L' uomo solo

L' uomo solo L' uomo solo Or ò qualche anno, in un saggiopubblifcato su queste stesse colonne e rivainpato in Voci del tempo, parlai di un fajio di libri di Georges Duhamel, e precisaiento di quelli che gli avevano dato la vsta, notorietà di cui ora il suo nome è into: Vie dea Martyrs, Civilisation, La pnsession du monde, Entreticns dans le tinnite La visione del mondo che b alla bue di quelle opere era quella di un umanitrio astrattista e utopista, discepolo di Tolboi e di Rolland, che, chiusi gli occhi ali?tragedia della vita, sfugge i problemi t'emendi della coscienza morale o alla vita dell'uomo assegna per ideale il « posseso del mondo » cioè la diletlantescn delibinone del mondo in tutta la multicolore ricchezza e varietà dello sue forme trmseunti : renanismo proteso, più che ver» il mondo della storia, verso quello della natura e verso 51 mondo umano, colto e firmato nell'attimo fuggente. ;. Dopo di allora George Duhamel ha continuato a produrre, m i suoi nuovi libri sono stati lungi dall> svegliare la vasta eco di consensi e dissensi dei primi volumi, nei quali trovò espre-sione la crisi di stanchezza fisica e morab succeduta all'immensa orgia di attività della guerra mondiale. Nè dopo questi nu»yi libri il comune giudizio del pubblico è dei critici su Duhamel è sostanzialmmte mutato: ancor oggi, a caratterizzare chiesto scrittore ci si servo della più nota fèlle sue opere dell'immediato dopoguerra: La possessioni du monde. E invece, cornea Henri Massis, a me pare che Confession de minuit, Les hommes a bandonnés, Dmr. hommes (quest'ultimo di recentissima pubblicazione) ci pongano in presenza di un Duhamel profondamente diverso da quello fattoci conoscere dai libri che gli ' han dato la fama: di un Dubaael diverso e di gran lunga, artisticaminte, supcriore al primo, di un Duhsmol che ha subito l'influenza di Dostojevski, come l'altro Duhamel aveva subito quella di Tolstoi, o, a dir meglio, deH'ideolo°ia comunemente corrente sotto il nome di°Leone Tolstoi. Di rimbalzo, alla cruda luce di questi nuovi volumi l'anteriore produzione di Duhamel ci appare sotto un aspetto nuovo e più profondamente vero,, che era difficile cogliere fino a che queeto termine di confronto mancava. Dei tre volumi sopra citati, Confession de minuit e Deux hommes formano, '•u, realtà, un'opera sola, non solo per l'unità dell'ispirazione artistica che li traversa e della visione del mondo che è alla loro base, ma anche esteriormente, il miserevole eroe del racconto essendo lo stesso nei due volumi e comparendo anche in un racconto di Les hommes abandonnés, che è una raccolta di novelle. Ed ò in questo miserevole eroe, in questo impiegatuccio d'ordine adibito a umili mansioni di scriba, in Louis Salavin, che Georges Duhamel ci presenta l'uomo così come gli appare, e senza dubbio così come gli ò sempre apparso, quando, sgombra la mente da ideologie di accatto, si è posto direttamente di fronte al problema dell'uomo. Spinto da un impulso irresistibile di cui egli stesso non sa dar conto, Salavin un giorno ha poggiato la punta di un dito sul'oijecchio del principale. Licenziato 6U due piedi, egli conosce settimane e mesi di disoocupazione, percorre Parigi centinaia di volte alla ricerca di un impiego, discende ai più bassi scalini dell'abbiezione fisica e morale. Confession de minuit racconta !a storia di lui nei lunghi mesi del suo sciopero forzato: storia tutta interiore, che mai racconto fu più di questo privo di eventi esterni. Salavin batte il selciato di Parigi n cerca d'impiego, ma il pensiero ò più svelto del piede e corre dinanzi alla scarpa. TI vagabondaggio esteriore si complica di un vagabondaggio interno, e sono sprofondamenti in paludi formicolanti di mostri viscidi e immondi, cadute in baratri senza luce e senza fondo, branco!amenti nel buio di labirinti paurosi risuonanti di strane voci e di grida strazianti. In Salavin è l'uomo che Duhamel ci mostra, l'uomo che, reciso dal consorzio dei simili, faccia a faccia con se stesso, buttata via la maschera sociale, si dibatto proda di tutti i demoni della solitudine e del silenzio. Ed è visione d'indicibile orrore. Libero dalla catena dell'impiego, affrancato dalla servitù della disciplina, che almeno dava una direzione sia pure esterna alla sua vita, Salavin cade nel caos della disgTegaztone interiore. Egli non agisce più, è agito. Non vive più, c vissuto. Il suo io si putrefa e dissolve in un formicoio di io parassitarli e avventizii che gli si divincolano dentro, in una lotta selvaggia per sopraffarsi. Quale fra essi è il vero io? Quale la sua vera voce nel tumulto delle voci discordi che gli risuonano dentro? Egli è visitato traversato violentato da pensieri che subisce senza provocarli, ma anche senza poterli impedire : non è lui . che pensa; ò in lui che si pensa, 3enza e contro di lui. I pensieri bivaccano nel suo spirito come in paese nemico e conquistato. E sono pensieri stolti bassi sudici mostruosi, una verminaia che lo divora, di cui vorrebbe ma non può sbarazzarsi, di cui non può nemmeno sentir rimorso, perche quei pensieri non li sente come suoi, non sente sè in essi. E conio il suo spirito, cesi anche il suo corpo 6Ì disgrega e dissolve: le sue mani, i suoi piedi, acquistano una specie di anima oscura, che vive la propria vita indipendentemente, spesso in rivolta contro le decisioni dell'io direttore e centrale, se ce nò uno. E' un pullulare di esseri che u chi H guardi a occhio nudo sembrano insetti iuofiensivi o, tutfc'al più, molesti, ma -,>er chi li guardi al microscopio sono mostri che impaurano. E l'occhio di Saluvin è 'li una acuità spaventevole, e penetra nel\o anime come un ago caldo nella cera. Nulla gli sfugge, tutto gli si evela, e nell'atto in cui cerca d'ingannare so stesso, di abbellirsi dinanzi ai suoi occhi, qualcosa in lui strappa la maschera e mostra alla lice il volto che cercava nascondersi. Va in lui una consapevolezza spietata che non genera rimorso e redenzione, una luce sterile e fredda che illumina i mostri dell'abisso ma non li mette in fuSa- * ■■ J ' ... Pure, non tu.to e muffa e verminaia, in Salavin: egli è intelligente, colto, è a tratti una nostalgia di purezza di bontà di sacrificio lo assai}, un desiderio di buttarsi ai piedi di qudeuno che sia grande e buono, di baciarglieli, di votarsi a lui. Ma «©no slanci, cui ssgue la ricaduta nella palude formicolante di vita immonda. E' l'abbiezione con tutto, il suo orrore, ma anche con la dolcezza spaventosa di sentirsi decaduto e spregevoli: l'orgoglio che non s'arrende tra soridisfaioiip dal sapersi non un malvagio qualunqie ma un grande malva- fi un grande disgraziato. La sorte gli fa dono di un amico buono o fedele. Deus hommes è la storia di quest'amicìzia, che ha i suoi slanci i suoi sacrifici le sue comunioni le sue leggende, la sua età eroica, e che finisce per mutarsi in odio spavsntoso nell'animo di Salavin, perchè a lui nulla riesce,- all'altro tutto, e l'altro, impotente a portare da solo il peso della sua gioia e dei suoi successi, lo addossa a Salavin e lo colma di benefici, e più Salavin è beneficato e più odia Eduardo e più lo umilia tormenta vessa brutalizza, e quanto più lo odia, tanto più lo ama per a pietà che gli fa o pel rimorso che prova e, insieme, tanto più lo odia per l'odio stesso che genera in lui. E l'amicizia finisce in una catastrofe spaventosa. Anche Salavin, come Duhamel consiglia, guarda l mondo e lo possiede. Ma che possesso è il suo? Non c già la delibazione dilettantesca dello multicolori apparenze della vita, è il possesso dell'odio, dell'invidia, della cupidigia, della nausea, dell'obbiezione, è il possesso consapevole della sua miseria interiore e che pure in essa trova una certa dolcezza, ò il possesso che s'installa nel cuore verminoso e bacato delle cose e si compiace di trovarlo tale. E ci risulta chiaro allora cho l'umanitarismo astrattistico e il sensualismo dilettantistico non sono il vero Duhamel, ma un Duhamel avventizio, e che il vero Duhamel è un realista e pessimista alla Dostojovski, assai più cupamente pessimista di Dostojevski, che i, labirinti in cui questi ci conduce eono pieni di orrende grida, frementi di rivolte furiose, solcati da lampi abbaglianti di redenzione, e l'abisso in cui Duhamel discende ò silenzioso e buio, dalle pareti coperte di fredda muffa. E Salavin ci dà la parola dell'enigma che è Duhamel, di questa coesistenza in uno stesso petto di due anime opposte e nemiche. * Io amo gli uomini — grida Salavin — e non è colpa mia se, il più delle volte, non posso sopportarli. Io sogno di concordia, sogno di una vita armoniosa, confidente come un amplesso universale. Quando penso agli uomini, li trovo sì degni d'affezione che le lagrimo mi vengono agli occhi. Io vorrei dir loro delle parole amichevoli, vorrei vuotare il mio cuore nel loro cuore,... ma vi ò in me qualcosa di suscettibile, di sensi bile, d'irritabile. Ora che mi trovo faccia a faccia non più con immaginazioni ma con esseri viventi, i miei simili, sono sì presto alla fine del mio coraggio ! Mi sento l'anima contratta, la carne a vivo. Non aspiro che a ritrovavo la solitudine per amare ancora gli uomini come li amo quando non sono là, quando non sono sotto i miei occhi... se ho l'aria di un misantropo è, precisamente, perchè amo troppo l'umanità ». E altrove: « il mio solo difetto è d'amare, d'amare totalmente, assolutamente. E' colpa mia se ho l'occhio chiaro? Chi è dunque l'idiota che ha detto che l'amore c cieco? ». E Confession de minuit finisce con un gran grido di angoscia : « Il mondo mi sfugge. Io mi dibatto fra le ombre. Cho debbo fare? Chi può venire in mio soccorso? ». Questa duplicità di anime divincolantiei n uno stesso petto spiega la duplicità delo stile di Duhamel, altrettanto fermo preciso cristallino implacabilmente netto quando osserva e riferisce, quanto vago vaporoso, sfumato quando si libra nei cieli dell'astrazione umanitaria e pacifista. Tra La pbssession du monde e Vie dee martyrs vi era già stilisticamente un abisso, che è diventato sempre più vasto man mano che l secondo Duhamel si è andato sempre più risolutamente affermando sul primo. Nula di più crudelmente realistico dello stile netto preciso impassibile, e perciò appunto terribilmente satirico e ironico, di Confession de minuit, aerato solo qua e là da una vivificazione delle vie e delle piazze con immagini della scuola unanimista. Le stesse metafore, d'ordinario fondate sulla assimilazione di processi ed eventi immateriali con eventi e processi materiali, hanno qualcosa di gelido, di anatomico (Duhamel è medico). Si esce da questi, ultimi volumi, di cui Confession de minuit è un vero capolavoro, con un turbamento profondo. Le labbra ripetono le parole desoate con cui si chiudono Les hommes abandonnés: i Levando al cielo gli occhi velati di lagrime, io pensavo: — Perchè avete abbandonato gli uomini? Non farete grazia a tutti questi uomini infelici? — Tale era il mio pensiero, mentre camminavo a ato di mia madre; ma non. avrei saputo dire a chi si rivolgeva questa supplica sienziosa ». ADRIANO TILGHER. GEORGES DUHAMEL, « Confession da minuit; I/es tionimcs abandonmés; Deux hommes». (Paris, Mercule do France).

Luoghi citati: Parigi