Pensieri verdiani

Pensieri verdiani Pensieri verdiani 11coal'chNC% <H» una eignificafciva, consolante t ripreea • d'amore por Verdi, iu Italia, all'estero. Le sue opere della maturità, quella dell» vecchiezza, riappaiono sempre più frequentemente nei teatri, accoltevi con ■empre maggior gioia. E qualche altra ope- iI1ra, di data più antica, che serba intatta le più forti virtù drammatiche del Mae- statro, potrebbe pur essero ricondotta alla j Juoe, oon fortuna. Qualche studio critico, ominuzioso ed approfondito, viene intanto lo. c,„.u.„;.„ f„u * ,. -ira* fiancheggiare tale ritorno verdiano, e nprepara materiale alle future sintesi t Iìa tendenza più caratteristica del pensiero verdiano negli anni che corrono tra la Meteo di requiem (1874) e l'Otello (1887)^ è la negazione aprioristica della necessità e della utilità della dinusione in Italia della musica strumentale, sia come attività creatrice dei compositori, sia come susadiovra'.^oonosoenza culturale del'pubblico Severo fflcon B6 stesso, come autore del Quartetto dd'archi, talvolta ripensava simpaticamente a quella sua opera d'eccezione, più spes■o chiedeva per essa l'oblio definitivo. La aua ostilità preconcetta contro la musica sinfonica in Italia si colorava necessariamente del suo pessimismo; erano previsioni fosche, catastrofiche per le iniziative ungole e, più vastamente, per l'arte ita seItsadapchs'liana; quando le previsioni erano smentite i l'dai fatti, seguiva, sì, un leale riconosci- mmento d'aver errato; ma il preconcetto dnon per questo oedeva, anzi quasi più acri-1 monioso e tenace investiva e viziava altre m, i idi chmrppmstraniera; almeno alcuni suoi giudizii é»a-|£ .. , '. _j luconsiderazioni. Non che egli rifiutasse genericamente la musica non teatrale, di cui citava, a. quando & quando, qualcuno trai maggiori rappresentanti ; negava senz'altro agli italiani la possibilità di comporno a la necessità di ascoltarla. (Sembra che abbia conosciuto poco di musica sinfonica ,„ (fumani lo fanno credere; ad esempio, della ittnona.Sinfonia di Beethoven giudica, subii- pmi ed alti , pruni tre tempi; ma del quar- ^to, tralasciando ogni considerazione esteti- ea e critica sull'isniraziono schillcriana e iea e critica suii ispirazione scmiicnana e dsul valore intrinssco della composizione ! idnon rilevò che la a pessima fattura... la ! npessima disposizione del canto i. Ad J1C~ j Tr1 7 • ■ • • iiì nHaydn, a Mozart fece rarissimi e minimi —accenni. Quando deplorava che gli italiani imitassero gli stranieri, era oertamento giusto il suo pensiero. L'arte è universale, nessuno più di me lo crede — scriveva nel giugno del '78, ln un abbozzo di lettera — ; ma sono gli individui che la esercitano; e siccome i Tedeschi hanno del mezzi diversi dai nostri, c'è qualche cosa di diverso anche di dentro. Noi non possiamo, dirò anzi, non dovremmo scriverà come i Tedeschi, nè 1 Tedeschi come noi. Che i Tedeschi si appropriino le nostre qualità come fecero a' loro tempi Haydn, Mozart restando però sempre quartettisti; che Rossini si approprii pedino alcune forme di Mozart restando però sempTC melodista, sta bene: ma che si rinunci per moda, per smania di novità, per affettazione di scienza, si rinneghi l'arte nostra, il nostro istinto, quel nostro lare sicuro, spontaneo, naturale, sensibile, abbagliante di luce, è assurdo e stupido >. ' Pensieri questi, logici e giusti, nei quali non ai deve vedere un angusto patriottardismo, ma la consapevolezza della profonda differenza fra le razze, ed un appello mpddtrcol'ucoa cegm1zacsil'dtiqisbmsaalla sincerità artistica, infine la condanna, zpleae rndella moda, dell'imitazione. Ma dal pc-n sarla così al deplorare che alcuni musicisti italiani tentassero il sinfonismo, e, peggio, allo scandalizzarsi perchè in Italia si facessero conoscere le opere del sinfonismo straniero, ci corre. Caratteristico è i'atteg-,, giamento del Verdi, agli inizii del periodo U veramente rigeneratore della cultura ita- rliana, quando il movimento per l'istituzio- tne dei concerti sinfonici e delle società di | Amusica da camera, si propagò da Torino sp(1872) a Milano, a Napoli, a Bologna, a cRoma; istituzione cho doveva finalmente, fifax conoscerò, e non solo alle masso ma, Isicerto, anche alla moltitudine dei professio- j lcnisti di musica, l'ignorato campo delle mu- '«siche sinfoniche. Lo strano è che per Verdi questa diffusione culturale implicava contaminazione; secondo lui, il « Quartetto i era « arte tedesca s. Infatti, nella citata minuta di lettera, si domanda : Ma in nome del diavolo, se starno in Italia perchè facciamo dell'arie tede-ca 7 12 o 10 anni fa, non ricordo se a Milano o altrove, mi nominavano Presidente d'una socieià rio] Quartetto. Rifiutai, e dissi: Ma perchè non istituite una so"ieta di Quarlello vocale ? Questa è vita italiana. L'altra è arte tc.icsca. A parte il fatto che puro in quel tempo sorsero alcune accademie corali in Italia, a parte l'ingiustificabile opposizione alla diffusione della cultura, ci si potrebbe domandare quale fortuna avrebbe potuto avere la infsttapmidjdpolifonia vocale cinquecentesca e seicentesca ■ ^in un paese destinato a conoscere solamen- Bte il melodramma, e corno mai il Verdi, | ccili Unto repugnava il sinfonismo orche-, tstrale, simpatizzatse poi per quella polito- ! ,nia classica che fu Dall'altro cho sinfoni-. ^«no vocale, e non certo canto inteso otto-1 scenbescamente. Chi avesse avuto, come il riVerdi, sollecitudini per l'indirizzo e le fi- znalità teatrali del proprio tempo, non po- iteva logicamente acquietarsi nel pensiero I jche la conoscenza, la diffusione, il gusto|adei cinque e seicentisti italiani, c spaglino- ■ cli, e neerlanclesi e tedeschi — ma, ricor-, gdiamolo, Verdi non aveva nella penna cho fcdue soli nomi: Palestrina. e Marcello,—! cldslrsarebbero fatalmente risolti in vantaggio del genere teatrale! Anzi, il gusto del pubblico sarebbe stato facilmente tratto dalla coralità al sinfonismo. Egli scriveva: e TJn'ist;tuzione di Quartetto vocale che avesse fatto sentire Palestrina, i migliori suoi contemporanei, Marcello, ecc. ecc., avrebbe tenuto vivo in noi l'amore del canto, la cui espressione è l'opera ». Anzi tutto, ci voleva altro che quartetto, (ci volevano società corali numeroso e bene esper-1 te, e direttori ben specializzati, ed edizioni, e etudii delle fonti!); poi, ripeto, si po-teva bensì prevedere un rifiorire di ora- torii e di cantate ecc., ma non un vantag-1 rio per la fortuna dell'opera. L'ostilità verdiana alla diffusione dello manifestazioni sinfoniche si rivelò tipicamente quando, nel '78, l'orchestra della Scala, diretta dal Faccio, fu invitata a dar concerto all'Esposizione di Parigi, precedendo l'orchestra di Torino pur essa invitata; avvenimenti questi che mettevano in bella evidenza l'Italia nella sua nuovisaima attività sinfonica. 11 Verdi formulò « voti caldissimi per una snlendida riuscita ad onore del nostro paese ». Ma le suo previsioni erano fosche 1 Le confidò, nel giorno stesso del primo concerto, alla Maffei : «Il rischio è grande. Hanno giuocato il cento contro uno. Se riescono, guadagnano poco; ae non riescono, perdono quel po di mutazione e di prestigio che dà da lontano 1 vostro Teatro della Scala. Inflne 11 pari. olo è grande e parml non s'.avlsi (pensato abbastanza... Infine speriamo che il fuoco, 'impeto che Faccio saprà comunicare all'orhestra (purché non vada al di la) salvi tutto Non vi è altro su cui sperare. Sulle receltei 10n vi è da calcolare e sarà un magro affare/, *vute poi notizie del luoceteo dell'orchetra della Scala, scrisse: t Le poche macchie che si rimarcano non scurano per nulla la splendida riuscita ed o son felicissirno d'essermi ingannato. Speavo anch'ao che la foga e 1 Impeto avreb- nero salvato tutto, ma non creavo ad un uccesso cosi netto. MI si scrive anche che aia un svecàs d'argenl. MI sono sbagliato doppiamente. Vedete che gran Turluru eon o 11, Ma i buoi commenti privati furono diversi. E' di quei giorni una minuta di lettea, non spedita: • ^ì^JhS" «occorriamo senza volerlo alla rofflj iffiò.'K irvi cose che apparentemente non hanno enso comune, vi direi che causa prima in talia furono le Società del Quartétto ; caua recente il successo di esecuzione (non di composizioni) dell'orchestra della Smala a Parigi. L'ho detta: non lapidatemi... Troppo lungo sarebbe dirne le ragioni.. Come mai il successo di un concerto orhestrale potesse € rovinare il teatro i non 'intendo. Ebbe poi notizia del successo del 'orchestra di Torino, ed eccone il commento in una lettera, ohe credo ancora medita, alla contessa Massari Waldmann: (8 luglio '78). — Avete sentito 1 successi musicali di Parigi?... siamo in vena: dopo d trionfo (come mi scrisse Faccio) dell'orhestra di Milano, eccone un altro, e forse maggiore, dell'orchestra di Torino, io me ne allegro assai, che ridonda ad onore del paese; ma chi potrà tener in freno ora quei professori? Era abbastaza difficile prima; inimaginate adesso 111 Ma non era certo una preoccupazione £fi! JjffVS I P«™» usiono della musica strumentale. Invitato. usione della musica strumentale. Invitato, ttfatbi nal 79 ^ accetUre fl tifco]o £ pres;de'nfce onorario della ^de^ Orche^ , ^ M;l rffi «riandò: ' . ' ' °"'",,="u"- iJ° son.° per na,ura alien° da Questa sorta d'incombenza, e tanto più ora nel caos di dee in cui tendenze e studj contro l'indole nostra hanno travolta l'arte musicale Italia. 1?" ln <Iuesto ca0J' c,al <lual,e DUÒ sortire taenlssimo un mondo nuovo non p ù nostro — ma più facilmente 11 nulla, io non desidero rendervi parte alcuna. Faccio però voti ar. entisslmi perchè questo ramo orchestrale ell'arte riesca bene, col vivo desiderio alresì che l'altro ramo possa venir egualmente oltivato, a fine di ridonare all'Italia quelarte che era nostra, e distinta dall'altra n giorno. Sta bene educare il pubblico, ome dicono 1 dottori, all'Arte grande, ma a [me] pare che l'arte di Palestrina e Marello sia pure un'Arte gronde...-ed è nostra. Palestrina e Marcello sono i soli nomi che gli tornano frequentemente nella penna; ma una sua lettera al Boito, del 5 ottobre 887, autorizza a supporre che la conoscena del campo corale, di quell'arte polifonia vocale cui sì frequentemente il Maestro i riferiva, non era stata da lui, dedito al'opera e, per sua dichiarazione, poco erudito, sufficientemente approfondita. Infati, l'elenco dei musicisti indicati al Joito, quali capisaldi d'indirizzo artistico per una stituenda scuola statale di canto corale, benché buttato giù in fretta, e i primi che mi vengono in mente », quell'elenco fa penare che il Verdi non avesse precisa conoscen. za delle opere. So è ovvio pensare, a pro¬ posito di una scucia di canto corale, a Paestrina, a Marcello, ed anche a Pergolesi, a Carissimi, i nomi di Alessandro Scarlatti e di Piocinni (definito altresì come t autore della vera prima opera buffa: Cecchino ») stanno invero fuor di posto; e sono se» nomi* preferiti > e segnati con asterisco. Altri poi ne indica; e se era opportuno suggerire Vittoria, Luca Marenzio, Allegri, (di Monte-verde afferma che « diponeva male le parti »), Lotti e Cherubini, ci lascia alquanto perplessi questa seconda filza : Cavalli, Leo, .Tornelli, e, peggio, Paisiello, Cimarosa e Pietro Guglielmi... L'ecn°°» conveniamone^ fu fatto troppo alla «ta o per < sentito dire ». _ _ _ ^ ^ Tornando alle manifestazioni sinfoniche,, l Verdi scrisse chiaro e tondo alla Maffei nel '79: • M'hanno scritto del concerto e sta bene: fa ono-e al paese ma non so di quanto utile sarà all'arte nostra. Intendiamoci bene: l'arte .nostra non è l'istromentale... ». Lo previsioni fosche culminarono in un'altra frase, a proposito del coro dell' « Ode alla gioia »: « Non arriveranno mal all'altezza della prima parte ; imiteranno facilmente la pessima disposizione del canto dell'ultima, e coliautorità di Beethoven si griderà: cosi si deve faro... Sia pure; si faccia par cosi! Sarà jìnclie meglio; ma questo meglio è la rovina dell'opera indubitatamente ». Ma a chi mai sarebbe venuto in mente ^ imitare la disposizione delle voci dell'Ode Bjja ~i0ia,? In realtà, egli confondeva o si compieva di confondere le causo di doterminati effetti. Quand'egli stigmatizzava ,e bana]i imitazioni wagneriane — perchè ^ c.g]j parlava di riflessi tedeschi in Italia scriveva, , tedeschi » ma voleva dir ■ wagneriani ; ohi mai imitava Beethoven o Mozart?t — aveva perfettamente ragione; ed in questo caso cgii non. alludeva, in fatto j'opere> al Gobatti o al Ponchielli o ad ajtei suo; Batellibi, ma al solo Boito, cui i contemporancl riconobbero, nella maravig^a jg^a prima apparizione, un faro dotfc0j un pensiero metafisico, un uso doli'orchestra e dei cori, più « tedesco » che « ita-liano »; e fuori del teatro, proprio nella disputata sede del sinfonismo « della tedescheria, egli alludova non ai minori, corno l'innocuo e semplicetto Bolzoni, ma all'arido Sgambati, che a più d'uno sembrava un gran sinfonista. Ma avevano virtualmente il Bolzoni, lo Sgambati e gli altri pochi che scrivevano sintonie, il Foroni, il Bazzini, il Kossaro, ecc., quel c nostro faro sicuro spontaneo naturale sensibile ah ba,gliaute di luce » che il Verdi temeva fos so Sj,recato c per moda, per smania di nopor affettazione di scienza », in eser cicazioni sinfoniche, o tolto alla fortuna del teatro d'opera italiana? Il Verdi, che li conosceva bene, non avrebbe dovuto fare grande assegnamento sul loro contributo operistico ! Per quanto si esamini e si studii questa curiosa ostilità verdiana alla diffusione della musica strumentale in Italia, non si riesco a trovarne una logica giustificazioneOcgi possiamo affermare che quel che dpiù nobile si fa in Italia, in opere teatrali e sinfoniche, deve la 6Ua origine precisamente al movimento culturale de1870-80. Il grande Maestro s'illudeva dscoprire e di combattere il male nella sua radice: la diffusione dell'arte strumentalecome danno pel teatro. Il male era questoche, al suo tempo, in Italia, di artisti come lui ce n'era uno solo ! A. DELLA CORTE. Pensieri verdiani Pensieri verdiani 11coal'chNC% <H» una eignificafciva, consolante t ripreea • d'amore por Verdi, iu Italia, all'estero. Le sue opere della maturità, quella dell» vecchiezza, riappaiono sempre più frequentemente nei teatri, accoltevi con ■empre maggior gioia. E qualche altra ope- iI1ra, di data più antica, che serba intatta le più forti virtù drammatiche del Mae- statro, potrebbe pur essero ricondotta alla j Juoe, oon fortuna. Qualche studio critico, ominuzioso ed approfondito, viene intanto lo. c,„.u.„;.„ f„u * ,. -ira* fiancheggiare tale ritorno verdiano, e nprepara materiale alle future sintesi t Iìa tendenza più caratteristica del pensiero verdiano negli anni che corrono tra la Meteo di requiem (1874) e l'Otello (1887)^ è la negazione aprioristica della necessità e della utilità della dinusione in Italia della musica strumentale, sia come attività creatrice dei compositori, sia come susadiovra'.^oonosoenza culturale del'pubblico Severo fflcon B6 stesso, come autore del Quartetto dd'archi, talvolta ripensava simpaticamente a quella sua opera d'eccezione, più spes■o chiedeva per essa l'oblio definitivo. La aua ostilità preconcetta contro la musica sinfonica in Italia si colorava necessariamente del suo pessimismo; erano previsioni fosche, catastrofiche per le iniziative ungole e, più vastamente, per l'arte ita seItsadapchs'liana; quando le previsioni erano smentite i l'dai fatti, seguiva, sì, un leale riconosci- mmento d'aver errato; ma il preconcetto dnon per questo oedeva, anzi quasi più acri-1 monioso e tenace investiva e viziava altre m, i idi chmrppmstraniera; almeno alcuni suoi giudizii é»a-|£ .. , '. _j luconsiderazioni. Non che egli rifiutasse genericamente la musica non teatrale, di cui citava, a. quando & quando, qualcuno trai maggiori rappresentanti ; negava senz'altro agli italiani la possibilità di comporno a la necessità di ascoltarla. (Sembra che abbia conosciuto poco di musica sinfonica ,„ (fumani lo fanno credere; ad esempio, della ittnona.Sinfonia di Beethoven giudica, subii- pmi ed alti , pruni tre tempi; ma del quar- ^to, tralasciando ogni considerazione esteti- ea e critica sull'isniraziono schillcriana e iea e critica suii ispirazione scmiicnana e dsul valore intrinssco della composizione ! idnon rilevò che la a pessima fattura... la ! npessima disposizione del canto i. Ad J1C~ j Tr1 7 • ■ • • iiì nHaydn, a Mozart fece rarissimi e minimi —accenni. Quando deplorava che gli italiani imitassero gli stranieri, era oertamento giusto il suo pensiero. L'arte è universale, nessuno più di me lo crede — scriveva nel giugno del '78, ln un abbozzo di lettera — ; ma sono gli individui che la esercitano; e siccome i Tedeschi hanno del mezzi diversi dai nostri, c'è qualche cosa di diverso anche di dentro. Noi non possiamo, dirò anzi, non dovremmo scriverà come i Tedeschi, nè 1 Tedeschi come noi. Che i Tedeschi si appropriino le nostre qualità come fecero a' loro tempi Haydn, Mozart restando però sempre quartettisti; che Rossini si approprii pedino alcune forme di Mozart restando però sempTC melodista, sta bene: ma che si rinunci per moda, per smania di novità, per affettazione di scienza, si rinneghi l'arte nostra, il nostro istinto, quel nostro lare sicuro, spontaneo, naturale, sensibile, abbagliante di luce, è assurdo e stupido >. ' Pensieri questi, logici e giusti, nei quali non ai deve vedere un angusto patriottardismo, ma la consapevolezza della profonda differenza fra le razze, ed un appello mpddtrcol'ucoa cegm1zacsil'dtiqisbmsaalla sincerità artistica, infine la condanna, zpleae rndella moda, dell'imitazione. Ma dal pc-n sarla così al deplorare che alcuni musicisti italiani tentassero il sinfonismo, e, peggio, allo scandalizzarsi perchè in Italia si facessero conoscere le opere del sinfonismo straniero, ci corre. Caratteristico è i'atteg-,, giamento del Verdi, agli inizii del periodo U veramente rigeneratore della cultura ita- rliana, quando il movimento per l'istituzio- tne dei concerti sinfonici e delle società di | Amusica da camera, si propagò da Torino sp(1872) a Milano, a Napoli, a Bologna, a cRoma; istituzione cho doveva finalmente, fifax conoscerò, e non solo alle masso ma, Isicerto, anche alla moltitudine dei professio- j lcnisti di musica, l'ignorato campo delle mu- '«siche sinfoniche. Lo strano è che per Verdi questa diffusione culturale implicava contaminazione; secondo lui, il « Quartetto i era « arte tedesca s. Infatti, nella citata minuta di lettera, si domanda : Ma in nome del diavolo, se starno in Italia perchè facciamo dell'arie tede-ca 7 12 o 10 anni fa, non ricordo se a Milano o altrove, mi nominavano Presidente d'una socieià rio] Quartetto. Rifiutai, e dissi: Ma perchè non istituite una so"ieta di Quarlello vocale ? Questa è vita italiana. L'altra è arte tc.icsca. A parte il fatto che puro in quel tempo sorsero alcune accademie corali in Italia, a parte l'ingiustificabile opposizione alla diffusione della cultura, ci si potrebbe domandare quale fortuna avrebbe potuto avere la infsttapmidjdpolifonia vocale cinquecentesca e seicentesca ■ ^in un paese destinato a conoscere solamen- Bte il melodramma, e corno mai il Verdi, | ccili Unto repugnava il sinfonismo orche-, tstrale, simpatizzatse poi per quella polito- ! ,nia classica che fu Dall'altro cho sinfoni-. ^«no vocale, e non certo canto inteso otto-1 scenbescamente. Chi avesse avuto, come il riVerdi, sollecitudini per l'indirizzo e le fi- znalità teatrali del proprio tempo, non po- iteva logicamente acquietarsi nel pensiero I jche la conoscenza, la diffusione, il gusto|adei cinque e seicentisti italiani, c spaglino- ■ cli, e neerlanclesi e tedeschi — ma, ricor-, gdiamolo, Verdi non aveva nella penna cho fcdue soli nomi: Palestrina. e Marcello,—! cldslrsarebbero fatalmente risolti in vantaggio del genere teatrale! Anzi, il gusto del pubblico sarebbe stato facilmente tratto dalla coralità al sinfonismo. Egli scriveva: e TJn'ist;tuzione di Quartetto vocale che avesse fatto sentire Palestrina, i migliori suoi contemporanei, Marcello, ecc. ecc., avrebbe tenuto vivo in noi l'amore del canto, la cui espressione è l'opera ». Anzi tutto, ci voleva altro che quartetto, (ci volevano società corali numeroso e bene esper-1 te, e direttori ben specializzati, ed edizioni, e etudii delle fonti!); poi, ripeto, si po-teva bensì prevedere un rifiorire di ora- torii e di cantate ecc., ma non un vantag-1 rio per la fortuna dell'opera. L'ostilità verdiana alla diffusione dello manifestazioni sinfoniche si rivelò tipicamente quando, nel '78, l'orchestra della Scala, diretta dal Faccio, fu invitata a dar concerto all'Esposizione di Parigi, precedendo l'orchestra di Torino pur essa invitata; avvenimenti questi che mettevano in bella evidenza l'Italia nella sua nuovisaima attività sinfonica. 11 Verdi formulò « voti caldissimi per una snlendida riuscita ad onore del nostro paese ». Ma le suo previsioni erano fosche 1 Le confidò, nel giorno stesso del primo concerto, alla Maffei : «Il rischio è grande. Hanno giuocato il cento contro uno. Se riescono, guadagnano poco; ae non riescono, perdono quel po di mutazione e di prestigio che dà da lontano 1 vostro Teatro della Scala. Inflne 11 pari. olo è grande e parml non s'.avlsi (pensato abbastanza... Infine speriamo che il fuoco, 'impeto che Faccio saprà comunicare all'orhestra (purché non vada al di la) salvi tutto Non vi è altro su cui sperare. Sulle receltei 10n vi è da calcolare e sarà un magro affare/, *vute poi notizie del luoceteo dell'orchetra della Scala, scrisse: t Le poche macchie che si rimarcano non scurano per nulla la splendida riuscita ed o son felicissirno d'essermi ingannato. Speavo anch'ao che la foga e 1 Impeto avreb- nero salvato tutto, ma non creavo ad un uccesso cosi netto. MI si scrive anche che aia un svecàs d'argenl. MI sono sbagliato doppiamente. Vedete che gran Turluru eon o 11, Ma i buoi commenti privati furono diversi. E' di quei giorni una minuta di lettea, non spedita: • ^ì^JhS" «occorriamo senza volerlo alla rofflj iffiò.'K irvi cose che apparentemente non hanno enso comune, vi direi che causa prima in talia furono le Società del Quartétto ; caua recente il successo di esecuzione (non di composizioni) dell'orchestra della Smala a Parigi. L'ho detta: non lapidatemi... Troppo lungo sarebbe dirne le ragioni.. Come mai il successo di un concerto orhestrale potesse € rovinare il teatro i non 'intendo. Ebbe poi notizia del successo del 'orchestra di Torino, ed eccone il commento in una lettera, ohe credo ancora medita, alla contessa Massari Waldmann: (8 luglio '78). — Avete sentito 1 successi musicali di Parigi?... siamo in vena: dopo d trionfo (come mi scrisse Faccio) dell'orhestra di Milano, eccone un altro, e forse maggiore, dell'orchestra di Torino, io me ne allegro assai, che ridonda ad onore del paese; ma chi potrà tener in freno ora quei professori? Era abbastaza difficile prima; inimaginate adesso 111 Ma non era certo una preoccupazione £fi! JjffVS I P«™» usiono della musica strumentale. Invitato. usione della musica strumentale. Invitato, ttfatbi nal 79 ^ accetUre fl tifco]o £ pres;de'nfce onorario della ^de^ Orche^ , ^ M;l rffi «riandò: ' . ' ' °"'",,="u"- iJ° son.° per na,ura alien° da Questa sorta d'incombenza, e tanto più ora nel caos di dee in cui tendenze e studj contro l'indole nostra hanno travolta l'arte musicale Italia. 1?" ln <Iuesto ca0J' c,al <lual,e DUÒ sortire taenlssimo un mondo nuovo non p ù nostro — ma più facilmente 11 nulla, io non desidero rendervi parte alcuna. Faccio però voti ar. entisslmi perchè questo ramo orchestrale ell'arte riesca bene, col vivo desiderio alresì che l'altro ramo possa venir egualmente oltivato, a fine di ridonare all'Italia quelarte che era nostra, e distinta dall'altra n giorno. Sta bene educare il pubblico, ome dicono 1 dottori, all'Arte grande, ma a [me] pare che l'arte di Palestrina e Marello sia pure un'Arte gronde...-ed è nostra. Palestrina e Marcello sono i soli nomi che gli tornano frequentemente nella penna; ma una sua lettera al Boito, del 5 ottobre 887, autorizza a supporre che la conoscena del campo corale, di quell'arte polifonia vocale cui sì frequentemente il Maestro i riferiva, non era stata da lui, dedito al'opera e, per sua dichiarazione, poco erudito, sufficientemente approfondita. Infati, l'elenco dei musicisti indicati al Joito, quali capisaldi d'indirizzo artistico per una stituenda scuola statale di canto corale, benché buttato giù in fretta, e i primi che mi vengono in mente », quell'elenco fa penare che il Verdi non avesse precisa conoscen. za delle opere. So è ovvio pensare, a pro¬ posito di una scucia di canto corale, a Paestrina, a Marcello, ed anche a Pergolesi, a Carissimi, i nomi di Alessandro Scarlatti e di Piocinni (definito altresì come t autore della vera prima opera buffa: Cecchino ») stanno invero fuor di posto; e sono se» nomi* preferiti > e segnati con asterisco. Altri poi ne indica; e se era opportuno suggerire Vittoria, Luca Marenzio, Allegri, (di Monte-verde afferma che « diponeva male le parti »), Lotti e Cherubini, ci lascia alquanto perplessi questa seconda filza : Cavalli, Leo, .Tornelli, e, peggio, Paisiello, Cimarosa e Pietro Guglielmi... L'ecn°°» conveniamone^ fu fatto troppo alla «ta o per < sentito dire ». _ _ _ ^ ^ Tornando alle manifestazioni sinfoniche,, l Verdi scrisse chiaro e tondo alla Maffei nel '79: • M'hanno scritto del concerto e sta bene: fa ono-e al paese ma non so di quanto utile sarà all'arte nostra. Intendiamoci bene: l'arte .nostra non è l'istromentale... ». Lo previsioni fosche culminarono in un'altra frase, a proposito del coro dell' « Ode alla gioia »: « Non arriveranno mal all'altezza della prima parte ; imiteranno facilmente la pessima disposizione del canto dell'ultima, e coliautorità di Beethoven si griderà: cosi si deve faro... Sia pure; si faccia par cosi! Sarà jìnclie meglio; ma questo meglio è la rovina dell'opera indubitatamente ». Ma a chi mai sarebbe venuto in mente ^ imitare la disposizione delle voci dell'Ode Bjja ~i0ia,? In realtà, egli confondeva o si compieva di confondere le causo di doterminati effetti. Quand'egli stigmatizzava ,e bana]i imitazioni wagneriane — perchè ^ c.g]j parlava di riflessi tedeschi in Italia scriveva, , tedeschi » ma voleva dir ■ wagneriani ; ohi mai imitava Beethoven o Mozart?t — aveva perfettamente ragione; ed in questo caso cgii non. alludeva, in fatto j'opere> al Gobatti o al Ponchielli o ad ajtei suo; Batellibi, ma al solo Boito, cui i contemporancl riconobbero, nella maravig^a jg^a prima apparizione, un faro dotfc0j un pensiero metafisico, un uso doli'orchestra e dei cori, più « tedesco » che « ita-liano »; e fuori del teatro, proprio nella disputata sede del sinfonismo « della tedescheria, egli alludova non ai minori, corno l'innocuo e semplicetto Bolzoni, ma all'arido Sgambati, che a più d'uno sembrava un gran sinfonista. Ma avevano virtualmente il Bolzoni, lo Sgambati e gli altri pochi che scrivevano sintonie, il Foroni, il Bazzini, il Kossaro, ecc., quel c nostro faro sicuro spontaneo naturale sensibile ah ba,gliaute di luce » che il Verdi temeva fos so Sj,recato c per moda, per smania di nopor affettazione di scienza », in eser cicazioni sinfoniche, o tolto alla fortuna del teatro d'opera italiana? Il Verdi, che li conosceva bene, non avrebbe dovuto fare grande assegnamento sul loro contributo operistico ! Per quanto si esamini e si studii questa curiosa ostilità verdiana alla diffusione della musica strumentale in Italia, non si riesco a trovarne una logica giustificazioneOcgi possiamo affermare che quel che dpiù nobile si fa in Italia, in opere teatrali e sinfoniche, deve la 6Ua origine precisamente al movimento culturale de1870-80. Il grande Maestro s'illudeva dscoprire e di combattere il male nella sua radice: la diffusione dell'arte strumentalecome danno pel teatro. Il male era questoche, al suo tempo, in Italia, di artisti come lui ce n'era uno solo ! A. DELLA CORTE.