Il processo di Napoli di Vittorio Banzatti

Il processo di Napoli Il processo di Napoli per la corrispondenza sulle Manovre La sentenza del Tribunale Napoli, 11, notte. L'udienza ha Inizio alle 12,30. Nell'aula scarso pubblico, ma in compenso numero cospicuo di tutori dell'ordine soi.to la vigile direzione del cav. Caggiano. Tutti i difensori sono al loro posto e sono anche presenti il cotnm. Ambrosini e Paolo e Michele Scarto glie Il Presidente chiama Paolo Scarfoglio e lo invita a rendere il suo interrogatorio. Presidente: — Ella e il direttore gerente dol Mattino? Paolo Scarfoglio: — SI. Presidente: — L'articolo incriminato venne pubblicato dal Mattino, edizione di_ provincia? — Sdo in qualcuna delle edizioni di provincia; l'articolo era stato per errore pubblicato nella seconda edizione del Corriere di Napoli e contemporaneamente nelle prime quattro edizioni del Mattino. Quando alle 10 di sera iniziai, come di consueto, il mio lavoro, il redattore-capo Giuseppe Vorlumi, mi domandò se l'articolo, essendo apparso sul Corriere di Napoli, dovesse essere riprodotto nella quinta edizione dèi Mattino e ncLle successive, e se dovesse in ogni caso riprodursi un brano relativo all'invasione di fìorgofranco, che, deformato dalla trasmissione telefonica, appariva affatto incomprensibile. Disposi che il brano fosse soppresso perchè era assolutamente impossibile intenderne il significato. L'aw. I. Petroni, a questo punto, esibisce copia della quinta e sesta edizione del Mattino nelle quali l'articolo incriminato appare mutilalo nella descrizione relativa all'invasione di Borgofranco. I testi Viene quindi chiamato il primo testimone, comm. avv. Ugo Landi, consulente legale della Società del Mattino, il quale dà chiarimenti in merito ai servizi del Mattino. Segue quindi il teste Mario Bassi redattore della Stampa il quale spiega particolareggiatamente come procedette alla compilazione del giornale del lunedi 28 settembre in cui comparve la corrispondenza dell'Ambiosini, e aggiunge: — Fui io a passare lo stenogramma in tipografia dopo avei posto i sottoiitoli all'articolo. Nel porre i sottotitoli, soppressi due Inani perché, avendo stabilito, per ragioni di impaginazione, che l'articolo non dovesse eccedere in lunghezza lo duo colonne, pensai che tornasse necessario qualche taglio. Avv. Di Benedetto: — A cho ora ebbe lo stenoscritto o si occupò di ridurlo? Teste: — Lo presi in esame alle 4,30 del mattino. Avv. Sardi: — Desidererei sapere dal teste, che ben conosce rAmbrosini, se egli pensò mai.... Teste: — La mia intimità, posso ben dire fraterna, con Ambrosini, la mia conoscenza quindi non soltanto della sua opera, ma dei suoi pensieri, delle sue vedute, dei suoi sentimenti, mi fanno escludere nel modo più assoluto che egli abbia mai voluto o potuto concepire una offesa all'esercito. Lasciai i locali del giornale il mattino di lunedì alle 9, l>rr concedermi riposo. Aflo 18 appresi che l'articolo di Ambrosini era stato male interpretato. Presidente: — Quando sa che si recò iu redazione rAmbrosini ? Teste: — Penso che 6i recò verso le 14 o le 15 del giorno 28 Io lo vidi verso le 21 di lunedì; egli si mostrò sorpreso di quanto era accaduto c mi espresse il dubbio che l'equivoco potesse essere stato originato da tagli ila me fatti alla sua corrispondenza, e specialmente del periodo terminale. Seguo l'aw. Giuseppe Vorluni, redottorecapo del Mattino, il quale dice che. la sera dol 28 settembre, iniziando, co me di consueto, alle 22 il suo servizio, procedette alla revisione di quanto era stato pubblicato nelle edizioni del Mattino stampate anteriormente al suo arrivo in ufficio, e rileggendo una corrispondenza del collega Ambrosini sulle manovre nel Canavese, cjie già aveva molto sommariamente'scórso"sùlTCorriere di'\'n})oU,~nell'oI8tessò gìor.rio. eWli#!à osservare che la narrazione presentava uni lacuna per effetto della quale il significato del brano seguente-appariva 'Incosffprenslblle. Perciò egli lo""60i>prèsse, d'accordò cor suo "direttore. Poi, quando era eia formata la pagina per l'edizione di Roma venne, nel corso dello comunicazioni telefoniche, la notizia che per il brano soppresso come incomprensibile e inefficiente era nata a Torino una dimostrazione e conseguenti provvedimenti dell'Autorità prefettizia. Più tardi venne comunicata la dichiarazione che sull'argomento pubblicò La Stampa, la quale valse a chiarire come realmente, per una lacuna, il brano incriminato fosse apparso incomprensibile. Ultimo teste k II collega Giuseppe Somma redattore del Mattino, il quale dichiara che pubblicò nel Corriere di Napoli la corrispondenza AmbTOsini riservata al Mattinoperche non aveva altra materia disponibile in tipografia. La tesi del P. M.: reato formale Ha quindi la parola il Pubblico Ministero. 11 rappresentante della legge comincia col faie un parallelo tra il passato di cittadino, di letterato e di giornalista di Luigi Ambrosini e l'accusa di vilipendio all'Esercito che gli è messa per la corrispondenza incriminata sulle manovre del Canavese. li P. M. dichiara esplicitamente che il passato di Ambrosini non lascia per un momento dubitare dei suo carattere di patriota; ma ciò nonostante sostiene l'accusa, dicendo cho dalla lettura dell'articolo incriminato si deve trarre la convinzione che tiattast non di un quadro fantasioso, ma di un quadro realistico. Daltra parte il P. M. manifesta l'avviso che il reato dell'autore dell'articolo, come il reato del gerente del giornale, nel quale l'articolo viene pubblicato, ò reato formale, che non consente quindi indagini sull'esistenza del dolo, perchè il dolo sa presume, il dolo è re ipsa. Perchè Ambrosini avrebbe commesso il reato che gli si ascrive? 11 Pubblico Ministero, posta la domanda, risponde non essere necessario ricercare il perchè, e ritiene invece che « sia perfettamente giustificata la severità nella puniziono di esso, perchè tutti i reati che si commettono col mezzo della stampa meritano una sanzione di legge». 11 P. M. conclude chiedendo quindi, per l'Arabrosini, una con. danna ad un anno di detenzione e a mille lire di multa; per Pao'.o e Michele Scarfoglio e per il comm. Bcir/atti la condanna a sette mesi di reclusione e 500 lire di multa. r L'arringa dell'avv. Sardi Ha quindi la parola l'aw. Sardi. Prima che egli inizi la sua arringa difensiva il presidente gli ricorda che sono le 17,30; il che determina una protesta dell'avv. Di Benedetto, il quale dichiara di non sentirsi per sua parto eli potere sostenere una difesa quando 61 vuole costringere ad esporre le ragioni degli imputati in breve spazio di tempo. Presidente: — Fino alle 19,30. in tre persone, potranno ben parlare. La difesa china il capo e l'aw. Sardi inizia il suo dire. Nell'esordio l'avvocato Sardi eleva una protesta contro l'ipotesi formulata dal P. M., che cioè Luigi Ambrosini abbia voluto, scientemente, esporre l'esercito del suo paese all'odio e disprezzo della nazione e dell'estero, apparecchiando nello stesso scritto criminoso i cardini della propria difesa. — Se ciò il P. M. ha supposto — prosegue l'oratore — vuol dire che ben saldi sono gli argomenti difensivi da noi apprestati; vuol dire, soprattutto, che ben difficile deve essere il rispondere al quesito: come mai Luigi Ambrosini avrebbe potuto commettere il reato che gli si vuole imputare? Uomini dal noto passalo come l'Ambrosini e il Hanzatti non possono néuiiiieiìo concepire il vilipehdlù alt l'Esercito. L'oratore, che discute con vivacità e con grande calore, passa a mettere in rilievo il contrasto esistente tra le figure nobilissime dei supposti rei e la figura ignobile del. reato loro ascritto, o si domanda come si possa superare semplicemente questo contrasto, come ha fatto 11 P. M., facendo ricorso al reato senza causale. — Ah no! — esclama l'aw. Sardi con forza — Qui non siamo di fronte ad un reato senza causale, siamo di fronte ad un reato che non esiste. Luigi Ambrosini e Vittorio Banzatti non sono che delle vittime della iperestesia dol sentimento patriottico, iperestesia che io spiego e giustifico, che ammiro, ma che devo pure rilevare essere slata l'unica causa della erronea interpretazione dell'arti¬ colo incriminato. Ma nelle aule giudiziarie non si danno giudizi di impressione, non si pronunciano sentenze dominate da qualsiasi, anche se pur nobilissima e generosa passione. La ricerca dunque sia duplice: soggetiva ed obbiettiva, E qui l'aw. Sardi si addentra nell'esame dello scritto incriminato. — Ove le manovre erano finzione di guerra; finzione di guerra è il concetto dello scrittore, la descrizione delle operazioni che si andavano svolgendo. Fantasia dunque, finzione letteraria innestata sulla realta. Questo ripetutamente è dichiarato a chiare parole dall'Ambrosini, nelle varie sue corrispondenze; questo, a chiare, evidenza, si rileva da chiunque legga spassionatamente tutto quello che la Stampa pubblicò. Vi furono espressioni vlbrantt dì affettuosa simpatia per i soldati, di alto elogio per essi e per i valorosi supremi capi del nostro esercito vittorioso e valoroso. EòS-allora. come ciò si concilia coll'accusa che all'Ambrosini si muove? Come si spiega umanamente, lo: gleamonte, che si tratta di vilipendere, ai calunniare ciò che aveva esaltato, ciò che aveva circondato di nobile, pura luce? La risposta l'attendevamo dall'accusa, ma la risposta non venne; non verrà più, non verrà mai. perchè ninno la può dare, perchè essa sarebbe la negazione della verità, come lo e l'accusa che si lancia contro La Stampai Tutto il passato di questo antico, glorioso giornale è un passalo d'onore e di civica dirittura. Mai La Slampa fece opera contro la Patria e contro le glorio più luminose di esaa. La Patria e l'Esercito sono al disopra delle contese politiche, dello passioni di parte. La Stampa ha sempre esaltato l'eroismo dei soldati italiani. L'accusa, per essere logica ed improntata a realtà, dovrebbe dimostrare che l'Ambrosini e La Stampa hanno, ad un tratto, obliato tutto ciò e si sono macchiati della turpitudine di calunniare i soldati gloriosi dell'Italia vittoriosa, senza una ragione, senza una causa, per brutale malvagitu. Ma l'accusa è caduta nel vuoto, nell'irreale, nell'assurdo. La figura degli imputati, Ambrosini e Banzatti, esce da questo giudizio nobilitata dal loro dolore, dalla loro lunga angoscia nel silenzio, mentre la. bufera contro di essi infuriava implacabile. L'oratore conclude chiedendo l'assoluzione. La difesa del Gerente Il Presidente <là quindi la parola all'aw. Pctvoni — difensore dei fratelli Scarfoglio — il quale esordisce dicendo che uno dei più eleganti c certamente il pili sfortunato dei poeli latini difendeva, nella sua adolescenza, di sotto ad un tavolo, contro le furie paterne, là leggiadria dei suoi versi, la grazia dell'arte sua. Si conforta perciò ognuno che veda come accada talvolta che si debba difendere, non più dinanzi al pubblico, non in cospetto della letteratura, ma persino in Tribunale la fiamma della propria passione letteraria, la fantasia del proprio talento di scrittore. Quindi, l'oratore, dichiara di avere uh compito molto modesto e molto circoscritto, poiché non deve difendere l'autore delia corrispondenza incriminata, ma i gerenti dei due giornali napoletani, che questa corrispondenza incriminata pubblicarono. E per tale suo compito l'aw. Petroni sintetizza i postulati della dottrina e gli insegnamenti della giurisprudenza sulla responsabilità del gerente, por concludere che per colpire il gerente del giornale bisogna che sia condannato l'autore dello scritto pubblicato. Ora, so l'Ambrosini non ha inviata la corrispondenza incriminata al Mattino e al Corriere di Napoli ò chiaro che egli deve essere assolto per non aver commesso il fatto che gli si imputa nella pubblicazione dei giornali napoletani, ed assolvendosi Ambrosini da questa Imputazione non possono essere logicamente condannati i gerenti dei giornali napoletani; altrimenti si violerebbe il disposto dell'art. 47 che, estendendo la condanna dell'autore al gerente, presuppone la condanna del primo. Ma se pure non si volesse accogliere — e non se ne avrebbe ragione — tale tesi, non e da discuter* che il gerente, una volta privato del meizl di difesa che l'autore dell'orticolo non esperisce, perchè afferma a buon diritto di non aver commesso il fatto, essendo stata la corrispondenza Inviata non da lui ma dalla direzione del suo giornale al Mattino e al Corriere di Napoli, riacquista tutto le prerogative degli imputati, e dovranno essere ammessi tutti i mezzi difensivi; e se egli può addurre' tutti i mezzi difensivi dovrà essere ammesso a provaro la sua buona fede. Nel caso' in esame, la. buona fede di Paolo e Michele Scarfoglio è luminosa. L'oratore, conforta la sua dimostrazione con, Copiosi argomenti ■ di dottrina e termina invocando una sentenza di piena assolutoria perchè il fatto non costituisce reato. L'aw. De Benedetto Ha quindi la parola l'aw. Di Benedetto, che esordisce rilevando come il suo collega della difesa, l'avv. Sardi, ha esaminato il profilo umano della causa parlando da puro patriota, mentre egli si riserva di esaminare la questiono giuridica. La legge, in virtù della quale si è proceduto contro Luigi Ambrosini, tutela l'onore o la dignità e il nome dell'Esercito nazionale come istituzione, non tutela i singoli reparti o singoli individui che compongono l'esercito. Anche quando fosse quindi possibile considerare isolatamente I brani incriminati dell'articolo Ambrosini ed affermare cho in essi si contengono fattori integrativi del reato provisto dall'art. 2 della legge Crispi 1894, non è possibile accusare e punire Ambrosini per vilipendio all'Esercito, perchè non all'Esercito come istituzione, ma in rapporto solo a pochi individui, egli avrebbe col suoi scritti recato offesa. L'accusa non reggerebbe ugualmente anche se fosse possibile isolare un brano e considerarlo isolatamente, ina ciò non è lecito, e l'indagine va quindi estesa a tutti gli scrìtti di Luigi Ambrosini, cioè va estesa alla persona stessa di lui. — Luigi Ambrosini — prosegue l'oratore — è un letterato, discepolo di Giosuè Carducci, discepolo del poeta della terza Italia, che anch'io ebbi maestro e che dalla cattedra, come attraverso 1 suoi magnifici e poderosi versi, formò l'atmosfera nella quale vive oggi la giovinezza itàlica. Non è possibile che chi da Giosuè Carducci ha ricevuto lezioni di patriottismo e di letteratura, chi come Luigi Ambrosini del grande vate dell'Italia nuova è stato discepolo, abbia potuto pensare per un solo momento di recare offesa all'esercito nazionale, quando sin dalle prime puntate delle sue corrispondenze avvertiva che avrebbe fatto della letteratura, non della cronaca, che avrebbe colorito romanzescamente le sue narrazioni, avrebbe offerto ai suoi lettori un quadro vivace, fantasioso delle manovre, dando la sensazione che una guerra vera si combattesse nel Canavese. Attraverso l'esame analitico dei vari articoli a firma Ambrosini e del ricordo del passato e dell'attività dello scrittore, l'oratore completa la dimostrazione dell'innocenza del 6uo difeso c, ad esame compiuto, proclama che più cho mai assurda, inverosimile, ridicola si manifesta l'accusa, perchè è evidente che essa sorgo dall'incomprensione della linea programmatica della narrazione. — Per dieci anni durante la guerra — con elude l'avv. Di Benedetto — ho abbandonato la toga per dedicare alla grande Boma la mia attività. Or non è molto, ho combattuto per vari mesi innanzi al più alto Collegio giudicante una grande battaglia per difendere dei galantuomini calunniati. Non avrei io, signori del Tribunale, assunto oggi la difesa del calunniatore dell'Esercito italiano, se la turpe accusa che grava su Luigi Ambrosini lo riguardasse. L'ho difeso invece perchè egli è un italiano e da Giosuè Carducci ha appreso che sia la Patria, e lo raccomando a voi che avete nelle mani la vita morale dei giudicabili, senza Invocare la vostra clemenza, ma invocando la vostra giustiziai La sentenza e l'appello Alle ore 19,30 il Collegio si ritira per deliberare ed alle 20,15 il Tribunale rientra nell'aula pronunziando la sentenza colla quale, ritenuto responsabile Luigi Ambrosini del reato di cui all'art. 2 della legge Crispi 1894 in relazione all'editto 47 6ulla stampa, ed esclusa raggravante della continuità, lo condanna, insieme ai gerenti comm. Vittorio Banzatti, Paolo e Michele Scarfoglio, a sette mesi di detenzione e 500 lire di multa. I qi attro colleghi hanno subito presentato appello contro la sentenza di condanna. .scarso pubblico assisteva alla lettura della sentenza.