Gasparo il malinconico

Gasparo il malinconico Gasparo il malinconico La testa quadrangolare rli una màriouetfca, piantata mediante un cavicchio sul cor!po di Stenterello, con il parrucehiuo- svolazzante sull'esile collo ; così ci apparo, (ielle incisioni dell'epoca, il conte Gasparo Gozzi. Ne gli autoritratti smentiscono l'inipressione: « Statura alta, inagro, faccia intagliata, malinconica, grandi occhi traenti al cilestro, &1 moversi tardi, e più tardi piedi ». Soltil mi fé' come gambo d'ortica Natura, nò adoprò inolio cervello Nello impastarmi, e rebbi poco amica... lo sono colle sonile streilo strelio 15 posto a ca.inm.iuai' sul ruscellini; Ho lungo il collo, eri assai frale il petto. Lo paragonarono a Don Chisciotte, ina «nila di più lontano dal Cavaliere della Triste Figura che questo letterato e patrizio, continuatore di una tradizione poetica, e guxsettiere per necessiti. Certo tu ironico il suo destino, facendo di un nobile signore per nascita e stirpe, uno scrittor ìli poesie per nozze, monacazioni, battesimi, un compositor di cantate compensate con venti zecchini (e %)i accadde di esser costretto a restituire fi dono, troppo lauto, dategli por equivoco). Eppure fortuna voli le che delle due doti .naturali ai componenti la sua famiglia, e cioè la disposizione comica e quella letteraria, la seconda gli seryisso a campar dignitosamente la vita. Antonio Zardo, in un suo recente volume che raccoglie interessanti studi particolari s.i Gasparo Gozzi, nella letteratura del suo ti lupa in Venezia (Bologna, Zanichelli, od. — L. lfi) tocca di sbieco la- biografia del nostro autore: il suo libro, riccamente documentato c pieno di raffronti istruttivi ed eruditi, non vale quindi per chi va in traccia dell'uomo, c si compiace di descriverlo ed analizzarlo. Jl critico psicologico dove tornare alle Memorie, inutili di Carlo Gozzi, e compiere uno spoglio diligente delle lettore familiari e dei tratti autobiografici contenuti nelle opere di Gasparo. Mostrò adunque costui sin dalla fanciullezza, una straordinaria passione per gli studi, pubblicamelitó lodata, « Quest'uomo, veramente particolare per la sommersione che fece di tutto sì; medesimo sui libri e nelle indefesse applicazioni letterarie, non meno che nell'essere uno di quei filosofi diesi possono chiamate persone indolenti in tutto ciò che non sente di letteratura, apprese da Francesco Petrarca ad innamorarsi » e sposò a venticinque anni una poetessa ohe aveva due lustri più di lui, discendente da un calzolaio piemontese, pastorella d'Arcadia col nome dimanda Partenide. Donna non cattiva, « femmina di fervida o volante immaginazione » continuamente incinta, gelosa del marito perche « scordando un lungo canzoniere ]>etrarchesoo da lei retribuito con cinque figliuoli, la trascurava non facendole più nemmeno un sonettino », ma aniministratrice sventata, superba e orgogliosa, feconda di trovate di genio che peggioravano la situazione estremamente precaria della famiglia, Ila Bcrgalli, aiutata, sorretta-, difesa dalla nuocerà, popolò la casa di o femminctte, di sensali.© di ebrei » e finì per far precipitare tuta « nel vortice delle irregolarità domestiche ». La cancrena dell'incuria divorava il palazzo in Venezia, e quanto alla Tilla €:jjli edifici erano stati demoliti per rfne terzi colla vendita dei materiali, e pochi vestigi sussistenti abitati cantavano— Qui fu Troia ». Sebbene attorno a so vedesse un'angustia tragica (il padre paralitico, i fratelli e le sorelle dispersi pel mondo ovvero accaniti a salvare qualcosa dalla generalo rovina) Gasparo « genio lepido anche colla febbre », primogenito martirizzato dalla sciocca affezione della madre, era continuamente « in astrazione ». Che fare d'altronde? Non l'obbedivano, uè l'ascoltavano ed egli a d'indole pacifica, e animo capace di lasciar correre dei disordini o per aver la sua quiete, o per indolenza » rimaneva <t in letargo » perdendosi « negli studi infruttuosi o iu una certa conversazione geniale ». Capitava talora che i versscritti per commissione gli fossero riccamente pagati, ma gli zecchini « nelle sue mani mettevano l'ali ». Non era un egoista, nò uu insensibileLe sventure lo avevano piagato, le umiliazioni ridotto ad esser nulla più che un povero diàvolo. Persino la letteratura glvenne a noia, e lo sfogo fu acerbo e crudele: < Bel celeberrimo, per mia fò, un uomo fuggito, si può dire, dal mondo ; entrato in una solitaria tana, che appena può trarsi dietro le calcagna, che fugge i libre lo scrivere come il diavolo ]a croce e che si pente di cuore d'essersi lungamente affaticato per acquistarsi in fine una vecchiezza piena di cancheri ». Dovette provare la naussa delle compilazioni, e « spolpato e giallo po' sofferti stenti — Fra libri, calamai, fogli e lucerne » sottoporsi t ad oncia ad oncia — Metter l'alma in bilance, ed icervello — Vendere a drammi ». Carogna vivente, ecco una delle sue atroci autodefi uizicni. Perchè, quasi non bastassero i mille disgusti morali, egli isoleva cadere • d'un male all'altro male ». Geremia, Giobbe gli servono di riferimento biblico per manifestare l'intensità dei suodolori, « Addio, caro. Tosso e 6puto » una chiusa frequente nelle sue lettere. In fine, scriveva : a Da un poco d'anima iu fuori, appiccata ancora non so con che, ua che, ad un carcame quasi diafano, io notr ho altra vita. Un pochino d'aria chm'entra nel polmone mi fa vivere ancora come un mantice ». Spossato ed infermdallo studio e dai pensieri molesti, non ssa se « per nero immagini ipocondriach0 per il furore d'una febbre ardente dcui era assalito » (dicono le Memorie inutili, ma è probabile che fosse la disperazione di una vita avvelenata) a acceso dallfantasia, si scagliò nel fiume_ Brenta, percuotendo col petto in un macigno ». Il suicidio andato a male, madamigella Sara Cenet, francese, « donna di circa cinquantacinque anni, pelle ed ossa » creatura c alquanto bruttetta, lunga e magra, ma dotata di uno spirito pieno di grazia » gli smise a fianco e l'assistette sino alla morteottenendo per le sue benemerenze d'infermiera il titolo di seconda moglie. La 6iia esistenza fu travagliata ed insieme mouotena: iuterininabili contrasti fa' miliari, assillanti debiti, solitudine e miseria hi città, bestiale disordine ed abbrutimento in campagna, l'impresa del teatrSant'Angelo che si risolve in un disastré' in una sequela di beghe curiali, le traduzioni che la moglie manda avanti a braccia1 lavori di libreria meschinamente retributi, gii anni d'insegnamento svogliato compiuto per sovvenire ai bisogni quotidiandella famiglia (o che nou servono a fargavole una cattedra a cui aspira), gli ufficgovernativi .di Presidente alle stampo, d o e i r Sopraintendente all'arte dei librai, di Bil'ormatoro delle scuole, con magro salario, e infine una servitù mal mascherata che lo trasforma in <t valigia di casa Foscarini »: ecco la successione degli avvenimenti clic influirono sul lavoro letterario di Gasparo Gozzi. Il quale, benché stimasse che « prima di trovar vocaboli evidenti, e per modo di dire solidi, e palpabili, che specifichino bene il concetto, bisogna dettare, scambiare, rifare, stornare, e non basta; perchè si deve poi conoscere ancora quando ti bene, e non mettervi più mano » e che i non si può nello scrivere usare la prestezza » fu tratto a frettoloso composizioni e obbligato a partirsi sovente dall'onesta sobrietà, sacrificando la stringatezza all'urgenza dei fogli di stampa da riempire. Ebbene, chi tendesse a figurarsi un Gozzi misantropo e scontento, uri individuo arrembato e stracco può disilludersi. Nonostante lo abbondantissimo e giustificate querimonie che vi dilagano, quol che ci colpisce nelle sue pagine è la singolarissima e festevole urbanità che l'animo suo rivela. Questa larva d'uomo, straziato, infelice, decaduto, si scopre per uno spirito bizzarro e fantastico, lunatico « stravagante, e di tutti gli autoritratti il più vero c forse il seguente: a Quel Gozzi che ora è Gozzi ora ò una rana, ora ride e ora ha un viso che Dio glielo perdoni ; ora scrive sempre, e poi sospira con le lagrime agli occhi quando ha da prendere la penna in mano; insomma quel cristiano non ancora cresimato, quell'anima del' Signore che non ha nò diritto, nò rovescio.,; ». Siamo ora ìli grado di comprèndere l'invocazione : « Tu non so' por jl mondo : quelle pure o scintillanti stello t'aspettano. Lassù è la stella rilucente dove Gasparo, il vero Gasparo, ha da metter la faccia alla finestra e da guardare la piccolezza della terra e da consolarsi di non aver mai voluto far nulla, o d'aver fatto poco pel palazzo o co villani, e di essersi accontentato d'un abito poco alla moda e d'una parrucca d'autore veneziano ». **- Fu osservatore non eccezionalmente sagace, nò profondo, ma piuttosto piacevole e superficiale pittor di ritratti morali. Dissertava con infinita amabilità, e garbo, e varia ed estesa- dottrina, ma la concisione e l'arguzia di Luciano da Sarnosata, ch'egli tolse a modello, gli sfuggirono, e assieme gli mancò l'acro vivacità dei grandi moralisti, e il loro sguardo acuto, folgorante. Mediocre, ebbe degli autori di second'ordino la fiorita e serena abbondanza: in tutta la sua opera non v'è una pagina che abbagli, sorprenda, stupisca, o ricrei por il tono spigliato, la sensazione inedita. Carlo Gozzi ha, nelle 6iie Memorie inutili (assai più pregevoli e originali dello celebratissiine fiabe) alcuni capitoli che per la luminosa e schietta spregiudicatezza sono degna appendice alle Memorie di Giacomo Casanova; il candido Gasparo è ovunque agghindato, o di una naturalezza scipita ed ingenua. Lasciando in disparte le rime varie, fiacca discendenza da Petrarca « dal Bembo contaminata da tre secoli di cattivi esempi; i sermoni e i capitoli, che proseguono la tra dizione bernesca con minor spontaneità ; la noiosa allegoria del Mondo morale.; l'imitarcotie dello Spectator che si chiamò VOs serratole; le Lettere diverse, così artificiose; le novello © gli apologhi lambiccati; la fama di Gasparo Gozzi si raccomanda alla Difesa di Dante e alla Gazzetta veneta, cioè a una coraggiosa o buona polemica e ad una collezione di giornali redatti da un cronista ingegnosissimo. Poeta.privo di nerbo e di una facilità spaventevole, Gasparo Gozzi fu poligrafo accurato o scrupoloso, con una pècca sola, ma capitale: la propensione a filosofare, il gusto di tradurre la realtà in termini astratti. Il piacere del colore sgargiante, dell'impressiono succosa e violenta, dell'aneddoto mordace non lo tentò mai. La verità è ch'egli era scrittore naturalmente accademico, letterato sino allo midolla, eredo diretto della tradizione italiana formale e cortigianesca che, sbocciata iu pieno nel Cinquecento si era dilatata nel ecolo decimosettimo e intaccava a fondo la Venezia del Settecento, sì da toglierle ogni forza e condurla all'abbiezione di Campoformio. Paragoniamo lo spirito che inferma l'opera di Gasparo Gozzi con quello che anima gli Enciclopedisti: quale abisso! Il nostro conte aveva ben ragione di confessare:. « Che ha fatto il barbogio osservatore altro ch'esprimere sentimenti comuni, una morale ragionevole, con parole usuali? » e di collocarsi tra coloro che erano « usciti fuori dalle antiche scuole italiane » e che più non si orientavano attraverso lo nuove correnti d'idee. Il membro dell'Accademia dei Granelleschi (Antonio Zardo ne rievoca la fondazione e i principali episodi) che si spassava a ordir beffe e a comporre orazioni scherzose era un uomo senza avvenire. Non andò esente da un altro dei vizi del suo secolo: la fredda lascivia, e comjpose versi osceni, o si piacque in espressioni volgari. Eppure poteva dire come Mauziale: « Lasciva est nobis pagina, vita proba ». Sudasti invano fu l'epigrafe ch'egjli medesimo tracciò in guisa di riepilogo dell'opera sua, e purtroppo non a torto. Il Settecento lo ebbe onesto spettatore, censore moderato (stiamo attenti a separare la consuetudine letteraria dell'invettiva dai veri sentimenti del poeta) ma estraneo ad ogni azione significativa di progresso. La sua esistenza, non dissipata, nò febbrile, ma familiare e raccolta, non fu che un rapido passaggio attraverso alla società del suo tempo. Il malinconico Gasparo non si faceva illusioni sulla costumatezza della nobiltà veneta, sul generalo rilassamento precorritore di uu prossimo sfacelo, ma non brandì la sferza, e neppure si tuffò a capofitto nel turbine delle mondane follie. Rimase sempre in margine alla vita, troppo povero di fortuna e debole di complessioue per partecipare alla lotta e al tumulto. Morì la notte di Natale del 1786, « macchina diroccata dalle applicazioni, dalle sventure, dall'età avanzata ». E pochi si accorsero della sua fine; quasi nessuno io sdnnspianse. A. CAJUMI.

Luoghi citati: Bologna, Troia, Venezia