Sindacalismo

Sindacalismo Sindacalismo Da Corridoni a Rossoni la Casa editrice « Modernissima » eli Milano sta per licenziare ni pubblico un volume dal titolo: nappo Corridoni e. il Sturiticaliamo operaie antebellico, di Giovanni Bit£lli. Per la cortesia dell'autore c della Casa editrice, possiamo riprodurre, qui la parie essenziale del capitolo con cui il libro si chiude. Esaurita Ja serio dello enuncia/.ioni teoriche del Corridoni,il HiteJli si propone di » esa-minare Ja situaciene nella, (piale vorrebbe egei a trovarsi — egli dico — la nostra pratica della organizzazione, il nostro sindacalismo, per vederi' se, proseguendo rigidamente nella nostra direttiva, avremmo contusala nostra rotta con quella di altre organizzazioni ». E dopo aver constatino che « gli avvenimenti hanno sbandato parecchi amici (siamo rimasti pochi, ben pochi dei pochi che già eravamo I) c, quel ch'è peggio, hanno Sbandato anche le idee », il Bitclli continua : « Vado rileggendo con molla, attenzione i discorsi e le interviste che Rossoni ha pronunciato e ha concesse come capo del shidaA&lismo fascista. Vi ho trovato enunciate molto delle nostre vecchie concezioni di pratica sindacale, adattate però ad un tale esagerato sentimento patriottico clic sa di rettosica, e mostra chiaramente che quel sindacalismo non è. olirò che la espressione di un partito politico che sostiene al potere, anche con la forza delle masse operaie organizzate, il governo fascista. 11 sindacalismo odierno di Rossoni risente perciò il contraccolpo delle inevitabili alternative tattiche cui ò costretto ogni governo parlamentare, il quale, per mantenersi al potere, anche se sostenuto da una forza giovane, numerosa, appassionata, irruente, quale è quella irreggimentata dal fascismo, deve tuttavia dare oggi nn colpo al cerchio e domani un colpo alia botte. «H sindacalismo fascista, così come lo espone Rossoni, si arrabatta giornalmente nel groviglio' di questa assurda enunciazione: la lotta, di classe c'è, ma non c'è. Non c'è lotta di classe vera e propria» dice Rossoni, e perciò io chiudo nella stessa corporazione padroni ed operai: « Fra italiani ed italiani non debbono esservi pili nò padroni né servitori, ma cooperatori leali per interessi comuni e per il superiore fine della Patria ». però ad un certo punto s'accorge che l'armonia architettata non regge su basi granitiche, ed allora sentenzia: ' « E' vero che 11 Fascismo ha brucialo l'incartamento del processo alla proprietà inptruito dal comunismo, ma il processo potrebbe essere ripreso... Vogliamo «lire che la proprietà ih&eana non può essere tollerata ». Ora l'assurdo di tale sentenziare sta. in 'questo: scientificamente parlando non esiste una proprietà degna di essere proprietà ed una indegna. Esiste una proprietà unica: la proprietà,». •* li Entelli ricorda poi il convegno di Roma, presieduto dall'on. Mussolini, in cui si proclamò raccordò della collaborazione fra le forze produttive, e afferma che, nonostante eia, . le organizzazioni padronali tendono già ad isolarsi ancora, per difendere più che è possibile il loro patrimonio materiale; e 10 spirito operaio, anche se fascista, muove risolata mente contro di esse », Quindi proeeg'ie: «i: f^ntimento patrio non ha sperilo per BuWts ne lo poteva, l'incendio degli interessi perennemente contrastanti. Il fuoco cova sotto la cenere. Qua e là per l'Italia scoppiano fecherelli, che il Capo del Governo cerca di spegnere senza riuscirvi. Questi piccoli fuochi si propagheranno, si congiungeranno, e 11 grande dissidio fra chi lavora e chi fa Lavorare rosseggerà ancora in tutta la sua fatale maestosità, Rossoni, furse senza accorgersene, soffia su quei focherelli e n-e affretta la congiunzione. Nel suo discorso: « La marcia su Roma ed il compito dei Sindacati » pronunciato a Napoli nel dicembre 1982, avvertiva: » Bisogna porre un limito alle pretese operaie perchè l'azienda che produce 100 non può dare 110 di salario; ma bisogna anche porre un limite all'appetito ed al guadagno padronale. Profitti logici e giusti, sta bene, per le aziende che creano la possibilità di dar lavoro e vita agli operai, ma non misconoscimento del giusto compenso agli operai . dovuto. Per giungere ad un giusto rapporto si potrebbe adottare la forinola: « capitalizzazione del lavoro ». I] lavoro deve essere capitalizzato così: se alla fine dell'anno il lavoro manuale ed intellettuale guadagna 10 mila lire di salario, questo denaro, compatliilroente coi frutti delle aziende, deve essere considerato alla stregua del capitale investito nell'azienda stessa per il dividendo. .Si pone cosi un termine di equità indispensabile tra capitale e lavoro ». A parte la forma della enunciazione, la quale, per il palato degli operai, contiene troppi ■ distinguo », essa è tuttavia sostanzialmenre chiarissima. Soprattutto per la pratica miligenza padronale. Si tratta di una tomleta rivoluzione che si vorrebbe portare riftU fuhziono economica del capitale. E (juest'D regime di conservazione imperialistica! Si "a di una nuova edizione, riveduta e cordi quei famosi Consigli di fabbrica che, _izionalrriente, avrebbero dovuto rivedere FW'buccie alla attività industriale dei capitalisti. Anzi la nuova edizione si addentra ancor più negli affari privati dei datori di lavoro. VorrebDe — diciamolo senza tanti «disiin-1 guo » — dividere il fruito del lavoro in due partì. L'una al padrone, quale giusto interes. se del capitalo investilo nell'azienda, l'altra agli operai come « premio » della loro attività... Siamo sul terreno della espropriazione: sia pure espropriazione parziale, legale e lascista ». E quali soni, che s'affatica a dimostrare come per ì supremi interessi della nazione occorra che capitale e lavoro si mettano d'accordo, rispondono negativamente, « perche. — egli dice — il ragionamento de! capitalista è quoto: Voi dite elio io, quest'anno, invece di capitalizzare per conto mio il guadagno dell'azienda lo devo dare in parte, giusta parie, agli operai. Ma se nell'anno venturo, per ra. gioni indipendenti dalla intelligenza nel capitalista e dalla operosità degli opera!, lazienda è in nerdita, chi mi sovviene il perduto' Non certo gli operai che la ripartizione dell'anno precedente 'riterranno, giustamente e giuridicamente, diventata loro proprietà. Tanto meno il governo fascista... E aliortii Allora io ini tengo il guadagno di questiinpo ohe unirò a! guadagno dell'anno passato. h' più semplice! Gli possiamo dar torlo? La lotta di classe, che Rossoni orti chiama « lotta.per la esistenza in genere », è fatale e indistruttibile. Finche vi saranno uomini che per vivere e p^r godere fanno lavorare altri uomini, e uomini che per stentare la vita devono lavorare, -il lavoro sarà un martirio e la lotta di classe un fenomeno normale di indole economica e psicologica ». ,,,,'„ A documentare il suo asserto, 1 autore dei libro e'ta brani dello Seh&flle {Struttura c vita del corno sociale) ; del Cablati (Paternalismo sindacale: «Stampa» dell'8 dicembre 1923) ; di Gino Baldesi {Inchiesta sulla produzione: . Battaglie sindacali », dell'8 novembre 1923), quindi cosi si avvia alla conclusione: « Per tutto quanto dianzi da me detto e rafforzato dalle dichiarazioni e dagli studi di persone ,-he, certamente (nel tempo diverso e nel campo dei diversi partili politici in cui militano), non sono le ultime arrivate in fatto di studi economici e di organizzazione operaia, fi evidente che il sindacalismo fascista halte una via errata. Voler cancellare dall'i, storia l'opposizióne delle classi, e volere od un tempo conservare vita economìa, sociale, /ondula, sulla concorrenza dell'azione acQUisUiva privata, è, teoricamente, ima contraddizione, ed k, praticamente, una impresa affollo disperata (^ihàifle) ». E' superfluo insisteri sul carattere spiccatamente politico che hanno le corporazioni fasciste. Rossoni lo ha esplicitamente dichiarato ili una intervista Concessa alla Slampa: < Noi crediamo cito l'apoliticismo delle organizzazioni sia una finzione. Per questo Swriarn chiamato fasciste le Corporazioni. Per questo noi ci teniamo ad essere 1 aspetto economico della rivoluzione fascisti, liei resto ia Confederazione del Lavoro, ohe attualmente si definisce apolitica, non ba fatto p non potrà mai fare altra politica che «ruélla socialista. Così la Confederazione dei lavoratori italiani, che vanta a sua volta lapoliticità, non e ciie uno stramonio del Partito popolare. Ci «emhra quindi che valga meglio essere franchi e scegliere nettamente una politica defini/a anche per i Sindaca •per noi questa politica o quella del fase• —i, nreeiudiziaie omms>- la ». . . . . il Bitelli soggiunge che i proprietari, ì li hanno capilo e masticano amaro, a Ros- pncmstblggdhdsderltndrltmzBppdcpzcdiesitm bile: l'interesse superiore e la grandezza d'ilalia ». Ora il vecchio sindacalismo, il nostro sindacalismo, affermava, e lo riafferma ora, che pratica sindacale c azione politica. Sono due nomici che non si concilieranno mai. E poiché l'azione politica è più agile, più destra, meno semplice ed cnesta dell'azione sindacale, quella soggiogherà questa e ia farà schiava e strumento delle sue ambizioni. L'utile, operaio sarà inesorabilmente travolto nel gorgo dei partiti politici, che si combattono per raggiungere il potere. Il fascismo, dice il Bitelli, al potere è salito, ma iosio si sono iniziate le beghe dei gregari. « Oneste begiio — afferma — dilagano, investono anche le organizzazioni sindacali, e le faranno morire ». E rivolgendosi in ispirilo a Corridoni: « Se noi, buon Pippo, te ancora vivente, hello di giovinezza e d'entusiasmo, riprendessimo l'opera nostra, modesta, serena, disinteressata, certo essa gioverebbe al bene della nazione tnttn. Il nostro sindacalismo. elio fu pràtica sindacalo materiata di interposi positivi, poteva ieri arrabattarsi nel solo dibattito anticapitalistico, ma non lo potrebbe piti oggi. Ed ecco il parche: 1") L'aziono di classe b oggi strettamente legata ai deslini d'Italia. Vi sono dei creditori inesorabili che battono alla porta. Anche se volessimo essere internazionalisti non lo potremmo. Vi è un interesse comune, di comune salvezza economica, che ci fa oggi nazionalisti ai disopra di ogni olirà ideologia. Bisogna paguro. E bisogna diventar ricchi per poter pagare. Bisogna produrre di più e produrre meglio. L'anticapitalismo dei sindacati devo ossero perciò oggi più tecnico che economico, x10) Le organizzazioni operaie per muoversi oggi sul terreno della produzione, stimolando incessantemente i tardivi c i cattivi produttori, hanno necessità di godere di quella piena libertà che godevano in passato ». L'autore dichiara a questo punto di non essere un avversario preconcetto del fascismo. « Ma — soggiunge — se il fascismo pervenuto al potere, ha necessità, per vivere, di instaurare, come lngge, la violenza e l'arbitrio, ma se alle giuste censure contro gli eccessi di alcuni esultati si opporrà ancora la mentalità arretrata dei signorotti di manzoniana memoria, allora noi, se risorgessimo a vita, dovremmo p'ire insegnare agli operai che Ir, libertà è necessaria alla vita delle organizzazioni, allo sviluppo rìo]]r> industrie e dei commerci, al progredire della civiltà, come l'aria è nee?ssaria alla vita del corpo umano ». . S

Persone citate: Gino Baldesi, Giovanni Bit, Mussolini

Luoghi citati: Italia, Milano, Napoli, Roma