Il primo racconto completo

Il primo racconto completo Il primo racconto completo dell' epico volo «sui ti?& continenti Mezzo mondo contemplato dalla carlinga come in una "film,, prodigiosa: terre inospiti, mari selvaggi, bufere tropicali... E nei momenti perigliosi De Pinedo accenna a una canzonetta napoletana Roma, 13. notte. Le avventurose vicende del gran volo sono stasera narralo da Campanelli alla Tribuna. Il fido compagno del comandante Uè Pinedo ha rievocato il « raid » tappa per tappa, senza peraltro venire meno alla modestia che ha caratterizzato per tutto il tempo l'impresa d°i duo vai iiTrsi volatori. a Oliando mi accinsi al « raid », mia moglie vo'le venire alla partenza, ed insistette lino all'ultimo «ìonienio per non farmi andare via. Ma il comandante la ialleino con due parole: « Stia tranquilla, signora: parliamo, e torniamo presto ». . . A quesio punto il Campanelli comincia a parlare dei suo comandante: ne è entusiasta: « 13' il più grande pilota del mondo — egli dice; — ottimo carattere, ottimo compagno. Stessi in capo al mondo, accorrerei subito, alla prima chiamata del mìo comandarne, al quale mi sento legato da ammirazione ed affetto. Io sono e sarò sempre il motorista ai De Pinedo ». . E comincia a parlare del « rata ». Campanelli premette che, se altro vantaggio a lui non venisse da questo volo, ha già ottenuto un ben'flcio nella sua salute; da Oltre dieci anni era afflitto da intossicazione viscerale : « Quando partii da , Sesto Colende stavo male, soffrivo parecchio: ebbene, le grandi sudate e i wisky and soda mi hanno completamente guarito: ora sto benissimo». Il primo guajo La prima tappa fu felice; appena appena qualche lieve accidente, 6a pure accidente si può chiamare. Il primo guaio avviene a Chahabar, tra Bende;' Abbas e Carachi. Il mare era grosso e il carico a bordo era parecchio. Nel decollare, un galleggiante laterale se ne andò per aria. Il Gennariéllo rimase zoppo. Si noti che Chahe'bar è qualcosa meno di un villaggio: vi è appena una stazione radiotelegrafica e .una assai esìgua popolazione di poveri pescatori. Tuttavia bisognava rifare il galleggiante, rifarlo nuovo perchè non esisteva più. « Cominciammo a girare— dice Campanelli — per scovare qualcosa. Alla fine gira e gira, riuscimmo a trovare qualche cassette qualche latta da petrolio. Era tutto quello che offriva la piazza. Con i mezzi die avevo a bordo, con mofta volontà, con motto più lavoro, io, che pure non ero stato mai falegname, lavorando fino a 14 ore al giorno con un caldo soffocante - 50 — tiuscu a costruire qualche cosa che somigliasse a un galleggiante, che certo c servi^ bene fino a Rangoon,,dove trovammo il materiale nuovoCosi,; grazie al cielo, riuscimmo a superare il primo guaio serio. a Da Chahabar a Bombay la tappa fu buo: na; ma giunta a Bombay, et si paro dinanzi l'India, con tutti t suoi misteri. La tappa da. Rombav a Cocanada ci doveva portare dal Mar arabico al Golfo di Bengala. Otto ore di volo continuo, perchè, quantunquei a Bombay qualcuno ci avesse detto che il Godavari era in piena, il comandante non faceva soverchio affidamento ' sopra 1 informazione degli indigeni, tanto meno questa volta, cne l'informazione era anche incerta. Bisognava portarsi da un mare all'altro in un solo volo, senza speranza di ammaraggio. Partiamo da Bombay diretti a. Cocanada, mille chilometri di volo, con otto ore di benzina. A mille metri di altezza, vediamo proprio di sotto di noi 11 panorama più fantastico, più pittoresco, più vario che si possa immaginare: foreste vergini Impenetrabili, colline e montagne, vegetazioni lussureggianti. Sembrava che si svolgesse sotto di noi, con velocita, fulminea, una film cinematografica. Ma a Godavari, 11 nuove che noi seguivamo, e che avrebbe dovuto essere la nostra salvezza in caso di un qualsiasi accidente, era terribilmente asciutto. E avevamo anche il vento in prua, ciò' che ci costringeva ad un maggiore consumo di benzina. Nelle chiuse il'un'Idroelettrica: le due signore australiane o Eravamo in volo già da otto ore, e sentivamo che la benzina cominciava a mancare. Cocanada era ancora lontana. E fila e fila ancora: quel po' di benzina che era rimasta e che avremmo voluto risparmiare a goccia a gocoia, se ne andava spietatamen«e- sentivamo che il motore già cominciava a gemere. E noi... ad alimentarlo con le nostre speranze. E avanti, avanti ancora: quando ecco, imiprowisamente, sotto di noi sma'd iettare qualche cosa che somigliava ad acqua- e acqua era. Poca cosa, un breve specchio, largo appena per il Gennariéllo. E giù su quell'acqua, perchè non vi era più benzina, nemmeno una goccia. Andammo ad ammarare sulle chiuse di ima stazione idroelettrica. Eravamo salvi. Ma dove eravamo? Gli indigeni ci guardavano con ocelli pieni di sgomento. Il comandante provò a rivolgere loro nualche parola; ma quelli, muti come pesci! Ma ecco vediamo venire verso di noi due signore; il comandante corre loro incontro, rivolge qualche domanda, chiede dove siamo. Finalmente si sente rispondere. Ouelle due signore erano australiane; e ci dicono che siamo a Reggi Mundra, a 50 clùlometri da Cocanada. Quelle due signore rappresentavano per noi tutto il mondo, per quel momento. Finalmente potevamo chiedere e sapere dove trovare un po' di benzina e un no' di olio di ricino. Questo lo troviamo nell'unica farmacia del villaggio. Final mente riusciamo a scovare anche due scatole di benzina per automobile: provvidenza insperata, e sufficiente per arrivare fino a Cocanada. Se non trovavamo quelle chiuse d'ella stazione idroelettrica, saremmo andati avanti, fino a bruciare xI motore, fino al- 3c A Cocanada finalmente troviamo rifornimento di benzina e di olio, che era arrivato appena due ore prima di noi. Giunti a Cocanada, avevamo superato, e ho detto in quali condizioni, la tappa più difficile, cioè transvolato un continente. Ora ci trovavamo ad est dell'India, sul mare, e fino a Tokio saremmo rimasti quasi sempre sull'acqua. Ananas passata e mal di ventre « Da Cocanada a Calcutta la tappa fu buona; ma da Calcutta ad Aldab cominciammo a lottare contro i primi monsoni. A Rangoon troviamo la tempesta. A Rangoon ci dobbiamo fermare tre giorni, perchè, a causa del precedenti difficili dccollages, che causavano eccessivo riscaldamento del mo¬ tore, nella solita verifica che facevo all'ap- i parecchio riscontrai l'allungamento di una valvola e la deformazione del seggio di qualche altra. Per essere piti sicuro nella tappa successiva, dovetti smontare 4 cilindri e ripararli. Cosi perdemmo tre giorni. « Da Rangoon ripartimmo per Pnket; f questa fu uria delle tappe più difficili ed emozionanti. Vento e pioggia, pioggia e vento ; raffiche che ci sforzavano, ci volteggiavano da ogni parte, con ima violenza furiosa. Non ni poteva più andare avanti. Eravamo bàgiiatl fino idle ossa; l'acqua spietatamente ci veniva a percuotere da ogni parte. Avanzava verso di noi un ciclone internalo. Un altro poco, ed eravamo proprio in mezzo: quando vedemmo tra il verde dei boschi brillare un canale. Anche questa volta, la fortuna ci veniva in soccorso. Scorgere il canale, piombarvi addosso fu per il comandante più presto fatto che pensato. Così ci trovammo cullati su quel canale, nel bosco, mentre sopra di noi infuriava il temporale. Il comandante conosce un ricco repertorio di canzonette napoletane: nelle ore critiche si produceva; ed io lo accompagnavo. Erano tre ore che stavamo là, e cominciavavamo ad avere appetito. L'unico cibo che avevamo a bordo era un'ananas, un po' passata; ma la mangiammo lo stesso. Quell'ananas, appena entrata nello stomaco, diventò un veleno; fummo presi da certi dolori che, se ci ripenso, sento venirmeli un'altra volta. « Ripartimmo. Eravamo In aria da soli cinque minuti, ed eccoci in mezzo ad un altro ciclone. Sembrava che una notte buia fosse improvvisamente calata: alla distanza di dieci metri non si vedeva niente; e si correva il rischio di andare a fracassarci contro qualche roccia del monti della penisola Malacca. Il comandante pensò di abbassarsi a una diecina di metri sul mare, e tenersi con un'ala in terra ed un'altra sull'acqua, per non perdere la' costa. In queste condizioni arrivammo a Puket. Sul vulcani della Sonda « Eravamo entrati in una zona terribile. Il caldo era opprimente- La notte non si dormiva, o meglio fummo costrettti a dormire su qualche barca. A Singapore il caldo ed il vento aumentarono. Nemmeno sulla linea dell'Equatore abbiamo sofferto cosi. Singapore è tutta chiusa da una cintura di isole, e ne è come soffocata. Una notte sola ci trattenemmo a Singapore, e poi, via per Batavia. Se ci ripenso, mi convinco che c'era un angelo protettore, che ci salvava dai guai. Per alleggerire l'apparecchio di una ventina di chilogrammi, all'inizio dei raid avevo smontato la messa in marcia automatica, ad aria compressa. Una volta privo di questa marcia automatica, bisogna azionare 11 motore con le eliche: bisogna cioè togliere il contatto, e girare le eliche per due giri completi, per modo che i cilindri abbiano fatto una aspirazione ed una compressione. Ora accadde che, partendo da Batavia, per un improvviso guasto all'interruttore, non appena toccate le eliche il motore si avviò. L'elica cominciò 11 suo moto vorticoso, ed io ero in mezzo ad esse. «La folla che assisteva alla partenza non mi vide più: mi credette polverizzato e scappò via, piena di tenore. Io ero veramente scomparso, gettato in mare. Il Gennariéllo intanto, per forza d'inerzia, continuò a » fiottare ». Io lo raggiunsi a nuoto. Ero in tenuta di volo, con il casco e la combinnlson. Risalito a bordo, mi tolsi In fretta gli abiti e mi cambiai. t Ripartimmo per Surabaya. Da Batavia a Kupang le isolo della Sonda sono tutto un rosario di vulcani in azione. Il forte calore che proviene dal loro crateri provoca una rarefazione, un vuoto d'aria, che rende il volo difficile e periglioso. U comandante dovette lottare anche contro questo inatteso avversario. « A Kupang abbiamo lasciato l'Asia, dirigendoci alla prima tappa australiana, Broome, sorvolando 900 chilometri di Oceano Indiano. Era la prima lunga tappa sull'Oceano. Nella previsione di avere 11 vento contrarlo stimammo non suftìcienta la quantità di olio per il motore. Improvvisai quindi un'alimentazione originale. Servendomi della pompetia per 11 prosciugamento dell'acqua che entra nell'apparecchio, sistemai questo congegno di alimentazione, dimodoché In volo, stando seduto al mio posto, per mezzo di tubi di gomma potevo mandare l'olio nelrferbatoio del motore, spillandolo da una' Fatta che avevo collocato a prua. Il mio sistema infatti riuscì meravigliosamente. Dopo sette ore di volo arrivammo a Broome senza accidenti. Le scarpe In mano e la minaccia della Quarantena « Arrivammo, è vero, senza accidenti; ma l'arrivo % Broome fu originalissimo. Già notammo subito, appena ammarati, elio a ricevei ci non era neanche un cane. Demmo fondo alle àncore; e restammo 11, ad aspet tare che un'anima pietosa venisse a prenderci con qualcho barca. Poco lontano, so pra un battello, stavano due pescatori, che nemmeno ci guardavano. Li • chiamammo, ma non sentivano. Ci affidammo alla Provvidenza. Accendemmo la sigaretta. Il comandante apri il suo repertorio, e cominciammo a cantare. Dopo più di un'ora ave vamo finita la scarsa scorta di sigarette. Quando ecco venire verso di noi un battello a vapore. Veniva a prenderci, bontà sua! CI prese infatti; ma ci lasciò poco dopo in un pantano. Per la bassa marea vi era un abbassamento di circa dieci metri; e l'acqua, ritirandosi, lascia una zona fangosa di oltre 500 metri. Il battello, all'asciutto, non poteva più tornare verso la costa. Allora pren demmo ''eroica decisione di toglierci le scarpe, tirarci su I calzoni... E cosi combinati dovevamo sembrare campioni chissà mai di quale gente I... « Colle scarpe in mano, il comandante, al solito, filosoficamente cantava l'aria di una canzonetta napoletana; ed io dietro di lui. In questa toeletta raggiungemmo il porto, dove* eravamo attesi da una folla di slpnore e di signori. Come al solito, inchini, complimenti, i strette di mano... cioè: mentre noi stendevamo la mano, un'altra mano ci veniva stesa; ma poi veniva ritirata improvvisamente. Cosi tutte le mani avevano avuto un inizio di saluto, senza che il saluto s! completasse. Credemmo a tutta prima fossP una usanza locale; ma poi sorprendemmo che le mani si ritiravano al cenno di un signore, I che .-«ìjjomrno essere l'ufficiale sanitario. Con un atteggiamento tra il cortese ed il sospettoso, questo signore avanzò verso di noi, ma non 1 ropro però; e ci chiese se fossimo amina-atl. Inutili tutte le nostre dichiarazioni. 11 medico si era ostinato a volerci ritenore .immolati, e pretendeva visitarci, e metterci in quarantena. Solo di fronte a certi argomenti, mollo significativi, del comandante. ?i decise a ritenerci in ottima salute, ed a lasciarci andare per i fatti nostri; e... ne avevamo bisogno. I 900 chilometri di volo sull'Oceano Indiano ed 1 500 metri di cammino, a piedi scalzi, ci avevano svegliato l'appetito; e andammo all'albergo a pulirci ed a mangiare. «Per pulirci, ci pulimmo; ma, quanto a mangiare, la cosa fu diversa. Eravamo capitali a Broome di domenica; e in tutta l'Au. strnlia alla domenica non 6i cucina e non si mangia negli alberghi. — Decisamente Broome è un paese inospitale I — gridammo. Andare a 'etto a stomaco vuoto, neanche a pensarci. Andammo in giro. Per nostra fortuna, ci imbattemmo in un missionario italiano: ed io lo ringrazio ancora oggi di quella scatola di carne in conserva e di quel po di pane che riusci a trovarci.- Le trionfali accoglienze di Melbourne « Al mattino del lunedi partimmo subito da Broome per Onslow. Tutte le tappa sulla costa occidentale dell'Australia furono fatte normalmente, senza accidenti e senza dare luogo a particolari degni di menzione. Arrivammo cosi a Porto Eyre. Da Porto Erre, invece che al mattino, 11 comandante era deciso a partire nella notte, -per trovarci dopo Adelaide a Melbourne in tempo per 1 festeggiamenti che 11 nostro console aveva preparato in nostro onore. Dormimmo qualche ora, e poi ci alzammo, per riprendere il volo verso Adelaide. Giunti sulla spiaggia, il Gennariéllo era all'asciutto, ed il mare lontano cirea 12 metri. La bassa marea aveva lasciato in secca l'apparecchio. Con santa pazienza cerchiamo di convincere Gennariéllo ad andare in mare. Il comandante ed io cominciammo a spingere. In nostro aiuto vennero pure due ufficiali inglesi della stazione radiotelegrafica e cinque indigeni. Tre ore lavorammo; ma. dopo tre ore, eravamo tutti stanchi e sudati, come avessimo un acquazzone indosso ; e Gennariéllo era li. immobile come prima. Necessariamente dovevamo rinunziare alla partenza. 11 comandante telegrafò al consolo di Melbourne che avesse avuto pazienza; e tornammo a letto. L'indomani ripartimmo per Adelaide. « Viaggio bellissimo : da Porto Eyre ad Adelaide, 900 Km. compiuti in quattro ore, con vento in poppa, alla velocità di 225 Km. all ora. Ammarammo a Perth, che è il porto di Adelaide, ed avemmo un ricevimento trionfale, che ci fece dimenticare quello di Broome, Ma avevamo fretta di raggiungere Melbourne; e ripartimmo subito alla mattina L'accoglienza che avemmo nella grande ci/tta australiana fu davvero commovente. Ci vedemmo già venire incontro, a volo, una ventina di aeroplani; e scendemmo a Santa Elida, dove ammarammo. Qui il sindaco ci portò il saluto della città, dandoci il benvenuto con una cordialità squisita. Portato il Gennariéllo ncll'idrosi:alo di Point Kook, ci recammo in automobile a Melbourne. 11 ricevimento fu sorprendente. Il comandante ed^io avemmo gli stessi onori che furono tributati al principe di Galles. Il vicere ed il Senato ci Invitarono ad un pranzo ufficiale. E chi ricorda più i ricevimenti e gli inviti, dt ogni speote, ai quali fu impossibile sottrarci, ma per i quali era qualche volta anche impossibile trovare il tempo? il comandante ha raccolto intorno a 6ò simpatie calorosifisime. L'intelligenza e l'audacia sono virtù essenziali por quelle popolazioni. Io sono entusiasta dell'Australia; sono entusiasta per la sua bellezza, per il carattere e I educazione sportiva della popolazione, per la vita che ha un fondo di spensteratezaz e di aulegiria. Per me l'Australia è un po' il paradiso terrestre. Un misterioso accidente « A Melbourne ho smontato completamente il motore e l'apparecchio; ho proceduto alla revisione completa di ogni parte, alternando il lavoro ai ricevimenti e ai divertimenti; e coadiuvato dai soldati australiani, ho messo il Gennariéllo a punto, per la seconda parte del raid. Cinque settimane ci siamo fermati a Melbourne : troppe per la fretta che avevamo, poche per le cortesie che ricevemmo. Ripartimmo da Melbourne in una mattinata di pioggia, ma il viaggio sino a Sidney fu ottimo, con grande soddisfazione mia, che vedevo il mio lavoro riuscito ottimamente. Il motore rispondeva preciso ai comandi. « A Sidney avremmo dovuto fermarci solo tre giorni; ma al momento della partenza, per la prima volta dopo 20 mila chilometri di percorso, il motore, con nostra grande meraviglia, non rispose molto bene. Tornammo all'ormeggio; e dopo un rapido esame notai che c'era un'avaria, dovuta a mancanza di accensione nel primo cilindro. Smontai le candele; e con sorpresa notai nell'interno di esse un pezzetto di ferro, appartenente a una coppiglia. Rimontai le candele e ripartimmo; ma avevamo fatto appena una sessantina di chilometri, quando ecco il motore, e precisamente lo stesso cilindro, mancare a intermittenza di accensione. Inoltre, notai la fuoruscita di olio dal tubo di scarico. Questa volta l'accidente si presentava con più serietà, perchè simile fatto non può dipendere da altro che da rigature profonde del cilindro e da deterioramento della fascia elastica del pistone « Tornammo subito a Sidney, Con grande gioia dei nostri amici, ma con grande contrarietà e rincrescimento nostro. Portato lo apparecchio sulla spiaggia, mi accinsi di nuovo allo smontaggio del motore. Non mi ero infatti sbagliato. 11 cilindro era seria mente rigato, e la fascia elastica rovinata II comandante telegrafò subito a Melbourne per avere alcune casse con pezzi di ricam bio, che avevamo lasciato li: e due giorni dopo infatti, giunsero. Sostituii il cilindro e le altre parti avariate. Il guasto era dovuto al resto della coppiglia, clic non potevo in nessun modo vedere allorchè avevo smontato la prima volta le candele. Questo accidente resta ancora un punto interrogativo, giacchè la coppiglia nella camera ili compressione non esiste por nessuna ragione, né può penetrarvi accidentalmente. « Ultimati i lavori, ci si fece notare che- era in vista la flotta amsrlcana. Sarebbe sembrato un atto di poca deferenza partire il giorno prima del suo arrivo; ed il comandante decise di andarle incontro, insieme con gli apparecchi australiani. A bordo prendemmo anche una giornalista australiana: la portai io sulle ginocchia. La scia, grande ricevimento. Gli ufficiali della Marina americana furono cortesissimi. Con noi si stabili subito una reciproca simpatia. Partecipammo a tutti i ricevimenti in loro onore, durante la permanenza della flotta; e ripartimmo la stessa giornata. Il "Gennariéllo„ tra 1 bragozzi e pan « Dopo l'accidente di Sidney il motore riprese 11 suo funzionamento regolare, ed In brevissimo tempo raggiungemmo Zamboanga, la prima tappa nelle Filippine, dove già sapevamo a quali nuove prove di resistenza doveva essere sottoposto Gennariéllo, ed a quali ardue prove dovevamo prepararci noi. Questa è una zona sconquassata dai tifoni; e noi ci capitammo proprio in mezzo; Da Zamboanga a Cebu il mare era agitatissimo, e il vento forte a prua. Anche qui si rischiava dt restare senza benzina. Circa mezz'ora prima di giungere a Cebu, dando uno sguardo al motore, ci siamo accorti ehe la presa d'aria del carburatore doppio, per effetto della cristallizzazione, si era rotta, e minacciava di andare nell'elica. Prevedendo a quale triste sorte ci avviava tale inconveniente, dovetti lasciare il mio posto, e andarmi a stabilire poco comodamente sotto il castello porta-motore. Con una mano mi reggevo al carrello anteriore, e coll'altra, per oltre mezz'ora, ho dovuto reggere la parte che minacciava di spaccarsi. « L'arrivo a Cebu fu dei più impressionanti. Il mare era mosso, ed il vento fortissimo. Con l'aiuto di un assai minuscolo motoscafo, che per, giunta era guidato da mano poco esperta, e con motore non certo capace per grandi «ralds», raggiungemmo un punto, che ci sembrava adatto per l'ormeggio. Ci ingannammo però; poiché, appena dato fondo alla nostra àncora, nna violenta raffica di vento strappò la corda, ed il Gennariéllo andò alla deriva andando a sbattere contro piroscafi, bragozzi e pali. — Addio Gennariéllo! — dovette pensare il comandante, da bordo del motoscafo. E — Addio Gennariéllo ! — pensavo lo, che vi ero sopra. Fortunatamente accorsero motoscafi un po' grandi, e si riuscì a rimorchiare l'apparecchio in una specie di piccolo bacino. Il Gennariéllo aveva subito avarie non troppo gravi: se l'era cavata con qualche strappo alle ali ed al plani di coda, che potetti riparare io, subito, col miei mezzi. Tra le tempeste Da Cebu a Mandila il. tempo continuò pessimo, e peggiorò ancora a 50 chilometri da Manilla, tanto che il comandante decise di scendere a Sialm, dove dovemmo acquistar benzina, perchè ne avevamo consumata troppa per il contrasto dei venti, e non ne avevamo più a sufficienza per arrivare a Manilla. Quando parve che la furia delle acque fosse diminuita, si decise di andare a cercare un ancoraggio più sicuro. Infatti pernottammo, e poi restammo ben 4 giorni ad Aut.imonan, a pochi chilometri da Manilla, aspettando ehe il tempo permettesse di raggiungere la capitale delle Filippine. Giungemmo a Manilla in condizioni difticilissime, perchè ci dovemmo avventurare sui monti con nuvole molto dense: perciò da una quota molto bassa dovemmo, per prudenza, salire ad una quota altissima, per superare le montagne. Riuscimmo però a individuare il lago di Ball ; e «il qui ci riuscì più facile raggiungere Manilla, dove il benvenuto ci fu dato da un violentissimo tent porale,. che scoppiò proprio quando giungevamo noi, e che ci ridusse come due pulcini. « Profittando del cattivo tempo, e sapendo che avevamo davanti a noi due tappe molto difficili, e cioè quella Mei Canonie di Formosa, e l'altra Sciangai-Kagoshima, decisi di revisionare nuovamente 14 motore. Dopo 15 giòrinl di lavoro, tutto fu pronto, Ripartimmo per Apanri, ultima tappa delle Filippine. Qui una nawe americana ci offrì ospitalità. L'indomani partimmo per Tansui, prima tappa in territòrio giapponese. Viaggio discreto, perchè i temporali incontrati lungo la rotta furono evitali, girando al largo. Da Tansui a Sciangàd viaggio ottimo. A Sciangài fummo ricevuti dalla Colonia italiana, dagli Stati Maggiori e dagli equipaggi della nostra « San Giorgio » o della « Libia ». • La mattina dopo, ripartivamo per Mokpho, in Corea, ctw raggiungemmo senza accidente; mentre Kagoshima, la tappa successiva, nor. fu raggiunta lo stesso giorno, perchè il viaggio fu ostacolato dal vento e da una pioggia fortissima. Sorpresi dalla notte, dovemmo ammarare venti chilometri prima, in posto sicuro. L'indomani fummo accolti con grande entusiasmo dalla popolazione giapponese, ed ammarammo a Kagoshima. Non restavano più che 1100 Km. per arrivare a Tokio. Li percorremmo in un sol giorno, toccando Koshimoto; e nel pomeriggio, alle 15, scendemmo a Kesomigaura, a 70 Km. al nord di Tokio, su di un lago, scalo dell'Aviazione giapponese. Non .potemmo scendere a Tokio, perchè a nessun aviatore straniero è concesso di scendere entro la piazzaforte di Tokio. « Qui ricevimento e trionfo. La popolazione gareggiava in gentilezze, gentilezze di cosi ori ginalo e squisita spontaneità, che ci commos. sarò. Quale sorpresa fu di sentire il nostro idioma nella bocca di moltissimi ufficiali giapponesi. Alla Stazione, poiché giungemmo Tokio in ferrovia, trovammo la nostra Ambasciata al completo. Le giornate di Tokio fu irono splendide. Dimenticammo a Tokio tutte le vicende della traversata delle Filippine. Il vertiginoso ritorno « A Tokio siamo rimasti 21 giorni. Da To kio a Roma, poi, diretti. Non posso riferirvi nulla di emozionante, perchè la distanza e stata divorata Chi ha trionfato veramente In quest'ultima parte, è stala la libra robusta delnnr^inv* .1.. n ~A .... .1... 1.. U.V.;.,,.... comandante, ed anche la mia. Abbiamo vo lato giorno e notte. Ci siamo visti passare mezzo mondo sotto gli occhi con la velocita del fulmino. Non ricordo niente di questo viaggio, perchè non ho avuto tempo di vedere niente. « Quello che è avvenuto a Roma lo avete visto anche voi »,