La scoperta di Livio

La scoperta di Livio La scoperta di Livio asperanza di nuovo grandi scoperte . nella letteratura latina s'era oramai ri- tnunziato da tutti. I papiri di Oxyrhynco», ..quelli di Pompe: ci rivelano quasi ogni ggiamo nuovi frammenti dell'arte c dei pan-|Biero greco; per la lettura di nuovi papiri • 80110 migliaia e migliaia! — veniamogogni giorno a sempre meglio conoscere l'or- gganizzazione dell'impero n lo influenze: -iella ■Rita e del diritto orientale sopra il giure •"xomano; ma gli storici i poeti (.li Keraa ,jche il tempo e la barbano degli uomini •••! inanno invidiato, dove ritrovarli? I filoioghi " •'*'• ' ';jtìel Rinascimento che movevano a liberarli I* dagli ergastoli dei barbari », roggio SBracoolini, Niccolò Niccoli, avevano dinnanzi a sè la miniera inesplorata delie ìbadie benedettine e delle cattedrali episcoSpali, a dove infiniti volumi — scriveva il «Niccoli — giocavano nello sterco, ignoti ed Rinvisi ai loro possessori ». Oggi tutti i |$fondi delle librerie conventuali, siano passati alle biblioteche pubbliche o conservati nei monasteri, sono conosciuti, di ogni collezione di manoscritti è la stampa o almeno compilato il catalogo. Da un palinsesto potrà forse saltare ancora fuori qualche cosa, come nel 1819 il " De Republica » di Cicerone, ma e assurdo pensare che opere di grosso volume possano essere icolate sotto la scrittura di alcun codice raJjJBcliiato. A queste diffidenze di ordine ge■ ncràle riguardo alla possibilità di scoJprirc alcuno scrittore latino si aggiunUgevano quelle particolari rispetto a Tito Livio. Nessun uomo di studio si seppe lijniai dar paco che della più grande «opera di storia di Roma sopra 142 f libri onde risultava, il caso o la barbarie o l'incuria ce ne avesse lasciati appena 35, «lei quali due incompleti, e pochi altri frammenti. Rinvenire l'opera intera fu il sogno e il tormento di intero generazioni. Ma sempre quando il sogno parve avvicinarsi alla realtà sopravvenne più amaro il disinganno. « In un monastero circestiense della Dacia — scriveva il Niccoli — ci sono, come affernieno molti, le X Deche di Tito Livio in cinque codici vetustissimi di scrit- tura longobarda ». Andate, cercate. Ma jchi cercò nulla potè trovare. Andrea Giuliano per trovare la II Deca intraprese un viaggio in Germania; da un codice di .Oxford Giovanni Cavallini venne nella persuasione che essa si potesse trovare a Montecassino; a Giovanni Colonna parve di aver veduto la V c in archivis ecclesiao Carnofcensis » (Chartres). Illusioni dell'età degli .umanisti, come illusioni che ai spensero non appena balenate quelle di chi ai tempi Ideila conquista di Tunisi e di Tripoli e di Cirene carezzò la speranza che nella vecchia Africa romana potesse per avventura essere sepolto il tesoro. Ciò che l'Occidente non aveva saputo conservare fosse almeno celato in Oriente ! Ed ecco nei 3.613 un patrizio romano, Pietro della Valle, Iscrivere da Costantinopoli ad un amico che |jf nella libreria ottomana del Serraglio c'è |fla Tito Livio intero con tutte le Deche ». •33d egli lo « sapeva di certo » ! Nella realtà jl medio evo conobbe tre Deche (I, III, IV) le non complete; le ricerche degli eruditi 1 aggiunsero alla nostra conoscenza nel cinquecento i primi 3 libri della quinta, nel seicento quanto mancava della quarta ; poi, a distanza di un secolo l'uno dall'altro, fu Ecoperto qua e là qualche frammento, non (piti. L'ultimo così breve che non solo non si Beppe dedurre a quale libro ma nemmeno a 1 quale Deca si potesse riferire. Fu nel 1850. poi più nulla. In tali condizioni di cose e di spiriti, quando ogni speranza di poter mai leggere intera l'opera di Livio era definitivamente tramontata, l'annunzio secco della scoperta di tutti i libri di lui per parte di tm giovane studioso napoletano — il dottor ■Mario Di Martino Fusco — dato da una Rivista di Napoli, se fece sussultare ogni jouore, non potè dapprima non suscitare le più legittime diffidenze. La forma stessa del comunicato era tale che non appagava 'ohi fa professione di studi. Del luogo ove la «coperta era avvenuta, del numero e della .forma dei codici — perche data la mole dell'opera liviana si deve trattare di parecchi volumi — di tutte quelle indicazioni paleografiche e storiche cho danno serietà alle comunicazioni di tal fatta, nulla. Bisognava credere ed attendere. Solo più tardi, e a spizzico, venne qualche notizia; mai nessuna decisiva. In ricompensa però di cotesto, monche e frammentarie notizie stavano le attestazioni dei maestri e i degli amici dello scopritore. A questi egli , infatti confermò più volte la realtà della Ecoperta. Sta il telegramma del Di Martino stesso al corrispondente romano del « Manchester Guardian», e più autorevole di tutte sta la conferma del fatto che egli diede al Direttore degli Archivi di Stato di Napoli, che ufficialmente lo interrogò a nome e con l'autorità del Governo. Ma più che la conferma del fatto io ecopritore-non volle mai dare. Per quanto si presenti circondato di lauto mistero e in modo così fuori dall'ordinario, il l'atto però — almeno nelle lineo sue sostanziali — non può essere mes-jo in dubbio. D'una di quelle contraffazioni letterarie ond'è piena la storia dell'erudizione non è questa volta nemmeno il caso di parlare. Qui o siamo davanti a Livio onon c'è nulla. Ma a un Livio intero o a parti solo di esso, anche se molto più abbondanti di quelle conosciute? E in che relazione stanno i codici scoperti con quelli noti, la lezione di questi con la lezione di quelli, e perciò in definitiva qual'ò il valore del nuovo testo di fronte all'antico? Sono domande cho ti affollano naturali alla coscienza di ogni studioso e che il Di Martino non può non essersi presentata. Lo si capisce dalla lettera che, costretto dalle insistenze del pubblico ad uscire dal suo riserbo, egli scrive ora ai giornali della sua città. € Bisogna andar cauti », sui-uiare, cagliare, precisare tutto, a Non è il caso idi dare comunicazioni su elementi the nelle loro conseguenze potrebbero assumere uu Valore e un significato diverso da quello che un'affrettata relazione potrebbe far apparire ». Giustissimo. Ma Be confronto il testo della lettera con quello del telegramma al giornale inglese, che pure ho sott'oochio, mi par di leggere in quella esitazioni, che in questo, scritto forse sotto il fervore della scoperta, non risento. Evidentepiente il processo dell'indagine ha fatto sorgere nello studioso dubbi che prima non io turbavano, e l'uomo non vuol rispoujdere di quello che gli altri hanno detto ma polo di quanto ai dotti comunicherà ««li Idirettamente. C'è la coscienza di un uomo. tile non vuole esser vittima d'abbagli, ma Iion vuole nemmeno ch'altri profitti di lui e I gli possa portar via il lavoro. E' giovane «vi b folte. Sa gloria ha. ad essere, essa ha da illuminare tutta e Boia la fronte di lui. I I Ho cercato in quesbi giorni i lavori anto cedenti — qualcuno già conoscevo — di lui. j I* serietà dello studioso non può essere . mossa in dubbio. M» ciò clic più"mi è piaj'oinfco di lui à la serietà morale. Paleografo egli sciite l'austerità della sua disciplina e li! suo valor» nel mondo dello spirito. Fer j ciò è pieno di devota, ammirazione verso i j grandi .Benedettini, clic gli si raffigurano come i « santi conservatori della k-ttera tura antica ». -Egli vorrebbe lavorare sulle j loro orino. Il giovane alzando gli occhi dil i codice clic trascrive guarda a Mbntecaesino e pensa con desiderio alla < tranquillitas ordini:;, dova si può attendere alle più dil' ficili e faticose indagini scientifiche ». Siamo in tempi di « volgare materializzazione della vita », ma no! pensiero di lui non vive che la Napoli dell'alto medio evo, quando, nel declinare rapido della coltura, il Ducato splendeva negli studi come un faro» E sono appunto lo ricerche sullo scuole calligrafiche di Napoli e sulla coltura nel Ducato napoletano che lo hanno portato alla sua scoperta. Non caso dunque, ma sapienza amore e virtù. Il Di Martino non ha ancora, raccontato — e sarà pagina d'interesse grandissimo — il processo delle sue indagini. Ma da quanto si può dedurre dallo relazioni monche ed imprecise degli amici e dalle ricerche che ho fatto sui Monumenti napoletani, io non credo ch'egli dapprima cercasse proprio Livio. Per" i suoi studi lo dovette colpire la notizia ohe il Duca Giovanni III « multos ne diversos ilibros accumulavit et diligenter soribere iussit ». Tra questi anche un Tito Livio Era una notizia passata nei Monumenta del Capasso e nello Schipa dal Pertz, e ben nota agli studiosi. Ma quella che per gli altri era una semplice notizia, per lui divenne un punto di partenza. Tentar di ricostruire la libreria del Duca, e nel corso dell'indagine cercarne i libri per concentrare a un certo punto tutta l'attività sul monumento più cospicuo di essa. Cristoforo Colombo cercava le Indie e trovò l'America, ma senza la sua intuizione di una nuova strada e la passione e la forza della j ricerca, l'America non sarebbe stata soo- perta. Nessun altro che non fosse stato un profondo conoscitore della storia e della coltura di Napoli, che non avesse avuto la perizia paleografica del Di Martino e il senso della ricerca e l'occhio per orientarsi in un labirinto di notizie inestricabili, da un monastero all'alti*», da un deposito all'altro, con il fiuto della scoperta e l'ardore del proseguire attraverso inganni e delusioni, nessun alto sarebbe arrivato dove egli giunse. Da tutti dimenticato, sperduto in qualche recesso, sepolto in qualche sotterraneo doveva esserci un tesoro. Il Di Martino stabilì prima die c'era, poi lo trasse alla luce. Tesoro ho detto. E' la parola. La trepida aspettazione non ha ancora lasciato sollevare lo spirito alla valutazione della scoperta. Ma cotesta trepidanza di tutto il mondo civile per essa è già un accenno alla sua grandezza. C'è una sola storia nel mondo che nel Benso ampio e pieno della parola sia universale, ed è la storia di Roma. C'è un Bolo romano che l'abbia raccontata per intero con la coscienza vibrante di quella grandezza e di quell'universalità, ed ò Livio. So bene le incertezze le .contradizioni gli errori di Livio, le deficienze della sua critica di fronte a Polibio, tutto quel cumulo di difetti che l'erudizione moderna è riuscita a scovare in- lui. Ogni notizia di lui vuol essere — come si dice — controllata, ogni parte della sua narrazione ha ad essere passata al vaglio degli altri storici. Ma chi si vuol fare una idea, sia pure approssimativa, dell'importanza e della grandezza di Livio deve domandarsi che cosa sarebbe • la storia di Roma senza Livio. Fino a qui gran parte dell'edifizio noi dovevamo, sulla scarsa linea desunta dai sommari di lui, integrare con gli altri storici e con le notizie venuteci da altre fonti ; oggi è lecito Bperaro che il tempo ci si abbia a rivelare in tutta l'ampiezza del suo disegno, con tutte lo sue statue e tutti i suoi monumenti. L'animo si confonde nel pensare alle ricchezze che vi &i potranno trovare per entro. Ci sarà lavoro di scavo per intere generazioni di dotti. Si pensi che con tanto fervore di studi eruditi dal Rinascimento in poi, pur dopo le sapienti fatiche del Weissenborn e di Moritz Mucller, non avevamo ancora, per attestazione del Norden, un'edizione critica completa dei 35 libri che soli possedevamo; figurarsi quale ricerca sarà necessaria per avere una edizione degna e una illustrazione compiuta di tutti i cento e quarantadue. Sono vari secoli della storia di Roma cho dovranno essere posti in revisione, e quelli nei quali Livio, accostandosi sempre più s ad tempora certiora », più si è appressato alla verità e più ha infuso della sua arte. Uno storico di Roma, il De Sauctis, arrivato con la sua narrazione alla conquista d'Italia, giustamente rimpiangeva la perdita della seconda Deca per il tesoro di notìzie che noi abbiamo perduto sull'organizzazione della penisola. Se è vero — come ci ha attestato il Cocchia — cho il Di Martino sta ora trascrivendo appunto tale Deca, agli scienziati sarà presto concessa la gioia di raccogliere amplissime cognizioni. Ma in Livio il mondo della storia si fonde con il mondo della morale e della p^sia. La gioia del sapere si integra con il gaudio del contemplare. E per il gaudio di tutti gli uomini balzeranno dalla seconda Deca fuori alla vita le figure di Àppio Claudio il cieco, di Attilio Regolo, degli eroi della ultima guerra s-itnitica e della prima punica. Fu dote massima di Livio la virtù quasi michelangiolesca di plasticizzazione e di dramatizzazione — mi si passino le parole — della figura umana. Con quale potenza di stile' scolpì egli questi giganti, di che vibrante passionalità animò l'opera loro? Risponderà tra breve alla nostra trepida ansia la parola stessa dello scrittore. I limiti della scoperta noi ancora non conosciamo. Ma dentro a quale limite essa si debba contenere — tutte le Deche ne debbano uscire alla luce o solo alcune — la scoperta ha un valore immensurabile. L'entrata di Aristotele nella coltura occidentale fu forse il maggior fatto della civiltà europea; ma essa non dipese dalla scoperta delle opere del filosofo, che poco note agli occidentali esse erano ben conosciute alla società araba e bizantina. Così di nessuna nuova opera greca o latina che il Rinascimento fece conoscere l'esemplare trovato era l'unico. Qui sono secoli di storia che risor gono dal sepólcro per l'unicità di un esemplale. E quale storiai L'ascen sione del civili romanus dal silvestre Palatium al dominio dell'ore/*, ohe per opera sua si trasforma in una cooperazione MmSkmip® di infinito volontà al progresso umano. "E poiché l'aspirazione più profonda dell'umanità, dopo tante cadute e tanti dolori, resta sempre il ritorno dell'ori» finalmente pacato a quella cooperazione armonica di forze, Livio che con senso religioso della sua divinità ci rappresentò quell'ascensione, è uno di quei jwchi scrittori in cui tutte lo nazioni ritrovano l'ideale della propria storia e ogni uomo quello della propria coscienza. E perciò ogni uomo e ogni nazione si cominove alla scoperta di lui come se ritrovasse in lui la parte migliore e più alta di sè. (I. COSMO.