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La g La g «fi In un triste giorno del 1803, Samuel Taylor Coleridge, il grande |>octa romantico inglese, per sfuggire alla tortura dei dolori reumatici che lo tenevano a letto spasimante, dopo una delle sue gite ai laghi della Scozia e uno dei suoi prolungati soggiorni presso l'amico Wordsworth, ebbe la pessima idea di ricorrere a un rimedio oh* aveva veduto consigliato, per casi simili al suo, in unu rivista medica: alla famosa t goccia nera » ria Kcndal, cioè al laudano e all'oppio. Il sollievo fu istantaneo, la panacea parve miracolosa, i dolori sparirono corno per incanto Ma la guarigione non doveva essere che effimera. ì dolori, cacciati e ri¬ eddzlmcimgricacciati, ritornarono con sempre nuova • tostinazione, facendosi anzi sempre più in- ] msistenti e insopportabili, e, da quel giorno, j Coleridge divenne lo schiavo della « góccia ' nera », della « droga male'''-,t.a » e visse 1 sotto l'impero infausto dello, io, trasci- i nato dal suo demone sull'orlo dei più tene- brosi abissi della perdizione, dallo smarrimento e .dell'abulia, dai quali, solo a stento e solo negli ultimi anni della sua vita, riuscì a scampare richiudendosi nella casa di salute del buon dottor Gillman. Si è molto disputato dai biografi e dai critici del poeta per decidere se Coleridge ricorresse all'oppio proprio per liberarsi dal tormento dei suoi dolori fisici o non piuttosto per ricercare i torbidi paradisi artificiali dischiusi dalla droga portentosa. Thomas de Quincev, il più famoso tra i « mangiatori d'oppio », e a-meo e ammiratore del poeta, non si peritò di asseverare che Coleridge era diventato una vittima della goccia nera solo per una volontaria e morbosa ricerca dei proibiti incantesimi , prodotti dalla droga. Ma olii ricordi le j veementi smentite date dal Coleridge stosso . al De Quinoey e i suoi ammonimenti e scongiuri al mangiatore d'oppio porche de- j sistesse dal vizio delizioso e rovinoso, e chi ! ripensi agli sforzi pervicaci che il poeta j fece per sottrarsi all'impero malefico cui era soggiaciuto, è ormai oggi convinto che Coleridge, per quanto morbido e fantastico ì sia stato sin dall'infanzia il suo tempera- ! mento, non ricorse all'oppio come ad un | piacevole peccato, ma come ad un rimedio, Anche il professor Guido Ferrando, che ' oggi consacra al Coleridge un limpido studio critico {Ciderir/rje, Firenze, Le Mounier, 1925) si mostra convinto che il poeta I fu trascinato alla tremenda abitudine del- ! l'oppio dalle sue soli'erenze fisiche e non ! data smania di piaceri suggestivi e che • egli, durante tutto il corso della sua eòi- stenia fortunosa e randagia e della sua in- I costante operosità, si sforzò con ogni mezzo | di sfuggire a quella servitù come ad un ì martirio inconsapevolmente meritatosi. E | contemporaneamente al Ferrando, una ! aerittrice inglese pronipote del dottor Gill- ] man, Lucy Eleanor Watson, studiando in | mi recentissimo volume la vita del Cole- | ridge ad Iiighgate, durante gli anni che questi trascorse nella casa del dottor Gillman, ci riferisce questa appassionata autodifesa del poeta: « Io non ho mai amato il male per il male, nè ho mai ricercato il piacere per il piacere, ma solo per sfuggire alle sofferenze ohe s'attorcevano attorno alle mie facoltà mentali come serpenti intorno al corpo e alle ali d'un'aquila. La mia sola sensualità fu quella di non provare più il dolore! Io dichiaro dinanzi a Dio che questa maledizione e schiavitù della mia vita non ebbe origine ola una bassa ricerca sensuale, da un desiderio di eccitare e di esilarare me stesso ; ma puramente dalla sconsideratezza, dalla illusione e dalla presuntuosa fede nei rimedi medicinali, e poi dal semplice terrore, non ricercato, ma i I sofferto. La penitenza è stata aniaris sima ! i. Una prova curiosa degli sforzi tentati dal Coleridge per liberarsi dalla schiavitù, che gli accresceva le sofferenze fisiche e morali invece ohe alleviargliele, l'abbiamo in quell'aneddoto che lo stesso De Quincey ci narra e secondo il quale Coleridge, a Bristol, era giunto al punto di pagare un nomo che lo seguisse dovunque col preciso , e rigoroso incarico di impedirgli ad ogni eosto di entrare in una farmacia a chiedere Ja sua droga mortale. Ma il più eroico tentativo che il poeta abbia fatto per riuscire a sottrarsi definitivamente al malefizio dell'oppio e al naufragio totale del suo cory/b e del suo spirito fu la decisione da lui finalmente presa di farsi rinchiudere nella casa del dottor Gillman, dove potè, assistito amorevolmente e assiduamente dal medico e dalla famiglia di lui, riprendere, se non la completa fede in se stesso e la perfetta salute, almeno una relativa tranquillità e sicurezza, e riannodare alcune delle scomposte trame dei suoi sogni e dei suoi lavori. Ma ormai la goccia nera aveva abbastanza compiute le sue devastazioni e corruzioni nell'animo dolio scrittore, aveva scavato a fondo il metallo sonoro di questo poeta così profondamente sensibile e musicale, di questo artista cosi squisitamente Fer- dotato, di questo pensatore così mirabil- j mente comprensivo e congeniale., Il rando, nel Baggio critico che oggi ci presenta e che è inteso a studiare il Coleridge non solo come uomo, ma anche come poeta, Icritico e filosofo, non può attardarsi troppo ja narrarci ancora una volta le peripezie itragic.be di questa esistenza sospinta dal- Il'oppio per n deserto della insonnia, della procrastinazione e dellinadempimenlo, ma, per quanto egli stenda con delicata iufel- ! ligenza un velo pietoso sulle colpe e le mi- 1 serie di Coleridge uomo, non può riuscire a nascondere totalmente le deviazioni, le evasioni e i mancamenti di un'opera d'artista immortalata da capilavori come lAneien tnariner e Ghrùtuoel e tutte le pen• dule trame di un pensiero rimasto troppo spesso incoerente e inconcluso perchè l'ispirazione dell'artista non riusciva a sostenersi, perchè il sistema del pensatore non riusciva a connettersi nelle sue parti. L'asservimento al bisogno del guadagno e al lavoro giornalistico mal remunerato non sacrificò certo da solo la vita di C->leridgej l'inimicizia della società e 'e incomprensioni della critica non avvelenarono certo l'esistenza del poeta, che ebbe sempre amici soccorrevoli e discepoli devo'i " splendide occasioni di affermarsi in tutte le vie intraprese. Nè il puio iella famiglia, forse troppo leggermente deposto, gli ritardò il cammino verso le cime dell'arte, del pensiero, della fede, da lui vagheggiate. Coleridge fu veramente la vittima di un temperamento morbido e fantastico mace-

Luoghi citati: Firenze, Iiighgate, Scozia