Dall'altopiano al deserto

Dall'altopiano al deserto Stilla via dell'Imperatore Dall'altopiano al deserto N. B. - Questo inedito racconto di vtag- gio africano <u cui abbiamo publicato lunedi scorso la prima puntata, e di cui diamo qui, oggi, la seconda. Illustra un'Ignota arteria etiopica percorsa da Sirio anni or sono. Da DEBRA B-REHAK (Solo*) Sosta a Debra-Brehan e ricevimento dal vecchio < Bituadet ». Un colloquio « sul generis ». Or ora il ■ Bituadet » mi ha mandato a dire che non è rimasto contento del mio interprete Vorkù. Credo che non abbia torto perchè l'andamento della conversazione fu straordinario davvero. Tentai per cominciare di parlar di politica e della probabilità di conflitti fra il medio Tigre e 1 Vollo-Galla, nonché degli uffici del Bituadet come paciere, ma mi rispose a rovescio. II capo di Debra Brehan avrà almeno ottant'annì. Abita in una misera capanna dal pavimento in terra battuta, coperta di tappeti da pochi talleri e 'circondato da una corte ridotta al minimi termini, segni Indubbi di decadenza di potere. Debbono averlo confinato qui a fare 11 capomastro della chiesa dopo la cattiva prova data come ambasciatore. Insomma, tutta la conversazione di cotesto massimo dell'Impero durata un'ora almeno, si limitò ad una sequela di affermazioni sul valore mangereccio dei miseri viveri per gli ascari che mi aveva mandato nella notte. Ad ogni mia domanda rispondeva con questa cantilena: « II' lascia passare datole ad Addis Abeba non dice che ella abbia diritto ad onori principeschi, cionondimeno siccome lei è certamente un « grande del governo italiano > io le ho dato da mangiare ». Alla fine rimbeccai che se desiderava gli avrei corrisposto in denaro il valore dei viveri offertimi. E allora ammutolì. Gli presentai in dono un piatto d'argento, ma preferì che gli promettessi di fargli mandare dr Addis Abeba un paio di scarpe di cui dovetti prender la misura con uno spago verde uscito dal seno di Vorkù, l'interprete, rassegnandomi a chinarmi e a cingere con le mie mani quel piede podagrosso. improvvisamente il Bituadet dimostrò un grande interesse per un bastoncino di bambù che avevo fra le mani e che mi serviva da scudiscio e lo volle, ricambiandomi la requisizione con cinque • birillé » di tecc di birra di cui bevve un sorso per dimostrarmi che non era avvelenata e che la mia scorta trangugiò sull'istante. Ad un certo punto ti Bituadet pensò di mostrarmi 1 suoi paramenti, vale a dire l'abito di gala, con l'intenzione evidente di confondermi. Si fece portare una cassetta, l'apri con le sue mani e mi mise sotto agli occhi 1 «bituat ». sorta di polsini di ferro dorato e incastonati di pietre che dovrebbero essere preziose. Quindi il copricapo dalla forma di tegame culinario, pure di metallo e pure dorato. E poi la grande stola ricamata di luogotenente Imperlai»*. Rimasero nel tondo della cassetta altri oggetti secondari di abbigliamento, n vecchio mostrandomeli disse: c posseggo altri abiti più belli, ma non li ho qui. Grazie a Dio l'Imperatore è molto generoso con mei... ». Nel pomeriggio andai a visitare l'interno della chiesa. Il Bituadet sorvegliava i lavori. Se ne stava tranquillo' in un angolo seduto su di un piccolo tappeto con un libro di cartapecora aperto dinanzi ed appoggiato ad un leggìo. Ogni tanto alzava gli occhi dai grossi caratteri amaricl manoscritti, per volgerli intorno. Accovacciato presso di lui un ragazzo gli scacciava le mosche, povero vecchio! In quell'atteggiamento mi fece quasi pena poiché mi parve quello classico del grande decaduto etiope. Nell'interno della « Debra » andavano e venivano preti dalle faccie sospette, sacerdoti di quel genere che solo in Ahissinia si vedono e che sembran briganti travestiti. S'aggiravano in gruppi già padroni del luogo, si fermavano dinanzi alle grandi vetrate a colori che gli operai arabi stavano collocando nel muro circolare. Fra quegli operai arabi ne ho trovato uno cordialissimo. Mi raccontò che aveva diretto la costruzione del tetto e intagliato le travi decorando l'intaglio a vivaci colon". Per farmi piacere ha voluto accomodarmi la mia cassetta di cucina Volevo compensarlo generosamente ma rifiutò il denaro affermandomi che mi considerava come fratello in mezzo alla barbarie abissina... Infatti non avrei potuto trovare una persona più bennata e più educata c di sentimenti più gentni di quell'operaio arabo. Veniva da Saana nel Yemen, dove le corporazioni degli artieri del legno sono in flore. Più tardi accadde fra i miei un incidente doloroso. Uno dei muli scappò sferrando un calcio nel ventre ad un ascaro. Le sue condizioni sono gravi. Sono tornato dal BUuadet pregandolo di farlo assistere e lasciandogli il denaro occorrente. Il vecchio capo ha mandato per un medico abissino che abita ad Ankober. Prima di lasciare definitivamente il Bituadet tentai di fotografarlo, ma non ci fu verso, non era in parata, non volle. Come si sa, i grandi abissini considerano l'immagine fotografi*':a come ìm documento storico destinato a passare alla posterità. Di sera mentre stavo impartendo a Vorkù gli ordini per la partenza dell'indomani, mi si è presentato un tale che veniva dal Nord ed aveva fatto la strada percorrendo la cresta dei monti. MI ha detto: — c II ghiaccio copre la cresta dei monti. Più 60tto il fango è così terribile che il mio cavalla è morto affondato nel fango con gli zoocoli imputriditi; il mio cane ha salvato me dalla morte per gelo, durante la notte ». Gli ho domandato la conferma sulle notizie di rigidissime temperature che egli dice di aver trovato. Mi risposo: — « Te lo ripeto, bianco, il ghiaccio copre la cresta dei monti. Quando 11 mio cavallo morì, la notte mi prese sui monti senz'alberi, lontano dai villaggi. Per non morire di freddo, presi il cane, gli chiusi il muso con la mano, lo battei 6ino a fargli perdere il fiato. La bestia si divincolava con vigore, schiumando di rabbia. Lo battei cosi forte che credetti di averlo ucciso, ma dopo una sosta ricominciò furibondo la lotta rer liberarsi. Infine si acquetò e si lasciò legare contro di me. il 6uo calare mi ha salvato ». Date queste notizie ho deciso di abbandonare definitivamente la strada della cresta dei monti, che mi avrebbe fatto arrivare a Dessiè più rapidamente. *% Riprendiamo la' marcia attraverso questo scialbo orizzonte di monti, cioè di colossali onde rapprese sormontate da vOlaggettt. La popolazioni galla sono finite. Avanziamo ora in mezzo a genti cristiane. La mia piccola carovana è molto indisciplinata. Si vede su¬ bito che è gente racimolata nella capitale. Avviene della mia gente quello che accade in grande negli eserciti abissini, ammalati di cronico istinto di sbandamento. In fondo questi uomini mi seguono con l'unica speranza di potere fare una buona speculazione commerciale. Ciascuno di essi è possessore di un piccolo carico di stringhe, di aghi, di refe, di nastri, comperati ad Addis Abeba e che conta di rivendere dieci volte di più del loro prezzo lungo la strada. Cosicché i miei muletti sono caricati di un peso doppio di quello che avevo preveduto, perchè oltre i miei bagagli portano anche la mercanzia dei miei ascari-commercianti. Se non fosse per la certezza di dover rimaner solo con I muli o tuffai "iù con Vorkii, che forse non mi abbandonerebbe e con il mio piccolo servo Mesfum che mi son portato dalla lontanissima Asmara e che mi è affézionato come un figlio, avrei già liberato le povere bestie da quel carico eccessivo. Sono già tutte fiaccate dall'eccessive some. Dubito che mi moriranno per la strada. Per trentasette talleri ho aumentato il numero dei quadrupedi di un muletto che ha un magnifico passo e che è robustissimo. L'ho elevato alla dignità di mia cavalcatura personale. Vorkù mi assicura che il nuovo mulo « stare forte come ferrovia », e cosi si va avanti. Ho pure ingaggiato altri uomini. In complesso partendo da Debra-Brehan la carovana è composta di me, undici ascari, nove conducenti, quindici muli, dieci fucili, quattro rivoltelle e per essere precisi, due spade ed una lancia. Cingono la spada Vorkù e Anton, che fa da capo carovana. La lancia la porta Mesfum, perchè c'è attaccata la bandierina tricolore venuta dall'Eritrea e che ha percorso con me in lungo e in largo lo sterminato Impero d'Etiopia. Ad una giornata da Debra-Brehan, accamoandocf nel fondo di un vallone, presso un torrente risonante, constato che il paesaggio è molto cangiato. Slamo saliti e -"«cesi, abbiamo attraversato profondi valloni solcati da impetuosi torrenti, mettendo una specie di parentesi alle immense alte pianure. I vaiIoni 6ono grandi fenditure operate dall'acqua corrente nei colossali cubi geometrici dì queste montagne senza creste. Ma le tende sono state rizzate, anche questa volta, sotto la pioggia Gli ascari dicono sarà l'ultima che ci infradicierà, poiché mano mano che ci avviciniamo al ciglio dell'altopiano, usciamo dalla zona delle pioggie equinoziali limitate precisamente all'altopiano. Al passaggio di uno dei torrenti, i muli quasi scomparivano nell'acqua tanto essa era ajta. Facile immaginare come ci riduciamo noi ed i nostri carichi Alla tappa è venuto a trovarmi un originale capo della regione tutto affabilità e desideroso di confidenze. Era persuaso e convìnto eli'lo va>lo il DessUi come medico del governo etiopico. Mi ha confermato che di europei da queste parti non se ne vedono mai. Ed ha voluto assolutamente scambiare il suo cacciamosene con il mio, persuaso di fare un buon affare. Ma ha avuto torto, poiché il mio era srato preso al mercato mentre il 6uo ha il manico, che è un bel campione di lavoro indigeno. L'altopiano prima di lasciarci giungere al suo termine si eleva sempre più alto. Il barometro mi suggerisce che abbiamo oltrepassato in parecciii punti i tremila metri di altezza Le conche sono del colore dello smeraldo, ma nei villaggi non si trova nulla. Le truppe impeciali, passate prima di noi. li hanno razziati completamente di tutte le loro risorse. Per fortuna l'erba è più alta e lasciando al pascolo i muletti riescono a satollarsi. In quanto a noi ci sfamiamo con grasse anatre che cacciamo lungo i torrenti. Dopo il capo è venuta all'accampamento una povera vecchietta che reggeva, ribadita al collo del piede una pesantissima catena da prigioniero lunga un paio di metri. Per poterla trascinare se l'era avvolta attorno ai fianchi. Mi ha raccontato che la catena le è stata imposta da un creditore di cui essa è diventata, se non la schiava, una specie di proprietà sino al giorno in cui, lavorando la terra, avrà pagato il suo debito. Ho interpellato il capo sull'ammontare di questo debito che si rlduceva a pochi talleri e sono partito con il piacere di vedere la vecchietla liberata dalla catena. Quando mi son mosso dall'accampamento, e6sa baciava, secondo la consuetudine, la terra dove avevo messo il piede... Siamo passati in un altro mondo ! Addio geli, pianure senza fine, monotonie mortali dell'altopiano I Siamo tornati in Africa, se Dio vuole ! Che sera incantevole I I merli metallici, gli usignoli dell'Africa, cantano con quel- loro singolare gorgheggio che pare ottenuto da strumenti ferrigni. La luna splende in un tepore di atmosfera blando e profumato, e dovunque, sui fianchi dei contrafforti che declinano verso il fiume Robl. la mimosa disten, do miriadi di ombrellifere cariche di gaggie. La Robl è un affluente dell'Hauasch. Siamo sensi dall'altopiano. In basso, di almeno mille e cinquecento metri ed abbiamo finalmente preso la direzione del nord. Oltre le gaggie, anche i gelsomini profumano, che sono tutti in flore anch'essi. L'Africa infine ci viene incontro spingendosi sino su queste alture, senza tuttavia poter giungere alla corrucciata corona di nubi ammassata contro II ciglio dell'altopiano. Ouella odierna è stata una marcia lunghissima. Siamo andati a piantar le tende su di un ameno poggio, che già la notte incombeva Luogo infestato da leopardi e popolato di galline faraone. Dei orimi abbia, mo scoperto abbondanti traccie. f.e seconde se ne stanno quetamente sugli alberi, indifferenti alle nostre grida e persino alle sassate I Eravamo partiti alle nove del mattino. Dopo un'ora eccoci sul sospirato ciglione dell'altopiano. Di là lo spettacolo e semplicemente meraviglioso. E questa impressione di meraviglia deriva soprattutto dalla sorpresa, dal fatto subitaneo, inaspettato, di trovarsi d'Improvviso sull'orlo di un'immane muraglia che precipita giù a picco per duemila e piii metri, dai geli delle alte regioni nelle arsure del deserto. E 11 deserto, l'immenso deserto dancalo, lo si vedeva prossimo quasi immediato, che spandeva nel cielo il riflesso del suo candore. I contrafforti cadevano rapidi, brevi, coperti di colture di alberi, sino ad una linea apnena rivelata da rrtialcht luceicchio di acque: l'Hauaecha. il maggior fiume d'Etiopia.