Dov'è finita la gran guerra d'Europa

Dov'è finita la gran guerra d'EuropaDov'è finita la gran guerra d'Europa Il generale Snrrail che tenne per qualche tempo i! comando degli eserciti dell'Intesa a Salonicco, scrisse, nella prefazione del suo libro Mah commandcmenl cn Orient, che fino dal 191G egli ebbe occasione di avvertire il suo governo della possibilità di produrre una « slogatura » decisiva sul fronte avversario nei Balcani, giacchè il generale francese fu sempre convinto che « l'offensiva, in tutta la sua «forza, era attuabile unicamente sul fron« te balcanico ». Risulta che anche il generale Cadorna aveva la stossa convinzione, ma che il suo piano di spedizione' balcanica non potè essere attuato per la decisa opposizione del ministro on. Sidney Sonnino. 11 fatto che la Bulgaria fu il primo degli Stati avversari soggiogati nella gran guerra, il primo che piegò davanti all'armi coalizzate dell'Intesa e che consenti a firmare un armistizio equivalente ad una rèsa a discrezione, potrebbe pcirere una conforma postrema del giudizio del generale Sarrail, condiviso dal generale italiano. Ma noi restiamo fermi a credere che la verità non coincida con queste deduzioni e con, questo presunzioni; e che là decisione della guerra non potesse avvenire, dopo l'insuccesso della spedizione dei Dardanelli, altro che sui due fronti principali, sul Piave e sulla Marna. In realtà, malgrado ogni contraria apparenza, questo appunto si è verificato, durante il corso del vasto conflitto. Fino al settembre del 1918 gli eserciti alleati, schierati sul fronto macedone, non avevano potuto far sentire, in modo decisivo, il peso della loro forza, contro la resistenza degli eserciti austro-bulgaro-tedoschi. Nemmeno il concorso dell'esercito greco, tardivo e limitato concorso, consenti alle armi dell'Intesa di rompere il fronte avversario. Per conseguire questo risultato sarebbe stato necessario che grandi forzo fossero concentrate a Salonicco dai governi alleati: e; senza contare la difficoltà di tanto ingenti trasporti marittimi, è da pensare che i preparativi eccezionali non sarebbero sfuggiti agli osservatori nemici e che, rapidamente, anche da parte avversaria, si sarebbero eseguiti i contro-preparativi adeguati, cosi da limitare i risultati d'un'offensiva in grande stile. Finché la Bulgaria poteva ricevere rinforzi di uomini e di armi dai suoi grandi alleati settentrionali, è facile la deduzione che un attacco, anche di vaste proporzioni ed esteso a tutta la linea del fronte, non avrebbe potuto dar risultati superiori e diversi da quelli che era in grado di dare sugli altri campi di battaglia, in Francia, in Italia, in Belgio : al più, l'arretramento di qualche trincea e la conquista di qualche smantellata città. Finché le sorti della guerra apparivano favorevoli agl'Imperi Centrali e destinati ad- infrangersi contro la sai-, dezza delle linee tedesche gli attacchi delle armi dell'Intesa, è da ritenere che anche l'esercito bulgaro si sarebbe battuto col consueto valore. Finché l'Austria-Ungheria e la Germania fossero state in grado di distaccare forze sufficienti1 per consolidare e conservare il fronte balcanico, era previsione arrischiata quella d'intravvedere un rovesciamento delle posizioni tenute dai duo gruppi avversari nei Balcani, dato anche il grande interesse politico e militare che doveva consigliare 1 due- governi imperiali a non risparmiar fòrze per mantenere saldamente il piede nella Penisola e per conservare libere le preziose comunicazioni tra l'Europa nord-occidentale e quella sud-orientale. La battaglia risolutiva, la slogatura decisiva, non poteva dunque mettersi tra gli eventi probabili del fronte macedone, senza il concorso d'altri fattori e d'altri rivolgimenti sugli altri schieramenti degli eserciti in lotta. Il fatto militare decisivo nella Penisola potè infatti verificarsi dopo il 15 settembre del 1918: ma prima di questa data la guerra era stata vinta dall'Intesa, sulla Germania e sull'Austria-Ungheria, lungo la Marna e lungo il Piave. Apriamo i Ricordi di guerra del generalo Ludendorff e leggiamo il capitolo « La lotta finale dell'estate e dell'autunno i'J18 »." 11 generale tedesco riconosce, senza circonlocuzioni, che «T8 agosto segna la giornata nera dell'e « sercito tedesco nella storia di questa « guerra » ; e, più avanti, riferisce -che «l'Imperatore, dopo il fallimento dell'offe fensiva di luglio e dell'8 agosto, si era « convinto che là guerra non si poteva più « vincere ». La guerra era stata dunque perduta dai tedeschi, anche nel giudizio dei capi supremi della nazione germanica, tra il luglio e l'agosto di quell'anno decisivo. Ma il fatto della sconfìtta non era rimasto ignorato dagli alleati della Germania. Ptacconta il generale tedesco : «Il bollettino dell'esercito della cera de.l« l'8 agosto diceva brevemente che il nemico « era riuscito a penetrare per una lai' « breccia nel nostro fronte, u sud della « Somme. 11 mattino seguente mi chiamò il «generale von Gramoli da Buden: mi parte« cipò che il mio comunicato aveva cagio« nato la più grande inquietudine a Vienna. « Non potei lasciargli alcun dubbio sulla se« rietà della miu opinione. Malgrado ciò mi « pregò di- considerare quanto danno poteva | « arrecare la dichiarazione esplicita di uni « insuccesso sull'animo dei nostri alleati i « cpiiiìi vedevano il loro appoggio solo nella « Germania. E questo si ripetè anche il 2 « settembre. L'impressione della sconfitta al « fronte occidentale ebbe una gravo riper« cussione sull'animo dei nostri alleati » (rag. 205, dell'edizione italiana, Milano, Tre. ves, 1922),. In Bulgaria, ancora al principio dell'estate, il gabinetto Radoslavoff fu sostituito dal gabinetto Malinoff. Al mutamento non fu estraneo il risentimento suscitato in Bulgaria dal trattato di pace di Bukarest (7 maggio 1918), in base al quale la Dobrugia settentrionale, anziché essere ceduta alla Bulgaria, veniva data in condominio alla Quadruplice alleanza; e l'eventuale definitivo trasferintonto della Dobrugia alla Bulgaria era stato messo in istretto rapporto- con la richiesta avanzata dalla Turchia, durante la discussione della pace separata con la Romania, richiesta diretta ad ottenere la retrocessione di quell'area tracica sulla destra della Maritza (circa 2100 Km. quadrati), che la Turchia medesima aveva ceduto alla Bulgaria nel settembre del 1915. Me fu estraneo il senso di slanceiezza assai diffuso dovunque, e il dubbio che la guerra non potesse essere vinta dalie anni soltanto, ina fosse necessario preparare la pace con la diplomazia. Anche il ministro tedesco degli esteri Von Kùlmann aveva accennato all'impossibilità di decidere la guerra sul campo di battaglia, ed egli, per questo, aveva dovuto abbandonare il suo alto ufficio. In Bulgaria, al contrario, la tendenza ad una pace sollecita, conseguita mediante trattative e rinunzie parziali, se pur limitate, non trovava avverso il paese; e il ministero Malinoff fu additato come il gabinetto che avrebbe aperta la via. ad una pace non lontana. . i«'Non era un mistero per alcuno — assi'«cura il generale Ludendort'f — che la Bulga- egvpdtmtsmprsntlfasrradpvpnldvdGtalmlndcpsal«trsfisepmdatvg«ssgPascdgcssvlaec | i t a a a a l o l e . n o a , o e n a- « ria mirava alla pace. Era anche sorpren* dente che il plenipotenziario militare bultt garo si facesse vedere rarissimamente «presso il Grande Quartiere Generalo». Evidentemente in Bulgaria la situazione era influenzata dalle vicende militari della guerra, che ormai volgevano poco favorevoli all'Alleanza degli Stati Centrali. Il paese era entrato in guerra, nel settembre del 1915, in mezzo a vivaci' contrasti interni, come in tutti i paesi dove il dilemma: continuazione dello stato di neutralità o partecipazione alla guerra, e, in questo caso, con quali alleati e in quale momento? aveva diviso gli animi e acceso le più opposte passioni. Quelle divergenze riapparivano alla superficie, nell'ora della stanchezza, delle difficoltà, della delusione: e influivano sull'indirizzo della politica interna ed estera e sulla saldezza dello spirito pubblico. Pur tuttavia, finché la forza della Germania era intatta, o tale appariva, tutti gli alleati dell'Impero tedesco sentivano come sarebbe stato contrario ai loro particolari interessi di ritrarsi repentinamente dalla guerra: ma quando anche la forza tedesca, dopo gli insuccessi del luglio e il rovescio dell'8 agosto, apparve prostrata, ciascuno fu indotto a rivedere la propria particolare politica e a preoccuparsi soltanto dei propri interessi nazionali. Si può intuire d'altra parte quale ripercussione abbia avuto nello spirito di resistenza dei popoli e degli eserciti la visione di una imminente sconfitta, quando anche la Germania, la potente ferrata Gerjnania, nella quale tutti vedevano l'ultimo appoggio, fu vista piegare davanti ad una forza superiore e irrefrenabile: fu lo smarrimento, il collasso, la fine, in Germania e fuori di Germania. Quando il 15 settembre gli eserciti dell'Intesa attaccarono e vinsero in Macedonia, questo processo d'intima dissoluzione della forza avversaria era in gran parte compiuto. Narra il Ludendorff che le truppe bulgare non opposero resistenza e che soltanto in tal modo fu possibile la celere avanzata dei soldati serbi e greci, in quella regione selvaggia e cavernosa. « Soltanto quei bulgari che si trovavano « irnrnediatamentte sotto il comando tedesco, « tra il lago di Pressla e la Cerna, mostrat rono una migliore consistenza •. Secondo quanto riferisce lo stesso generale tedesco correva voce in Sofia che l'esercito bulgaro avrebbe combattuto' solo fino al 15 settembre e queste voci, in questo giorno, « trovarono una straordinaria e dolorosa conferma ». La Germania non poteva più ormai, dopo il confessato fallimento del suo piano, di battere in modo decisivo gli anglo-francesi prima che gli americani arrivassero sul fronte occidentale, — non poteva più ormai dislocar nuove forze sul fronte macedone. Osserva il generale Ludendorff: « Che noi fossimo battuti in Macedonia od « in Occidente èra infine perfettamente lo « stesso e non avevamo forze sufficienti per « resistere sul fronte occidentale e formarne « uno tedesco nei ììalcani al posto di quello « bulgaro: questo sarebbe avvenuto so noi « ci fossimo voluti assicurare colà della re« sistenza • (pag. 228). Quando il 15 settembre il fronte avversario-macèdone crollò, la guerra era già stata vinta dai francesi, dagli inglesi, dagli italiani, dai belgi, dagli americani, sul Piave e? sulla Marna. Tutto questo non esclude che il successo alleato del 15 settembre, qualunque ne fosse l'origine, abbia avuto favorevoli ripercussioni sullo sviluppo della crisi finale della guerra. Il generale Ludendorff esagerò senza dubbio, quando, dopo aver accennato alla giornata nera dell'8 agosto, scrisse : « Una giornata ancora più brutta Ja vissi « solo durante gli avvenimenti che dal 15 « settembre in poi si svolsero, sul fronte bul« garo e decisero della sorte della Quadruplice » (pag. 201). Non può essere messo in dubbio che la sorte della Quadruplice, dopo i decisivi rovesci sofferti dai due eserciti imperiali alleati, nel giugno sul Piave, tra luglio e agosto sulla Marna, e dopo l'arrivo in Europa di parecchie centinaia di migliaia di soldati americani, era stata decisa prima ed altrove che non sui campi macedoni : come il racconto precedente e susseguente dolio stesso generale tedesco chiarisce, senza sottintesi e sènza reticenze. Ma la resa dell'esercito bulgaro e il successivo armistizio di Salonicco, ebbero la virtù di affrettare quella crisi, che ormai era in pieno svolgimento, che si sarebbe in ogni modo manifestata, e a non lunga scadenza. Il colonnello Repington riferisce che nell'aprile dal 1916, Aristide- Briand, il più fervido propugnatore della spedizione di Salonicco, esaltava con lui i risultati fino allora conseguiti dagli Alleati con l'invio delle truppe -nella città macedone. « Noi abbiamo — assicurava il ministro francese — salvato l'esercito 6erbo, irnpedi« to la Germania di stabilire il suo dominio « su tutto l'Oriente, trattenuto la Romania « e messa la Grecia nell'impossibilità di u« nirsi ai tedeschi'». A cui il colonnello-giornalista britannico rispose che se egli si era mostrato avverso alla spedizione di Salonicco nell'ottobre del 1915, la sua opposizione era do vuta a ciò che orami era troppo tardi per salvare la Serbia; che quanto poi fu fatto per salvare i resti dell'esercito serbo non poteva essere menomamente attribuito all'attivo della spedizione macedone,, ma piuttosto ai soccorsi prestati a quell'esercito nell'Adriatico, e alla felice iniziativa di adottare Corfù come luogo di riposo e come base di raccolta delle truppe serbe tdctemqdtcvdssscdrctFctvrcshnPicragtlnpvdstavcmrcnstlpdg■ps.lmbrnsalvate. Infine il colonnello inglese disse 'che egli non faceva una questione di principio della sua opposizione: egli « deplorava soltanto che un quarto. di mi« lione dei migliori contingenti alleati fos« sero tenuti lontani dal fronte francese, a quando la loro presenza su questo fronte « avrebbe forse permesso agli alleati, un « giorno o l'altro, di guadagnare una bat« taglia decisiva •. E anche il Briand, durante questa conversazione, finì per ammettere che dalla base di Salonicco non avrebbe potuto partire una vera offensiva militare. (Col. Repington: La premitre guerre mondiale — Payot, Paris, 1922). Gli avvenimenti posteriori della guerra hanno potuto infatti mostrare che dalla base militare di Salonicco l'offensiva potè essere lanciata quando la vitalità combattiva dei due massimi avversari era grave mente compromessa e menomata. Prima d'allora l'offensiva non potè essere intrapresa, e la pressione esercitata dagli Alleati sul fronte balcanico non potè, in nessun momento, assumere valore decisivo. Anche per gli Alleati valeva infine lu stessa logica del generale Ludendorff. Questi riconobbe che i tedeschi, dopo i recenti insuccessi, non avevano sufficienti forze con cui resistere sul fronte occidentale e creare un fronte prevalentemente tedesco anche nel Balcani. Alla stessa guisa gli Alleati non potevano, prima ■ dei recenti successi, respingere gli eserciti nemici dalla Francia e dall'Italia, e nello stesso tempo vincerli in Macedonia. Le vittorie degli Alleati lungo il Piave e sulla Marna capovolsero la situazione antecedente: dettero agli Alleati la possibiliià di attaccare e vincere in Macedonia; tolsero alla Germania e all'Austria la possibilità di fare quel che avrebbero fatto, prima di quelle decisive vittorie, ottenute stigli altri fronti dagli Alleati. Insomma la slogatura decisiva non si verificò in Macedonia. La vittoria macedone non può in nessun modo essere considerata alla stregua d'un successo militare di valore risolutivo: essa potè consacrare, ed accentuare, uno stato di fatto assolutamente sfavorevole, che la Quadruplice non era più in grado di tener nascosto al mondo dei belligeranti. Non fu la vittoria, bensì la solenne confessione dell'impotenza e della sconfìtta nemica, ormai irreparabilmente subita. CESARE SPELLANZON.

Persone citate: Briand, Cadorna, Ludendorff, Sidney Sonnino, Von Kùlmann