Due tempi

Due tempi Due tempi Quanto è stato scritto dagli organi di I alcuni partiti aventiniani a commento del j nostro articolo « Accordo da perfeziona■ re », ci prova ancora una volta la necessità di esaminare la situazione e chiarire le idee entro l'ambito dell'opposizione al fascismo. Appixnto perchè noi crediamo fermamente al successo Anale della prima — più o meno sollecito, non importa moltoper chi, come noi, non ha nè impazienze ambiziose nè scoraggiamenti di stanchezza — appunto per questo riteniamo compito essenziale degli oppositori Ja discussione e la critica interna, condotta sempre con garbo, misura e lealtà; più essenziale, m un certo senso, della stessa polemica col fascismo, anche se questa fosse praticabile su ben piti larga scala di quanto è al presente. Proprio perchè all'opposizione è diserbato indùbbiamente l'avvenire, occorre che essa stùdi fino da adesso per prevederlo e prepararlo nei limiti del possibile. A chi aveva creduto di trovare, nella nostra proposta di un accordo più saldo e più fattivo tra i partiti di opposizione liberale, l'intenzione del loro assorbimento in un solo partito, o almeno del predominio di uno di essi, rispondemmo già breve mente, ma più che esaurientemente, poiché in verità il nostro primo articolo conteneva, con perfetta chiarezza, la confutazione anticipata di una simile interpretazione. Più sottile critica ci è stata mossa da parte di altri, secondo i quali la coalizione da noi sostenuta avrebbe base, carattere, scopo puramente conservatori. Anche questa critica è completamente errata; ma essa ci offre il destro a chiarimenti e sviluppi di qualche importanza. Prescinderef mo in essi completamente dal considerare l'interesse particolare — perfettamente naturale, del resto — che ha mosso quei giornali a presentare una volta.«di pili i loro partiti come gli unici capaci di provocare, un rinnovamento della vita politica italiana (senza spiegare in quale rapporto reciproco verrebbero poi a trovarsi questi partiti, unici rinnovatori). Uno di questi giornali ha voluto designare la coalizione da noi propugnata come « soluzione di centro ». La terminologia è libera, naturalmente: sarebbe tuttavia desiderabile evitare, in essa, gli equivoci, per quanto è possibile. Come soluzione di centro è stata indicata, nell'estateautunno scorsi, quella presupponente un disgregamento interno nella maggioranza parlamentare del 6 aprile, grazie al quale essa maggioranza — sia pure goll'appoggio o la tolleranza di elementi già all'opposizione — avrebbe espresso dal suo seno, o comunque avrebbe provocato o sostenuto, la formazione di un rfùóvó Governo di conciliazione, transazione e « normalizzazione ». Era 1 ipotesi — sarà bene ricordarlo — presupposta dallo stesso Aventino, nelle sue dichiarazioni ripetute di non aspirare alla successione e eli lasciare alla maggioranza il compito di una soluzione immediata. Questa « soluzione di centro » trovò il suo fallimento definitivo .fra il dicembre e il gennaio scorso; e proprio questo giornale, criticando la nota manifestazione dell'on. Bonomi, ebbe occasione di constatare e dichiarare in modo esplicito il fallimento stesso. L'accordo saldo e fattivo da noi propugnato nell'articolo del l.o luglio era invece fra « quanti accettano i principi politici fondamentali di libertà e di demoerazia, e da essi traggono la conseguenza pratica di una intransigente opposizione ». Dunque, niente soluzione « centrista », nel senso dato finora a questa parola. Ma a quei nostri critici piace evidentemente di usaae il termine per indicare una soluzione non implicante certe trasformazioni radicali contenute nel loro programma. Una tale soluzione sarebbe appunto per essi « una pacifica soluzione di centro sotto l'egida della santissima trinità costituzionale Giolitti-Orlando-Salandra »; sarebbe un puro e semplice ritorno « al 1818 o al 1922 ». La differenza fra le due date, dice il critico che testualmente citiamo, per lui npn ha alcuna importanza. A noi pare che basti quest'ultima affermazione per mostrare in quale sfera di astrattismo dogmatico i nostri critici si muovano. Dire che fra il 1848 e il 1922 non esiste alcuna differenza significa negare, qualsiasi importanza all'affermazione continua e progressiva dell'autorità del Parlamento e della funzione direttiva dei partiti, alla libertà e allo sviluppo debe organizzazioni operaie, all'allargamento del suffragio e allo stesso suffragio universale. Ma c'è (ii più. Chi parla di «ritorno al 1022», o addirittura «al ISIS », manca — sia lecito il rilevarlo — di senso della realtà politica e storica in misura alquanto eccessivu. Simili ritorni non esistono, non sono mai esistiti. Credere che « la riconquista della libertà politica » di cui noi parlavamo, equivalga, puramente e semplicemente, a un ritorno al passato, significa non avere il senso della lotta politica e delle sue conseguenze. Per il semplice fatto di essere una « riconquista », essa non sarebbe, non potrebbe essere un « ritorno ». Ciò clie una volta, almeno in certa misura, fu concesso — « oclroyó », per usare un termine tecnico — diverrebbe era veramente acquisto personale del popolo italiano, carne della sua carne e sangue del suo sangue. Chi oggi lotta per le libertà politiche e per i diritti statutari, afferma — quali che siano le formule giuridiche e le giustificazioni storiche da esso preferite — il diritto del popolo italiano pila libertà e all'autogoverno. E di fatto, noi non parlavamo di « ritorno », nè proclamavamo alcuna « ultima Thule » per la vita politica italiana. Noi 'constatavamo che si era formato un accordo spontaneo che bisogna tradurre in coalizione fattiva — fra vari partiti, per la legge, la libertà e la democrazia; JB più precisamente per lo Stato di diritto, per le libertà civili e politiche trovanti fra noi « il primo fondamento » nello Statuto, per la « sovranità popolare espriinentesi attraverso il suffragio universale ». Poco importa, a noi, stare a discutere qui se ciò significhi, o ne, ritorno al 1932 ». Gerto è che. un simile programma non ha proprio nulla a che fare con un programma di conservatorismo; e che esso, invece, contiene' tutte le possibilità di un libero sviluppo del popolo, italiano. Libero sviluppo; ecco, per,noi, l'esigenza pregiudiziale. Noi non neghiamo ad alcun partito il diritto di propugnare trasformazioni politiche e sociali, anche larghe e profonde. E in quell'articolo avevamo Rilevato, .come uno dei quattro partiti di cui constatavamo l'accordo — l'Unione Nazionale — andasse « ponendo il problema di una ricostituzione e trasformazione osto tegrale della vita pubblica italiana in nelje al doppio principio della libertà indhamenle e della sovranità popolare ». ^'l/'arp^' gliamo che al popolo italiano, naVi spetti pronunciarsi in perfetta ljsino* e coscienza di causa, sui suoi destini futuri : e perciò consideriamo pregiudiziale ad ogni altra la questiono della libertà politica e del normale funzionamento del suffragio --universale. (Diciamo questione e non questioni, perchè per noi le due cose sono inscindibili). Per questo compito pre•giudizialc ad ogni specifico postulato di sinistra o di destra noi invocavamo ed invochiamo una coalizione «olida e fattiva di partiti di opposizione liberale; ciascuno dei quali, una volta assoltolo, potrà e dor vrà riprendere la sua strada per sostenere tutto il proprio programma.

Persone citate: Bonomi, Salandra