Un Natale di guerra

Un Natale di guerra Un Natale di guerra 1 te d ansia e di freddo, precipito perche ^*™*^ »« P"» ^ 8ue PieShe - (Dieci anni dopo. . . -) Monte Nao, 1915. Pomeriggio luminoso di una liquidità cristallina: a valle, fiori, siepi di geJo; drappi di perla sui prati. Incisa di due solchi scuri, deserta, inerte.^ la strada; muto il torrente. Sotto il ghiaccio, tra i macigni, un debole pispiglio, un gorgoglìo roco : la voce spenta, 1 agonia di un nevaio. In alto, un gran vibrare di pagliuzze d'oro intorno al sole che tramonta; ma verso oriente, dalla parte del massiccio del Baldo, un azzurro d'acciaio, freddo. Sulle nostre misere tende, il Viesa, da pochi giorni sanguinosamente conquistato, getta un'ombra verdastra. Un nembo di moscerini turbina di gioia sotto gli ultimi raggi del sole; ed io contemplo quel piccolo cosmo, a me così vicino, ' da me così lontano, con sguardo curioso, con spirito assente. Un sibilo lacerante, uno scoppio, un tintinnìo metallico, un lungo e dolce lamento. Oh, i bei vapori ! Giallo, roseo e azzurro. Il nemico tira a shrapnel» sulla strada. I vapori si seguono, s'inseguono, arabescano l'aria, lentamente si dissipano. E i tintinnii dolio spolette, rimbalzanti di dirupo in dirupo, s'intrecciano, si amalgamano, si fondono in pianto. Il nembo di moscerini continua a turbinare di gioia... Silenzio. Il nemico si è quietato: la valle, muta, rattrappita, non ha una sola voce, non un solo respiro. Uri rantolo sommesso, spezzato, poi più forte, impaziente, iroso quasi: il telefono chiama: — Pronti? Pronti. — Domattina dovrà essere presente alla messa di Natale alle 6 precise, e dormire stasera a Tiamo. Ha capito? — Ho capito, signor sì. Depongo, con un moto di dispetto, l'ascoltatore. Ero immensamente felice di passare il Natale quaosù, con la mia sezioncina di montagna, che ho rimesso a sesto dopo i duri colpi nemici, coi miei giganteschi barbuti artiglieri, che hanno ricevuto stamane i doni, saliti su questa vetta da chi sa quale plaga d'Italia, facendo conca con le mani villose, gli occhi incuriositi e lucenti d'una gioia infantileBisogna obbedire. Una raccomandazione al sergente, un'occhiata ai cannoncini, dalle piccole bocche rotonde volte verso l'orlatura dentata dei monti, e via giù di corsa per il sentiero duramente tracciato dai nostri zappatori. I monti, senza più luce, incombono torvi, le vette, mordono iraconde nell'azzurro ; una nebbiolina livida invade la stretta, l'avvolge come in un sudario. E verso quel sudario, solo, treman- Ad una svolta, un bagliore biancastro: l'ossario di Bezzecca ; subito dopo, un dirupare di balze morenti in erbosi gradini. Il sentiero ora corre interamente scoperto al nemico. I rifornimenti e le salmone passano di notte, ma persone isolate o anche piccoli gruppi — lo sappiamo per esperienza — passano indisturbati. La guerra è piena di co teste tacite intese, altrettanto sicure come trattati, anzi, forse, un poco di più. Pure il sapere, il sentire tante bocche da fuoco puntate su di me, mi dà un'ansia, un disagio vago, che, lungi dell'affrettare il mio passo, irragionevolmente lo trattiene e lo tarda. E se?... Ma il nemico, ancora una volta, non elawede o finge di non avvedersi di me, e distrugge generosamente ogni illusione, se pure ne abbia mai avute o ne abbia, sul valore del mio piccolo io... **• Intorno al gran camino della casa parrocchiale, naufraghi d'una tempesta, che avvolge e squassa tutto il mondo, sediamo alla rinfusa ufficiali subalterni, sottufficiali, soldati di tutte le armi.. lingue dì fiamma viva balzano in agili spirali, puntano ardite su per la cappa caliginosa, frastagliano di guizzi irrequieti il pavimento di legno grezzo. Le nostre ombre si accorciano, s'allungano, danzano grottescamente sulle pareti squallide. Crepitìo di ramaglie, sospiri, folate di vento; dalla strada irta di pietre, uno scalpitare duro di muli, rotto di bestemmie. Nessuno fiata. Vigilia di Ne.tale. C è stato un tempo, | nella mia vita, in cui sognavo schiere d'an ] gelj daile aij d>oro da'ife mani ,ijafane i0 , ,. , . . . .. . 77. , ■ ™-~~ colme di doni, trasvolanti tacita tra fiocchi di neve ; ed io tendevo loro lo mie 1Io lasciavano sempre cadere. Tempo lontaj sei i mente persuasiva e sicura, che uou mi pas- , piccole braccia innocenti ; e loro, il dono, , i u-rf«vano vmnr» radere Tpmnn In 10 iasoia\ano sempre cadere, lempo lo i no, incredibile, irrevocabile. « Perche I stato buono », mi diceva, la mattina, mia , madre , 0 comc faimo a 8aperloj „ GU ... T "F? * ~" : angeli sanno tutto ». La risposta ora tal- j «alla nanima, rilevati da mobilissime oro | b ' sava certo per la mente di domandare altro. La vita aderiva al sogno. Cerco sul viso dai miei compagni l'ombra d'un qualche ricordo, il doloro represso di un mancato ritorno, la compiacenza, sia pure fugace, di un momentaneo rifugio. Nulla. Nei loro profili, investiti \* an.uu ui:c n; cum uuìu e tagiien&e, i che me ne sento ferito. — Nevica... — Forte? — Sì, forte... Il soldato, che andato alla finestra, ne richiude gli scuri logori, e s'accovaccia silenzioso presso il fuoco. Gli altri sono rimasti immobili e perseguono non so quali immagini. Nella ridda dai bianchi fiocchi, passano, sghignazzando e subsannando, fantasmi di morte. All'altare maggiore officia, tra fiochi, vacillanti bagliori, un cappellano barbuto: la, sua voce è piena, ma scura. Nel passare da un lato all'altro dell'altare, un cigolìo, uno stridio di chiodi irride alle sue parole sacre. Un soldato, perduto; nella sua casacca, lo serve impacciato. Su, giù, per gli scabri gradini di pietra, sale e discende con golìa cautela, ed ora arruffa la bianca tovaglia, ed ora piega sotto il peso del messale. Di quando in quando, s'arresta in ginocchio, il capo curva, ls mani congiunte in un'immobilità rassegnata. Dal folto dei soldati, nella chiesa oscura, esala un tepore umido di resDÌri umani. Colpi di tosse, stropiccìo di piedi. Al Vangelo, il cappellano parla: parla, delle famiglie lontane, dei casolari abbandonati, della morte, che inesorabllmental

Persone citate: Baldo, Incisa

Luoghi citati: Bezzecca, Italia