L'Europa e le colonie

L'Europa e le colonie L'Europa e le colonie Che la guerra — si tratta veramente di guerra, e non di semplice guerriglia — fra AM-el-Krim e la Francia (o, se vogliamo essere giuridicamente esatti, il sultano del Marocco) abbia un interesse più-largo che non quello dei contendenti diretti, è sensazione largamente diffusa; ed è, anche, sensazione rispondente a realtà. Non si tratta solo della Spagna, contendente diretta anch'essa, sebbene da più mesi, per il ritiro alla costa compiuto dal dittatore De Rivera, assente di fatto; nè solo dell'Inghilterra, interessata in prima linea alla pace marocchina e alla sicurezza di Tangeri. Abd-el-Krim non è semplicemente un capo marocchino: è, altresì, un capo musulmano. Le sue imprese interessano, quindi, pef lo meno tutta l'Africa del Nord, dall'Atlantico al confine orientale della Cirenaica. Certo, si sono fatte, sovente, esagerazioni circa l'intimità del rapporti e la profondità delle ripercussioni fra le varie parti del mondo musulmano; e nel pericolo panislamico c'A la sua dose di fantasia. Ma sarebbe irragionevole e pericoloso ottimismo correre all'eccesso opposto, e negare ogni solidarietà ed ogni influenza fra le varie regioni e i diversi popoli musulmani. Quando poi al tratta dell'Africa del Nord, la contiguità geografica, a non dir altro, impone la realtà e l'attualità del problema. Ma non è soltanto nell'Africa del Nord e nel mondo musulmano che si rinvengono focolai di agitazione e di ribellione contro la supremazia europea. L'Inghilterra ha le sue difficoltà in India (nel cuore, cioè, del suo impero mondiale), dove le riforme Montagu, primo avviamento alla partecipazione indigena al governo, mentre non hanno accontentato i partigiani dello « svarag » — cioè della vera e propria autonomia indiana — non sono riuscite neppure a entrar completamente in funzione, appunto per il boicottaggio esercitato contro di esse dagli estremisti. Il ministro per l'India nell'attuale gabinetto conservatore, Lord Birkenhead, ha esposto pochi giorni fa, alla Camera dei Lords, le difficoltà della situazione. Più ad Oriente ancora, è la Cina che fa parlare di sè ; i grandi scioperi., di operai cinesi impiegati in aziende europee hanno dato luogo a conflitti sanguinosi e a un rifiorire di sciovinismo antieuropeo (più particolarmente antinglese), così da creare una situazione non mancante di qualche analogia con quella del 1900, al tempo dei boxers. Inghilterra, Giappone, Stati Uniti si mostrano seriamente preoccupati e cercano di provvedere di comune accordo. V'è, fra questi tre movimenti — musulmano, indiana, cinese — una connessione specifica, oltre quella generica, data dalla loro contemporaneità e dal loro comune carattere nazionalistico? Un nome viene subito alle labbra, in risposta; la Russia dei Soviet, a, se pince meglio, la Terza Internazionale. E che questa segua da vicino tutti tre i movimenti, non fa l'ombra di dubbio: non sono unicamente i governi e la stampa dei paesi colonizzatori Interessati — Francia, Inghilterra — a denunciare una simile ingerenza; ma è la stessa Terza Internazionale a manifestare apertamente la parte ch'essa prende ai mo vimenti d'indipendenza e di ribellione dei popoli d'Asia e d'Africa contro i dominatori europei, e ad enunciare esplicitamente il programma di servirsi dei movimenti stessi per scuotere la società capitalistica mondiale. Il governo dei Soviet mantiene formalmente la sua distinzione dalla Terza Internazionale; ma pur tuttavia dà alle sue relazioni di amicizia colla Cina una ostentata importanza. E proprio ora sentiamo il governo inglese lamentarsi apertamente dell'opera ostile di sobillazione compiuta dai Soviet in Asia contro di lui; tanto che le relazioni diplomatiche anglorusse, ristabilite pienamente sotto MacDonald, presentano qualche seria minaccia di rottura. A Mosca, anzi, si è accusata ripetutamente, in questi mesi, l'Inghilterra di lavorare ad una specie di lega o crociata europea contro i Soviet. Ma noi non crediamo che a Londra si pensi seriamente a nulla di simile, come certo non vi pensa l'attuale governo francese, nonostante gli incitamenti di qualche giornale, mosso più da ragioni di politica interna, che di politica estera e coloniale. Non già che debba, senz'altro, negarsi ogni pericolo sovietista e comunista per la colonizzazione europea, anzi per gli stessi stati dell'Europa occidentale e per la loro civiltà. Per conto nostro, noi non siamo certamente fra gli ammiratori dei metodi e dello spirito di governo imperanti a Mosca, e disapproviamo qualunque loro apologia od imitazione. Ma non bisogna confondere — ecco, per noi, il punto — l'effetto colla causa; e, per rimanere sul terreno della politica coloniale, in tanto l'opera di propaganda e di sobillazione dei Soviet e della Terza Internazionale può riuscire effettivamente pericolosa ai governi ed ai popoli europei in quanto trovi U terreno preparato da un risveglio j.-azionalisia già esistente fra i popoli asiatici ed africani, e dagli errori politici commessi dagli europei medesimi. Quel risveglio nazionalista in parte è un prodotto naturale dello sviluppo di quei popoli e dei {contatti stabilitisi fra essi e la civiltà europea, attraverso la stessa,opera di colonizzazione : e per questa parte meglio sarebbe «dire, anziché « nazionalista », semplicemente « nazionale ». Tn realtà, ogni vera e grande opera di colonizzazione proprio a jquesto approda — più presto o più tardi, più o meno direttamente — come risultato ultimo: a creare nuovi popoli e nuove cofecienze nazionali. « Nessun paese — scriveva qualche giorno fa il Manchester Guardian, precisamente a proposito dell'India •— può essere governato con sicurezza da ftltri che dal suo proprio popolo, Il nostro )»«epo deve essere di scoprire o di educare > possibile in India forze capaci di darle un governo civile e stabile ». Parole che riusciranno incomprensibili e saranno derise presso i nazionalisti del continente europeo; e che invece contengono l'abbici della colonizzazione e dell'espansione storicamente efficiente ed autenticamente imperiale, come basta a dimostrarlo un confronto fra la politica inglese del Settecento agli Stati Uniti, dell'Otto e Novecento al Canada, in Australia e nel Sud Africa e fra i rispettivi risultati. (Anche i colonizzatori e gli imperialisti hanno qualche cosa da imparare dal detto di Gesù: « Chi perde l'anima sua la salverà »). Ma accanto alla formazione fisiologica della coscienza nazionale, vi sono, certo, i moti affrettati e gli sviluppi inorganici, nocivi alle stesse nuove nazionalità: vi è, insomma, il nazionalismo patologico. Ma da chi, se non dai popoli europei, l'hanno appreso Africani ed Asiatici, condotti per più anni a combattere in Europa contro europei, in una guerra nazionalisticamente dilaniante la civiltà europea? Reale, dunque, e grave il pericolo per l'Europa di una ribellione e di un sovver¬ timento del mondo coloniale; giusta e necessaria un'opera di solidale difesa. Ma questa deve cominciare dal « Medice, cura te ipsum ». Pacifichino e superino, i popoli europei, le loro competizioni intestine; e per avere il diritto di parlare e la capacità di agire in nome ed a prò' della civiltà europea, dimostrino che questa rappresenta davvero, per essi, una solidale unità. II nazionalismo, che ha trascinato asiatici ed africani in Europa a combattere, far prigionieri, uccidere e tiranneggiare europei, non può, anche in futuro, se non fiaccare e annullare quelle unità, a tutto vantaggio delle distruttrici rivolte antieuropee. Superando lo spirito nazionalista nei loro rapporti interni, occorre che i popoli europei lo superino anche nei rispetti degli asiatici e degli africani, prendendo a norma il detto manzoniano e cristiano : non ci esser giusta superiorità di uomo sugli uomini (e di popolo sui popoli) se non in loro servizio. E nè l'uno nè l'altro superamento sarà possibile ove prima ciascun popolo conduttore non si regga a libera ed umana democrazia.

Persone citate: Asiatici, De Rivera, Macdonald, Reale