Lo Stato e le banche

Lo Stato e le banche Lo Stato e le banche Intendo di esaminare i due punti del compito affidato dal partito fascista alla Commissione dei 15, che riguardano argomenti economici, e cioè rapporti fra Stato e banche e regolamentazione tecnica e giuridica dei sindacati di mestiere. Circa alla prima materia, che oggi ci occupa, il comunicato dice precisamente cosi: «Studiare i rapporti fra lo Stato « nazionale e gli Istituti di credito, allo « scopo di impedire che questi, giovan« dosi della loro organizzazione e dejla « loro forza, possano contrastare gli in« teressi preminenti della nazione e svia.« re o compromettere il risparmio pri« vato ». Di tanto in tanto i nostri nuovi legislatori che salgono al potere trovano la necessità di occuparsi di questioni tecniche già studiate e ristudiate, esaminate punto per punto in inchieste rimaste celebri per la competenza dei testimoni chiamati a deporre in esse e dei relatori. Questo è appunto quanto si verifica in materia di credito, per i rapporti fra esso, lo Stato ed i risparmiatori. Non vi è certo nulla di male che una nuova Commissione, dopo il « Bullion Report » del 1819, riesamini questo tema per illuminare gli uomini .politici del partito fascista. Dal punto di vista della scienza e della pratica economica si può però predire molto facilmente sino da ora che l'inchiesta concluderà nel senso di riaffermare la necessità che lo Stato lasci le cose come sono, perchè ogni suo intervento costituirebbe il più esiziale ostacolo alla formazione del risparmio ed alla permanenza di esso in Italia. Su questo argomento mi sono già trattenuto tante volte, specialmente quando accaddero i vari 'disastri bancari, che non voglio annoiare i lettori ripetendomi sia pure con parole diverse. Bisogna mettersi bene in mente che le banche non speculano per conto proprio e non cooperano affatto a quei « booms » al rialzo, od al ribasso, che di tanto in tanto sconvolgono i mercati, accendono le manie intervenzioniste ed aprono larghi vuoti nelle fila del risparmio, e specialmente di quello piccolo : perchè quello grande, generalmente, si trova nelle mani di uomini che conoscono molto bene la natura dei titoli sui quali si opera e sanno quindi con molta precisione il momento in cui conviene loro di fermarsi e di liquidare le differenze, specialmente quando giocano allo scoperto, cioè senza possedere i titoli od il danaro nel momento in cui si impegnano. In una parola, il mercato del credito, che è funzione bancaria, va distinto da quello dei valori, dove ordinariamente lavora la speculazione, e le due mansioni restano assolutamente separale. La speculazione opera sempre, quotidianamente, in tutto il mondo, su tutti i mercati dei titoli e delle merci. Ed è indispensabile che ciò avvenga, perchè altrimenti il mondo economico non sarebbe più quello che è oggi ed i contratti a termine, base dei rifornimenti internazionali, specialmente di materie prime e di commestibili, non potrebbero più avere luogo con la vastità necessaria. Le banche non fanno altro che fornire i mezzi e facilitare l'azione di tutte questo gigantesche e quotidiane operazioni: e lo fanno, prendendo le dovute precauzioni contro i rischi del credito, che viene concesso secondo metodi che la tecnica ha continuato incessantemente a perfezionare, riducendo così sempre più infinitesime le perdite a cui esso vanno incontro. E la statistica insegna precisamente che, di fronte alla massa delle transazioni compiute, i rischi che le banche — ossia i risparmiatori che affidano ad esse i propri fondi liquidi — corrono, si riducono oggi a pochi millesimi di lira per pgni mille lire. Se esse poi commettono degli sbagli ed appesantiscono il loro portafoglio di cambiali o di altra carta che ha un valore minore di quello nominale, non ottengono più facilmente il risconto o lo debbono pagare di più ; precisamente come un privato, la cui firma comincia a diventare discussa, deve offrirò garanzie sempre maggiori per procurarsi a credito dei mezzi liquidi. E ciò naturalmente basta per porre sull'avviso tanto la banca, quanto i depositanti. Insomma, il credito costituisce un commercio come un altro e non vi è ragione che lo Stato si preoccupi dell'esercizio di esso, più di quanto non faccia por qualsiasi diverso tipo di attività economica. »*• E1 vero però che oggi le banche in Italia hanno acquistato una posizione particolarmente preponderante ; e quindi potrebbe *a prima vista apparire opportuna una serie di disposizioni legislative, magari transitorie, le quali mirassero a regolamentare questo stato di fatto eccezionale. Ma invece un esame più approfondito dimostra che è vero il contrario e che proprio oggi è più che mai indispensabile che lo Stato si tenga lontano dalle banche, per ristabilire l'equilibrio compromesso con danni gravissimi dagli interventi legislativi. Invero, se attualmente gli Istituti di credito ordinari (non tratto di quelli di emissione, perchè il loro problema è affatto diverso e non è evidentemente ad essi che si riferisce il compito affidato alla Commissione dei 15) sono troppo potenti di fronte all'industria, ciò dipende esclusivamente dal modo con cui anche in Italia venne sostenuta e finanziata la guerra, obbligando le banche a fornire tutto il credito necessario alle industrie, perchè ampliassero rapidamente la loro produzione, senza nessun riguardo al costo. Ne derivò per necessaria conseguenza che la carta bancaria crebbe a dismisura, e, firmata la pace, si presentò il problema di cosa fare di tutta questa carta. La via economicamente più corretta era che essa cadesse fino a quel fondo che si meritava. Sarebbero fallite aziende e banche in buon numero e, dopo una violenta crisi, ci saremmo trovati in una situazione di mercato risanata, in cui banche ed industrie avrebbero ripreso rispettivamen te la propria fisionomia e la propria in dipendenza. Perchè questa via non venne tenuta? Appunto perchè intervenne il potere politico a precluderla con una serie di decreti-legge, nei quali si seguiva la via del cosidetto salvataggio tanto delle industrie quanto delle banche sinistrate dalla guerra. Naturalmente io non discuto più qui se ciò fu una necessità politica o meno, se costituì in definitiva un bene od un male. La questione adesso non è più questa, perchè ciò che è avvenuto è avvenuto. Lo Stato di fatto che i provvedimenti governativi hanno creato è quello che più importa e si può rappresentare così. Gli organismi bancari maggiori che hanno po¬ tuto ricostituirsi in buona parte con maggioro velocità si sono ridotti ari un numero minimo. Le industrie anche sane, ma sulle quali tutta la legislazione di guerra ha pesato in un modo disastroso, sia arricchendo i dirigenti ed indebolendo le aziende, sia per le conseguenze complesso di quella legislazione tributaria eccezionale, delle quali faremo presto la storia, si videro costrette, per superare vittoriosamente la crisi post-bellica, ad appoggiarsi al credito, non solo per quel tanto di capitale circolante che normalmente e correttamente si richiede, ma anche per il capitale fìsso, od ni ogni modo a lunga scadenza. Ed era "V aturale che le banche, in una situazione di cose così eccezionale, allargassero il loro controllo sulle industrie finanziate: ciò costituiva e costituisce, da parte di esse, più ancora un dovere che non semplicemente un diritto. E questa tendenza si è più accentuata in causa della disorganizzazione del mercato internazionale, provocata dalla disinvolta politica monetaria dei Governi, con relative danze dei cambi. La quale circostanza, costringendo le banche ad intervenire con forine nuove e con ampiezza inusitata nel credito all'importazione delle materie prime ed all'esportazione dei prodotti finiti, ha cooperato vigorosamente ad accentuare il predominio della banca sull'attività economica del paese. Si tratta però di una situazione anormale e con carattere passeggero, per la semplicissima ragione che la divisiono del lavoro non rende conveniente agli istituti di credito di impegnarsi così a fondo ed a lungo nelle industrie, perchè queste forme di immobilizzazioni finiscono con l'allontanare il risparmio, essendo insito in buona parte di esso il bisogno di rimanere liquido. E qui si rende opportuna una osservazione. Non vorrei che con quella frase, appositamente da me riportata per esteso, dei rapporti fra « lo Stato nazionale e gli Istituti di credito », si fosse voluto, sia pure solo in forma indiretta, rendere omaggio a quell'insulso concetto che fa una distinzione fra banche internazionali e nazionali. Le banche, in quanto amministrano il risparmio, sono tutte internazionali, perchè non esiste una forma di ricchezza più fluida e quindi tipicamente internazionale del risparmio. Oggi i conti corrispondenti, fra le banche serie di tutti i paesi del mondo, sono colossali come non furono mai per il passato ; e per opera di essi il risparmio del mondo corre rapidamente là dove un'occasione anche temporanea gli garantisce un buon rendimento con la maggiore possibile garanzia. Ecco il perché oggi una massa considerevole di esso richiede di rimanere liquido. E più le banche italiane conservano stretti rapporti con quelle estere, maggiore è la garanzia che ne deriva di savia e prudente amministrazione, a vantaggio dei depositanti e dei correntisti. Nella situazione del genere che qui ho cercato di prospettare, è chiaro che allo Stato non resta che un compito solo: lasciare che le banche facciano quello che meglio credono, nei limiti delle leggi esistenti, perchè più accelerato diventi il movimento già iniziatosi per il ritorno alla normalità dei rapporti fra banche ed industrie, sicché queste ricuperino una maggiore libertà. Siccome però le industrie che desiderano questa libertà sono quelle sane ed organicamente robuste, e non quelle di serra calda e di speculazione, così scaturisce da questo fatto quale può essere l'opera, indiretta ma veramente feconda, dei poteri pubblici. La quale opera si riassume nei seguenti molto noti caposaldi: 1° Una savia finanza, perchè la moneta non peggiori, il credito all'estero si riaffermi e gli oneri tributari non si facciano tropp\) pesanti.; 2° Troncare la politica dei salvataggi, la quale non può venire pagata da altri se non dal fondo dei risparmi, creando ad esso degli oneri e delle perdite di ben altra portata, di quelle che si teme possano derivare dalle banche ; 3° Non creare artificiosamente opere da eseguirsi da industrie nazionali, per tenere in piedi organismi industriali — come certi cantieri navali, officine meccaniche e stabilimenti siderurgici — che pesano su tutta l'industria sana; 4° In linea generale, eliminare qualsiasi protezione, in quanto imprime al risparmio un indirizzo sbagliato e bisognoso di costosi sostegni bancari. Questo è tutto: ma è già troppo, perchè in Italia non si è mai riusciti ad ottenerlo. ATTILIO CABIATI,

Persone citate: Bullion

Luoghi citati: Italia