribande nell'autunno del 1020 e nella primavera del 1922 : ma il grosso dei suoi ricordi e il meglio delle sue impressioni risalgono agli anni che precedettero la guerra, e qua e là ci riportano indietro già di tre lustri. Fer nostra e sua ventura, l'Italia di costui c la cara Italia del buon tempo, l'Italia pacifica di quando gli italiani si volevano bene o per lo meno non si volevano male e in ogni caso non ss ne volevano a segno da stimar meritorio sbudellarsi a vicenda tranno che nell'orbita ristretta e un po' monotona del Codice Penale. Confesso che a ritrovarla bruscamente nello pagine di un artista oltremontano m'ò parso di recupera re, in un olezzante granaio di campagna, un pacco di antiche lettore d'amore. Com'era bionda c bella, e corno l'amavi ! Lo lettore passano, ad una ad una, irreparabili, e un accoramento cocento ti strappa le lagrime... Se i giovani che hanno oggi vent'anni potessero s2ntire, attraverso questo, pagine od altre simili, l'incanto di quell'Italia che, ahimè, nou hanno conosciuta, apprenderebbero, scommetto, ad essere migliori italiani. Il signor Vaudoyer, nipote di duo architetti soggior-1 nati all'Accademia francese di Eoma rispettivamente dal 1784 al 17SS e dal 1327 al | 1831, ne ha composto un ritratto che, a considerarlo oggi dal mezzo della nostra baraonda politica, può sembrare un po' troppo quieto ed agghindato, fuori del naturale, adatto più ai bisogni dell'industria dei forestieri che non agli usi interni, ma che sarebbe nondimeno rigorosamente somigliante', se non fosse tanto mutato l'originale. Composto per la gente del suo paese.non | sarei lontano dal credere che nel tracciarlo l'artista abbia pensato molto anche a noi, come.un amico sagace il quale perspietrare il cuore di duo amanti dimentichi sul loro tavolino una fotografia che li rappresenta abbracciati. Purtroppo non so quanto la nostra generazione, e, a maggior ragione, quella successiva, giacché ormai la nostra ha oessato di essero l'ultima, sia capace di intendere l'Italia come la intende, per semplice istinto, un forestiero di buon guato. Da molti anni prima della guerra il bisogno di azione si era tradotto fra noi in un fastidio del passato che non poteva renderci meno idonei all'intelligenza genuina del nostro paese. Noi attraversavamo quel curioso periodo di transizione e di assestameato in cui anche un antico ed illustre popolo può sentirsi battere il cuore alla vista di un tranvai elettrico e mantenersi impassibile in cospetto di una facciata del Palladio. Che dei forestieri potessero, pellegrinando per città e per terre nostre, trovare più interessanti lo facciate del Palladio che non i tranvai elettrici era cosa di cui soffrivamo profondamente; e non ci facevamo scrupolo di farlo loro comprendere. Bisognava che così fosse, e non ho mai misconosciuto il valore essenziale della riscossa futurista: ma, a ben riguardare, anche il futurismo era meno pertinente di quel che non sembrasse, in quanto che nello scagliarsi contro il passato in nome dell'avvenire i nuovi Attila davano a divedere di credere il primo dei due molto più vivo per noi di quel che non fosse in realtà. Bandivano la crociata contro i Musei e le anticaglie: ma chi, di grazia, nel grande pubblico nostrano badava sul serio agli uni ed allo alfa*? Marinetti e i suoi amici predicavano, drnvaaclbdpaltCpscvttarI' in fondo, a so stessi assai più che non alta piazza, la quale era ed ò abbastanza ignorante per non temere .che l'ossessione del passato abbia a sbarrarle la strada dell'avvenire. Il futurismo, por logico e necessario che fosse, cadeva nell'assurdo di essere uno sfogo di saturazione culturale verificantesi in un paese malato di inopia di cultura. Anche prima della guerra, dunque, non so quanto sensibili potessimo dirci al meglio e al più proprio del fascino dell'Italia. Preferivamo Milano a Venezia, a Vicenza, a Napoli, a Siena: e avevamo perfettamente ragione ; ma perchè avevamo radicalmente torto. Chi, del resto, aveva fatto qualche cosa per insegnarci a non disprezzare per amore di Milano — un male necessario — tutto il resto, ohe al nostro olfatto sapeva soltanto di muffa? I nostri artisti, con D'Annunzio alla testa, avevano avviluppata l'Italia secolare di una cobi superba gualdrappa di orpelli letterari, da scavare cento volte più profondo il solco che la divideva dalla spontanea sensibilità del popolo. Esaltavano l'antico, ma l'antico fra le loro mani diventava scenografia cessando definitivamente di essere vita. Arricchivano il patrimonio estetico nazionale, ma non insegnavano a godere di quello già esistente. Direi, anzi, che quella letteratura strepitosamente panegiristica abbia sciupato la freschezza di più d'una intuizione ingenua ed immediata che avevamo serbato dell'antico, propinando alla nostra pigrizia il pregiudizio dell'impossibilità che l'antico potesse essere sentito ingenuamente e senza aver prima seguito un corso completo di stilistica, di metrica e di eloquenza ad hoc. Diventato genere di lusso, il passato razionale interessò, insomma, ancor meno di prima un popolo che aveva tutto un avvenire di prima necessità da sistemare. La guerra ci colse, così, in uno stato di indifferenza pel nostro proprio clima estetico che non poteva un giorno o l'altro non far capo ad una crisi. Il libro del Vaudoyer, modello del modo come un uomo bennato e di gusto sano può amare l'Italia, è prezioso appunto pei lumi che ci fornisce sopra una delle ragioni che dovevano rendere il nostro paese tanto poco amabile: il disamore di sé stesso. In lettori ohe le estasi dei forestieri davanti a un soffitto del Tiepolo o a un palazzo di Siena avevano sempre indotto ad ombrose alzate di spalle, i capitoli squisiti dedicati loro da questo seguace di Stendhal non possono non provocare oggi una reazione simile a quella dell'amante il quale scopre, troppo tardi, le virtù di una donna che ha misconosciuta e perduta. Cerano dunque nel 1914 uomini i quali attraversavano l'Europa, valicavano le Alpi unicamente per scaldarsi, un pomeriggio, al sole delle nostre piazze, eedere una sera al Plorian ad assaporare un sorbetto, recarsi in pellegrinaggio una mattina a Villa Valmarana, pernottare insonni in un albergacelo di Mantova, sostare ammirata davanti al canestro di un venditore di quei polipi che « paiono scolpiti nel corallo rosa, ammucchiati in ciotole di terracotta dall'interno smaltato di verde pallido a striature cupe », dare un salutino all'Orto botanico di Padova e al chamaerops humilU, di Gianlupo di Goethe, cogliere una camelia a una spalliera della villa Marlia di Lucca, vagabondare sulla marina di Ancona, « questo porto dove i moli sopportano archi trionfali e serti di palazzi in cui Claudio Lorenese avrebbe ravvisato i propri sogni », desinare sotto la pergola di una trattoria rustica con un salmi di lepre o un piatto di melanzane alla parmigiana. Come avevano ragione! Tutta questa era. felicità, e della migliore, di quella che imbalsama, nel ricordo, una intera giovinezza, una intera vita. Era l'Italia : un'Italia, come ognun vede, alla buona, quotidiana, accessibile a chicchessia, monda di aggettivi, metafore e prosopopee, parca di rime, senza coturno, senz'enfasi. L'Italia vera, via: pacifica, attiva, ilare, giudiziosa, modesta, naturale. L'apprezzavamo quanto meritava? Non oso affermarlo. Nessuno, già senza una speciale preparazione psichica, apprezza il proprio paese come merita : e una delle ragioni — non fo' un paradosso — per cui sarebbe più necessario internazionalizzare la vita mi pare appunto di vederla nell'opportunità di fornire alle genti quell'esperienza diretta di cose, uomini e luoghi che sola può permetter loro di gustare il sapore di ciò che loro appartiene.' Oseremmo noi violare col nostro sconcio trepestìo di marmaglia rissosa la serenità delle nobili piazze su cui la sorte ci ha concesso di vivere, vorremmo noi avvelenare di bestiale ira la pace di una casa votata, per semplice privilegio geografico, più che ogni altra d'Europa alla felicità, fra il suo cipresso e il suo olivo, fra il giardino e l'orto, fra la marina e il monte solatio, casa che a chi ci viene di lontano dà idea di avercisi a vivere senza pena ne travaglio, come in un Eden, se non avessimo interamente smarrito il senso della godibilità di questa terra che ci fu data? Non posso, purtroppo, presentarvi Le delizie dell'Italia nella maniera che sarebbe per voi e per me più gradita : citandovene le pagine più belle. Ma concedetemi almeno di esprimere platonicamente l'augurio che il libretto semplice sincero e appassionato di Gian Luigi Vaudoyer, scritto senz'ombra di quell'idropisia encomiastica che imperversa tuttora nelle opere in cui i nostri massimi luminali viventi fanno all'Italia l'onore di toglierla a soggetto dei loro saggi di bello scrivere, incancrenendo nel nostro spirito la piaga del borioso e ampolloso retoricheggiare, diventi un giorno, con qualche altro, dello stesso genere, testo di lettura pei nostri scolari. Forse, addestrati a meglio gustare la grazia di un paesaggio italiano, di uno spettacolo italiano, dal soffitto tiepolesco «' in cui nulla più ha peso, nessun'ombra è nera, tutto sembra svaporare, innalzarsi nell'aria, tutto fa ascensione i al banco di un venditore di cocomeri « dalla scorza del verde nero e lucente di certi marmi, che a tagliarli mostrano una carne morbida e brillante d'uu rosa immensamente delicato, su cui i semi, d'un nero di giajetto, somigliano maschere carnevalesche su domino di seta », forse, dico, introdotti bonariamente e senza sforzo nell'intelligenza delle mille bellezze spicciole, gratuite, domestiche di una vita di cui abbiamo totalmente disimparato la umile ricchezza gaudiosa, ritroveremmo I spontaneamente e per virtù interna il sen'so di quella gentilezza che negli uomini degli altri paesi il nome d'Italia basta, ioIo, a ispirare. CONCETTO PETTINATO