De Bono nella sentenza della Commissione istruttoria dell'Alta Corte

De Bono nella sentenza della Commissione istruttoria dell'Alta Corte De Bono nella sentenza della Commissione istruttoria dell'Alta Corte / Roma, 27. sera. Ecco il testo (liei dispositivo della sentenza della CornWssione j permanente di istruttoria dell'Alta Corte di Giustizia nei riguardi del Sei'. Emilio De Dono. Visti gli articoli 37 iella Statvto del Regno, 17, 18 c 56 del Regolamento giudiziario del Senato, la Commissione Permanente di istruzione dellìAlUz Corte di Giustizia dichiara: ; 1 Non farsi luogo a procedimento penale contro il sen. Emilio De Rono: 1.6) per inesistenza del fatto imputatogli, di cui ai api ideila denuncia n. 1 (partecipazione ad associazione a delinquere); n. 3 (favoregjiamento di giuochi di azzardo); n. 5 (impedimento ad asta pubblica di vendita di materiale di guerra); n. 6 (vendita di armi e munizioni); n. 7 (acquisto deglilalbcrghi di Valloni'rosa). 2.o) Per non avere eoli concorso nei fatti denunciati al n. Ili (invio di squadra pu. nitiva a Ferrara), e iti n. 13 (organizzazione dell'assassinio ridia persona dell'onorevole Matteotti). 3.o) Perchè non istituiscono reato i fatti imputatigli nel liì enuncia al n. 2 (traffico colle cosideltc Lnlcssc del Viminale), D. 4 (partecipazioni: \rnli utili della vendita di materiale di gij'i'r"), n. 8 (Cooperativa tra ufficiali in fkshionc ausiliaria speciale) e n. 12 (trajetiranza della denuncia Bcnni e Bedcrazikie. del clero). i.o) Per essere rata palla competente autorità giudiziaria emiissa sentenza di non doversi procedere admzione penale per il fatto di cui al n.|Ì0 giorni-Cattaneo). 5.o) Per insvfllibnla di prove al riguardo dei fatti dcnuf-Valf n emersi in istruttoria di cui al n. q (porfecipasione all'aggressione contro ì'oh. Amendola), n. li (favoreggiamenti tei 15 (favo eggiam\'n)o n> tro Von. Misuri)', e In. li porto sotto falso npnie Mio Matteotti), n. l'aggressitne con{rilascio dppassaialsa dalf). E òyiinai che sia%) restiMli : staria codisi ente itv.1iti un che--, sione; che la pi \&iutoritàì giudifi fitti r li dOCU- ti^hJttìcme viseikoiza sia notificala al denuncianìp\ al dminciato e alle parti civili. |j E Cosi deciso in U(ima, i| storno 12 giugno 1925. Lello, approvata t sottoscritto; firmati : Zupelli, G. D'Anuteo, Grosoli, C. Calisse, Castiglione Giorni. T. Sinibaldi, Fontana, cancelliere. Per copia confoimc all'originale, servire per uso noi fica. Roma 26 giugno 1925. —' /: cancelliere, firmalo: Fontana. (Agenzia Stefani) da 11 testo della sentenza noma 27 nulitEcco il testo della sentenza pronunciata dalla Commissione piriniinente eli istruzione dell'Alta Corte di giustizia liei riguardi del senatore Tie Boni : « In nome di S. M. Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e \ólontà delu nazione Re d'Italia, la Commissione pemanente di istruzione dell'Alta Corte di Giustizia, adunata in camera di consiglio] In pronunciato la seguente sentìnza nel ptocedifhento penale a carico di Emilio De Bono, senatore del Regno, denunciato illa Corte per i fatti seguenti : I 16 capi d'accusa della.denuncia 1° Aver fatto parte li una'-asiociazione a delinquere, conosciuta sotto il nome di Ceka, alla quale sono imputali numerosi delitti in donno di penbne. 2° Aver lascialo che donne[faccendiere avessero ogni facilità di accessi nel palazzo del Viminale e mgli uffici della Direzione generale della Pubblica Sicurezza per occuparsi di affari ai quali il De Bono non rimaneva estraneo. 3° Avere subordinato a propri interessi il regolamento dei giuochi d'azzardi), ■i" Avere ricevuto la somma, di lire 480.000 a iitolo di sua partecipazione tiegii utili di una vendila di materiali: residuata della guerra. 5° A vere impedito che altro mhtaiale bel. Uro fosse regolarmente venduto, nediante asta pubblica, e ciò per farlo aver* a trattativa privata ad un suo rappresentante. f>° Avere speculato stilla, venditi al Governo lituane, d'armi e munizioni appartenenti al Ministero della Gusrraj. 7" Avere acquistalo, col mezzo'di persona di sua fiducia, gli alberghi di Vt^lhmbrosa con lo scapo 'li piantarvi una gronde casa da giuoco. 8° Aver fallo affari, incompaliMU col suo ufficio, mediante la Coopcralivaì- da esso medesimo costituita e presieduta — degli Ufficiali in posizione ausiliaria selciale. 9° Avere oiganizzato e diretta, l'aggressione contro Von. Amendola e difcoer fatto atti di favoreggiamento verso glétscculori di quella. i 10° Aver sottratto all'arresto ah aggressori dell'on. Forni, ed aver partecipato al sequestro arbitrario di documenti che per raaioni prof esumali, l'avo. Carlo\lattaneo \ °nno tencva presso dì sò in depositò. 11° Aver avuto conoscenza, sciite nerciò impedirlo, dell'invio di una squadro ai liti fascisti a l'e étjdissidejui di colti mira, incaricali ili intuire ^.'■tenuto^Tepntor'delle 'deriunziei di reali, minacciali e compiuti in danno dell'on. Benni e dell'arciprete di Argenta. 13° Essere fra i responsabili dell'assassinio Matteotti per aver avuto conoscenza della sua preparazione e non averlo impedito. 14" Aver commesso atti di favoreggiamento verso i colpevoli dello stesso reato, cercando di agevolare la fuga e di nascondere e disperdere le tracce che sarebbero state utili alla giustizia. 15° Aver tentalo di sottrarre alla giustizia il principale autore dell'aggressione contro Von. Misuri. 16° Aner fatto rilasciare ad Amerigo Dumini un passaporto sotto il falso nome di « Gino Bianchi » e sotto falsa data. Le cosidette "contesse del Viminale,, Esaminati gli atti del procedimento, letta la requisitoria del Pubblico Ministero, con la quale si chiede che la Commissione permanente d'istruzione dell'Alta Corte di Giustizia dichiari di non farsi luogo a procedimento contro il sen. De Bono perdio i fatti ad esso addebitati in parte non esistono ed in parte non costituiscono reato; sentita la relazione del sen. Calisse, a tal'uopo delegato; Considerati ohe: le accuse portate innanzi l'Alta Corte di Giustizia contro il senatore De Bono si distinguono nettamente in due gruppi: le une riguardano speculazioni od affari, fatti a fine di lucro, in contrasto con gli interessi pubblici e secondo facoltà che il De Bono aveva soltanto per gli uffici di cui era investito; le altre si riferiscono a reati commessi in danno di persone e dai quali il sen. De Bono è accusato di aver preso parte, o nella loro preparazione o come favoreggiatore. A riguardo del primo gruppo, la denuncia, in modo generale — e quasi a premessa — dice che gli affari erano trattati anche per mezzo di donne, di incerta fama, a cui, mentre il De Bono era direttore generale della P. S., ora facile, come frequente, l'accesso agli uffici del Palazzo Viminale. Con loro — continua il denunciale — il De Bono si trovava in mondani convegni, ed esse poterono così avere il modo di giungere fino ad imporre la loro volontà. Erano le cosidette « Contesse del Viminale ». A carico di una di oneste il giornale 71 Sereno, il 2 luglio 1924. pubblicò gravi per quanto indeterminate accuse, aggiungendo che i relativi documenti dovevano trovarsi in Questura. Interrogato, il De Bono disse che per ragioni del suo ufficio egli dovette più di una volta ricevere visite anche di signore, non esclusa quella a cui si crede che si riferisca la pubblicazióne del giornale II Sereno. A lui, direttore generale della P. S., si rivolgevano persone di ogni condizione e per i più diversi motivi, ma egli nor fece rie avrcl<h« me* «plln'-ntn rHpfnr. sl di cose estranee e molto meno proposte 0 trattative di affari, qualunque queste fossero, o da qualunque parte venissero. Testimoni esaminati: Finzi e Grandi Sul medesimo argomento furono esaminati numerosi testimoni, e nessuno potè confermare, anche soltanto per averne udito dire, il fatto denunciato : notevole è che fra tali testimoni siano stati gli on. Finzi e Grandi, i quali, per essere sottosegretari di Stato con sede nel Viminale, non avrebbero potuto ignorare, se esistenti, le cose di cui si fa colpa al sen. De Bono. L'unica, in senso contrario, fu la dichiarazione del testimone Schiff-Giorgini, che disse di aver saputo che nel Viminale si trattavano per mezzo di donne affari di materiali residuati di guerra, senza che peraltro egli abbia su ciò fatto espressamente alcuna allusione al De Bono. Ma poiché, come si ò detto, si era occupato della cosa il giornale 71 Sereno, con l'aggiunta che i documenti delle sue affermazioni si sarebbero potuti trovare in Questura, su questi due punti furono rivolte particolarmente le indagini della Commissione. Interrogato il direttore del giornale, questi dichiarò che, appena ebbe letto l'articolo, di cui non aveva in precedenza avuto cognizione, diede disposizione che su quanto in esso erasi detto si facessero nrudentemente ricerche e che frattanto nulla più si pubblicasse. Egli venne così a sapere che, della persona di cui aveva parlato il giornale, si diceva che, durante la guerra, si fosse occupata di pratiche d'imboscamento per suoi raccomandati, ma che nulla eragli risultato di affavi posteriormente trattati e molto meno di relazioni col sen. De Bono. Simili dihiarazioni, per quello che si riferiva aila Questura, furono fatte in modo esplicito dal capo dell'Ufficio di polizia giudiziaria. Tutto ciò posto, e poiché sull'unico fatto specificamente indicato nell'anzidetta pubblicazione del giornale II Sereno, la testimonianza di Schiff-Giorgini, che non investe direttamente il De Bono, rimane unica fra le molte raccolte e non è suffragata da qualsiasi un sole inizio di prova: e poiché, inoltre, nell'esporre i fatti che in questa parte della denunzia sono (come ora si verrà a dire) particolarmente imputati, da nessuno — compreso il denunziatile — si fa mai pur cenno di alcune ingerenze che donne faccendiere abbiano avuto, la Commissione ritiene che il fatto, con questo capo della denunzia (n. 2) attribuito al. senatore De Bono debba dichiararsi inesistente. Considerato che: Il sen. De Bono ò accusato di avere favorito, come direttore generale della P. S., 1 detentori di bische, e di avere, per fini di sua personale utilità, spiegato grandi attività nella formazione del decreto-legge 29 aprile 1924, col quale, fra l'altro, fu data facoltà al Governo di potere concedere, così autorizzandole, l'apertura di case di giuoco. La tolleranza e la incapacità della P. S. a riguardo delle bische e dei loro speculatori, era giunta a tal punto — dice il denunziarne — che il Ministero dell'Interno, nel fare la relazione al Re sull'anzidetto decreto-legge, dovè dichiarare che, principalmente per riparare ad essa, si erano rese necessarie le nuove disposizioni. Questa dichiarazione non è stata esibita, nò la relazione che la conterrebbe fu pubblicata col dccretu-legge nella Gazzetta Ufficiale; ma, pure ammesso che essa si riferisca al fatto che l'autorità di P. S. non avesse adeguate norme di legge per combattere con utili risultati i giuochi clandestini — e con ciò si retrocede ni passato, prima che De Bono fosse chiamato a reggere simile uffirio — si vuole che quella dichiarazione si riferisca a condizioni prò forma; e in tal caso non la colpa di avere voluto le nuove disposizioni per i propri interessi, ma il merito dovrebbe darsi al De Bono di averle volute per riparare ai difotti di così importante ramo dell'amministrazione. A parte che — stando all'accusa qual'è: il De Bono, cioè, avrebbe voluta la nuova legge per potersene poi servire con proprio vantaggio — si è dimostrato il fatto che il De Bono non era, o almeno non si mostrava, favorevole al nuovo decreto (e poiché questo fu compiuto, egli propose al presidente del Consiglio, ed ottenne, che ne fosse sospesa l'applicazione, fino a che dal Parlamento non se ne fosse fatta la conversione in legge), basta però un fatto sul quale il denunziente ha richiamata l'attenzione della Commissione. La Giunta comunale di San Pellegrino — egli dice — ritirò la patente di esercizio al concessionario del Gran Casino-Teatro, colà esistente, perchè costui vi aveva introdotto giuochi d'azzardo, senonchft sopravvenne l'autorità locale di P. S., la quale, sentita la Direzione generale, restituì la patente, e la bisca fu riaperta. La Commissione ha fatto indagini sii questo punto ed ha interrogato, tra gli altri, il capo dell'ufficio competente in tale materia (Affari polizia amministrativa e giudiziaria - Ministero dell'Interno), e ha appreso, anche sulla esibizione di documenti ufficiali, che nessuna richiesta o consultazione, nel senso sopra indicato, era stata mai fatta dalla locale autorità a proposito del Casino-Teatro di S. Pellegrino. Anzi, di farla sarebbe mancata la ragione, avendo il prefetto di Bergamo attestato che nessun atto in quell'Ufficio esisteva, che si riferisse in qualsiasi modo alla concessione o alla esistenza del giuoco in quella località. Tale concessione fu poi regolarmente domandata, e la domanda pervenne al Ministero; ma questo la restituì senza alcun provvedimento e senza qualsiasi motivazione, per la ragione già detta che nal decreto, di cui si sarebbe dovuto in questb caso far uso, era stata sospesa l'applicazione. Per queste risultanze dell'istruttoria -jche sono state confermate anche da nurnar rose testimonianze raccolte, fra le quali js da notarsi quella del sottosegretario di Sta. to per la presidenza del Consiglio, che, per cagione del suo ufficio, conobbe e segu) tutta la preparazione del decreto-legge sui giuochi di azzardo — la Commissione rij tiene clic il. fatto contenuto in questo cape della denunzia contro il senatore De Boni (n. 3) è da dichiararsi inesistente. I residuati di perra Un gruppo dei fatti enunciati si riferisce a speculazioni fatte, o trattate, dal sen. De Bono su materiali residuati dalla guerra. Consiste il primo — si dice — nella vendita di una ingente quantità di rame per la quale il De Bono cedette, come sua parte degli utili, la somma di lire 480.000. La noìizia, secondo il denunciante, ne fu data dall'on. Finzi ai signori Schiff-Giorgini, Silvestri e Bonollo. L'on. Finzi ha negato di aver fatto questa comunicazione, che gli è attribuita. Il comm. Bonollo ha dichiarato che, pur avendo egli avuto parte nelle lunghe vicende per la vendita in questiono, non ha mai udito cosa alcuna attinente al sen. De Bono. Schiff-Giorgini, invece, e Silvestri, hanno confermato il fatto, aggiungendo, però, il primo, che egli ignorava per qual titolo avesse il De Bono ricevuta la somma anzidetta, cioè se per suo personale conto o se per ragioni d'ufficio. Venivano cosi a mancare quasi interamente le affermazioni date a sostegno dell'accusa. Tuttavia, poiché il fatto determinato erasi indubbiamente rilevato — cioè, che dalla vendita di una grande quantità di materiale bellico (non rame, però, ma acciaio) erasi ricavata una considerevole somma oltre il prezzo contrattuale, e di questa una parte era stata data al sen. De Bono — la Commissione ha voluto per suo conto ampliare le indagini, esaminando i testimoni, confrontando, e tutto accertando sulla base di sicuri documenti. Per questa via si sono potuti ristabi, lire con chiarezza i fatti. Della vendita di [cui è questione parlò al Finzi ed allo Schiff-Giorgini l'ispettore Battioni, reggente l'ufficio speciale dell'alienazione dei materiali di guerra. Interrogato, egli disse che, essendo stato incaricato di fare una inchiesta a proposito di questa vendita, nulla era risultato che potesse in qualsiasi modo essere posto a carico del sen. De Bono, circostanza, questa, che non ha importanza nella presente questione, poiché la inchiesta fu del tempo in cui il De Bono non aveva ancora i duplici uffici di cui più tardi fu investito. Il Battioni, poi, spiegò che il materiale, consistente in molte migliaia di tonnellate di acciaio speciale, fu dapprima aggiudicato a due associazioni, la « Cooperativa Alessandrina Mutilati e Combattenti » e la « Federazione Arditi d'Italia » con sede in Bologna. 11 prezzo non era stato determinato: fu poi fatto stimare da persone esperte. Mentre però su questo prezzo le due Associazioni erano ancora nel chiedere ribassi, pervennero offerte di prezzi anche notevolmente superiori; ed allora l'alto Commissario delle Ferrovie, a cui era stata affidata la liquidazione dei materiali di guerra, rescisse — come ne aveva facoltà — i precedenti contratti, riprese a trattare con gli offerenti e finì col dare la preferenza alla « Metallifera » di Torino, rappresentato dnl rag. Cerato, il quale, per liberarsi dalle due Società anzidette (che per avvenute, rescissione dei loro contratti pretendevano compensi e minacciavano liti, e perchè a lui era stata fatta sollecitazione, come a fascista, che contribuisse al pagamento dei debiti derivati dalla marcia su Roma), acconsentì a dare, oltre il prezzo contrattuale, la somma di 4 milioni di lire, che furono messi a disposizione dell'alto Commissario; e da tal somma onesti trasse lire 400.000 e le passò al De Bono, affinchè, nel suo ufficio . V^di comandante generale della milizia vo- lontana S. N., dal quale dipendeva la i Commissione incaricata della liquidazione dei debiti sovradetti. egli conforme mente le dovesse a tale scopo erogare. " Molte osservazioni occorrerebbero „ Quattro assegni bancari di lire 100.000 ciascuno Surono dall'alto commissario gi- a l l — a a i e e a a . , e i l l b jar js a. r u) ui ij e i e n. rnr e a a i, o li aleintli o r fiao e i e i . r o i o e i e n l e i i i o a e e e a a rati al nome del senatore De Bono, e dall'ispettore Battioni furono consegnati al generale Sacco, che li presentò al De Bono, il quale li firmò per la riscossione. Di questa fu incaricato il Macchiati, appartenente alla Direzione generale della P. S., coll'incarico della gestione dei fondi per spese riservate. Riscossa la somma, fu depositata nella cassa del detto ufficio, e quindi, a volta, a volta, ritirata, o direttamente dal generale Sacco, o mediante vaglia intestati al rag. Balbo. Quando il senatore De Bono lasciò la Direzione generale della Pubblica Sicurezza, si trovava ancora nella cassa qualche residuo della, somma depositata e ne fu fatta consegna, come tutto risulta da speciale ed esibita contabilità. Tali, i fatti, e su di essi non vi e dubb'z che tnolle osservazioni occorrerebbero, se esse non fossero estranee al doversi la que. stione esaminare unicamente nei rapporti con il senatore De Rono, al cui riguardo è pur fuor di dubbio che la confusione di uffici diversi nella sua persona e il. modo singolare onde essi erano concepiti e trattali, han prodotto intrecci e sovrapposizioni, che non potevano certo contribuire alla chiarezza e alla regolarità di tutti i suoi atti. Ma, nel caso presente, da tutte le cose suesposte si può sicuramente dedurre che la somma di lire 400.000 fu data al De Bono non come sua partecipazione negli utili della vendita — alla quale, d'altronde, nessuna opera è apparsa mai che da lui fosse data _ ma solo perchè, qual comandante generale della milizia nazionale volontaria egli se ne servisse iti pagamento delle spese sostenute dal partito per la marcia su Roma. Ed e risultato, altresì, che di detta somma il De Bono non fu mai in possesso: avendo egli lasciato, dopo aver firmalo gli assegni girali a. suo nome, ad altri la cura dell'incasso e della erogazione. Quindi è da concludersi che, se il fatto denuncialo è vero, nel senso che al senatore De Bono fu assegnata una parte della somma disposta per la vendila degli acciai o in occasione di questa, (n. 4), è pur vero che — per quanto si è potuto accertare ogni elemento di personale interesse deve esserne eliminato, e perciò il fatto stesso è da dichiararsi non costituente reato. Le 2000 tonnellate di rame Simile accusa al De Bono si è fatta a proposito della vendita di 2000 tonnellate di rame all'ufficio, di cui reggente era, come si è i detto, il Battioli Si presentarono due perso. | ne, che si dichiaraiono in rapporto con l'aniV^..mirii6trazione provinciale e col Monte dei ' l'ascili di siena e con essi furono iniziate trattative; nenonchè, dice il denunziente mentre queste erano in corso, il prefetto di Siena ricevette un telegramma, firmato De Dono, col quale gli si faceva invito di far si che andasse deserta la pubblica asta pel materiale di guerra, presso il Monte dei Paschi di quella città, e. ciò allo scopo di farlo ottenere a trattativa privata a un prestanome dello stesso De Beno. Incominciati su questo punto gli esami dei testimoni, Schiff-Giorgini confermò la denuncia, l'on. Finzi, invece, dette una spiegazione tutta diversa dei fatti, e poiché si riferiva egli a telegramma scambiati quando egli era sottosegretario di Stato fra il Ministero dell'Interno ed il prefetto di Siena, la Commissione ne ordino la presentazione, e in copia autentica la ebbe, e potè, con questi elementi, accertare che. real niente, un telegramma Urinato De Bono < relativo alla vendila del rame, fu spedito al prefetto di Siena il 23 ottobre 1923; ma non si chiedeva se i on che il prefetto desse informazioni riservate sulle duo persone, che, co me si è delto, si erano presentate per trattare l'acquisto del materiale suddetto. Certo fa meraviglia che tale richiesta sia stata tir mata, fuori di ogni sua competenza, dal se natore De Bono, il quale ha, di più, di chiara to di non avere preso neppure cosai zione di ciò che firmava, ma la spiegazione è stata data dal Battioli. il quale ha con fossato clic egli tu l'amore del telegramma ma pensò di farlo Urinare dal De Bono, sia perchè egli noi. aveva il cifrario della corrispondenza del Prefetto, sia perchè questi, nell'indagare e nel rispondere, si prendesse maggiore premura. Ma perchè non farlo firmare dall'Alto Commissario, a cui la materia spettava? Ma, venendo al telegramma, è certo che questo non conteneva affatto ciò che è stalo denunziato: nessun accenno a cercare l'impedimento della vendita. Avvenne però, che della richiesta fatta al prefetto di Siena ebbero notizia le due persone, che ne erano og getto. Interpretandola, per qualsiasi ragione nel senso che per essa rimanessero interrotte le iniziate trattative, ne fecero reclamo al ministero. L'on Finzi allora, il 5 novembre 1933, telegrafò al prefetto elio dicesse se, nel senso del reclamo, avesse ricevuto qualche anterióre telegramma. 11 prefetto rispose negativamente, aggiungendo che di simile affare egli non aveva mai avuto ragione di occuparsi, dopo che ebbe date le informazioni che gli erano state domandate. Tutto ciò fu confermato dalle testimonianze raccolte, fra cui quella del provveditore del Monte dei l'aschi, che affermò che nessuno era stato mai autorizzato a trattare in nome e per interesse del Monte dei Paschi, Il quale intanto aveva avuto cognizione dell'affare trattato, in (pianto, in relazione con esso, gli eia stata fatta domanda di una sovvenzione, elio fu concessa senza celi questa operazione abbia poi avuto più seguito. La vendita, infatti, non ebbe più luogo, nò per pubblica asta, nè a trattativa privata: e questo avvenne, non per ingerenza di chi poteva avervi qualsiasi interesse, ma per il solo fatto che l'amministrazione delle Ferrovie volle ed usò in quel ramo, per i proprii servizi, come ne aveva, in preferenza di ogni altro, il suo diritto. Manifesto è con ciò che il fatto attribuito al sen. De Bono, di aver cercato di impedire la regolare vendila di materiale di guerra per fini di suo personale vantaggio (n. 5) non è esistente, e tale deve dichiararsi. Ancora un capo di accusa è stato offerto alla denunzia dal materiale di guerra. Ora si tratta di armi e munizioni, cioè, di 50.000 fucili e 40 milioni di cartucce, appartenenti al Ministero della guerra. Questo, materiale — si dice — era stato ceduto, a condizioni di speciale favore, al comando generale della milizia nazionale volontaria, onde l'interesse del comandali. te De Bono a fare specuiazione, poiché i non meno di g mn}oni di hre sarebbe stato il compenso per la cessione, se questa si fosse riusciti a fare utilmente. La Commissione ha cercato con l'esame di testimoni c documenti, di ristabilire il fatto in tutte le sue particolarità, ed ha veduto che non consiste in altro, tal fatto, che in trattative; o meglio, può dirsi, in tentativi 1 di trattative, da parte di parecchi speculatori, che intendevano rivendere con forte guadagno tutto il materiale al Governo della Lituania. Tali trattative fallirono tutte, perchè, nò dalle persone che se ne occuparono per proprio conto, nè da quelle che si dicevano interpreti del governo Lituano, furono mai fotte proposte che dal Ministero della guerra, e più da quello delle Finanze fossero giudicate accettabili. Durante queste indagini due sole volte è comparse il nome del sen. De Bono: primo a menzionarlo fu SchiffGiorgini, il quale disse che, essendosi per l'affare in questione recato più volte al Viminale, non vide il De Bono, ma vide che persone con le quali parlava entrarono più volte nella stanza di lui, che era vicina, per informarlo e consultarlo; poi fu il teste Fagioli, che disse che da alcuni, che erano andati a parlargli di tale faccenda, aveva inteso che questa molto stava a cuore del sen De Bono; ma subito ha soggiunto che poi. incontrandolo e chiestogli se cosi realmente fosse, il De Bono smenti e si mostrò infastidito di simili voci sul suo conto. Vaghe allusioni, dunque, supposizioni su riferimenti altrui, nessuna determinata indicazione. Unica indiretta circostanza nella quale il De Bono personalmente apparisce, è quella poc'anzi detta del suo incontro col Fagioli, ed è in senso contrario alla denunzia. Anche ammesso, come ragionevolmente si può, che il De Bono non ignorasse, ciò che venivano trattando persone a lui vicine, e dentro i suoi stessi uffici, questo non basta per supporlo nartecipe di tali trattative, le quali, inoltre — non- essendo come si 6 detto uscite mai dallo stato di discorsi ed ipotesi — non hanno elementi che loro diano carattere di reato. Lo stesso Prhiff-^jorr-rini ho rliobinrntn cV>h eli cessò dall'andare a parlare di questa vendita di fucili e cartucc. quando vide che la cosa, volgeva allo scherzo. 71 fatto denunziato, come accusa, a De Bono, non esiste (n. 6), e quando esistesse non costituirebbe reato. Gli alberghi di Vallombrosa Anche verso altro oggetto la denunzia dice che l'attività affaristica del De Bono si stendeva, e, come esempio, si ricordano l'accordo di lui con tal Mario Jurgens per gli alberghi di Vallombrosa e la costituzione di una appurente cooperativa fra gli ufficiali in posizione ausiliaria speciale. Sul primo punto la base dell'accusa è ancora una volta la parola di Scliiff-Giorgini. Dinanzi la Commissione questi ha confermato il fatto denunziato, meglio spiegar ' che l'acquisto degli alberghi di Valloni, era 6tato fatto dall'Jurgens senza sborsai'■' fatto denaro, ma soltanto mediante cambiali ohe egli confidava di poter pagare alla scadenza, perchè da De '-ono aveva avuto assicurazioni che gli si -ebbe fatto sollecitamente.la concessione ucl c.'oco e che egli si sarebbe procurato l mezzi occorrenti per l'adempimento dellle sue obbligazioni. Interrogato lo Jurgens, questi ammise che, avendo incontrato lo Schiff-Giorgini potè bene avergli detto dell'acquisto elio allora aveva fatto, ma negò recisamente quanto dallo Schiff-Giorgini gli era stato attribuito a riguardo di De Bono. Disse alla Commissione lo Jurgens che egli non conosce De Bono, che non ha avuto mai con lui alcun rapporto di affari, e in quello particolarmente di Vallombrosa non avrebbe avuto alcuna occasione nè interesse per chiederne ed accettarne qualsiasi partecipazione od anche semplice ingerenza. Con ciò si vedeva caduta la base dell'accusa; ma si è voluto indagare ancora con altri testimoni e con il prendere cognizione degli atti relativi all'acquisto suddetto. I testimoni, capitano Buttirini e generale Sacco, hanno confermato quanto lò Jurges aveva detto circa l'essere stato il De Bono totalmente estraneo all'affare (latrisirtimento di acquisto; e nemmeno si è rilevata vera l'affermazione dello Schiff-Giorgini in quanto al pagamento del prezzo: ili questo, una parto fu subito pagata in conta-nti. per un'altra il pagamento fu pattuito a breve scadenza, e per l'ultima non furono presi che 6 mesi di tempo, pagando frattanto gli interessi e dando garanzia ipotecaria. Non esistono le cambiali che per la totalità del prezzo avrebbero dovuto essere pagato con i prodotti del gioco. In cui pronta concessione avrebbe promesso De Bono, in forza precisamente di quel (Increto di cui egli stesso aveva chiesto ed ottenuto la sospensione. Perciò è manifesta la. inesistenza del fatto In. 6) che gli è stato attribuito. La Cooperativa degli ufficiali Che De Bono ubbia costituito una cooperativa fra gli ufficiali in P. A. S. (la Vps), della quale egli fu presidente, nessuno, lui stcsso compreso, ha negato. Il denunziarne aggiunge che questa cooperativa si die subilo agli affari, ed uno dei piò fruttuosi fu l'appalto per lavori di disfacimento di una grande quantità di cartuccie, possedute dal laboratorio pirotecnico di Bologna. Il finanziamento ne fu fatto dal Banco di Roma, e chi scontò fu il Sacco, presentato dal Do Bono: un effetto di !.. 300.000. che fu poi ceduto alla Banca Adriatica di Trieste: dimodoché ;1 De Bono venne in relazione di affari col direttore di quella Banca, persona — dice il denunziarne — di pessima fama, colpita da mandato di cattura per fallimento in cui la Banca poi cadde. Fonte di questo capo della denunzia: una lettera anonima pubblicata nel giornale II \uovo Paese. Ma la Commissione fu a conoscenza di un articolo del giornale La race repubblicana, col quale si censurava il De Bono per l'affare appunto dello cartucce sopradetto, e che l'autore era l'on. Chiesa Eugenio, il quale, interrogato, disse che egli credeva che il De Bono non potesse parlecipare ad affari ove era interessato lo Stato, essendo, appartenente come ufficiale all'esercito, quantunque in posiziono ausiliaria speciale. Ha però soggiunto che lo notizie sul conta di De Bono orli conosceva soltanto per avergliele comunicate altra persona, e che poi dal generale Cortese era stato assicurato che non era stata -commessa alcuna irregolarità. Seguendo questa indicazione, fu interrogato il generale Cortese, poi altri, furono chiesti ed esaminati documenti e potè stabilirsi quanto appresso. La cooperativa fra ufficiali in P. A. S. fu costituita con atto notarile del 10 novembre del 1921. Avendo essa fra i suoi voti anche quello di assumere appalli per poter sovvenire ai bisogni dei soci, tutti reduci di guerra, concorse alla gara per l'appalto dello scaricamento dei bossoli appartenenti al laboratorio pirotecnico di Bologna. La gara ebbe luogo in due tempi: nel primo, l'offerta migliore fu fatta dall'avv. Salminci, autore delle notizie dell'on. Chiesa; seguiva, alquanto minore, quella della cooperativa. Ma mentre questa si obbligava a compiere il lavoro in 90 giorni. 11 Salminci ne chiedeva 200. Perciò, la gara fu rinnovata, sulla base, in quanto al prozzo, dell'offerta Salminci, ed in quanto al tempo, di quello della cooperativa, la quale fu vincitrice, ed il contratto dell'appalto fu fatto con essa il 21 novembre 1922. Occorreva dare cauzione, ed a questa servi la sovvenzione di lire 300.000 data dal Banco di Roma, mediante lo sconto di un effetto per altrettanta somma al generale Sacco, presentato dal De Bono ; somma che alla scadenza fu restituita allo stesso Banco di Roma. cnj£i Onde, se ò vero che questo avesse ceduto il suo credito alla Banca Adriatica di Trieste, ciò formò esclusivamente un rapporto tra i duo istituti, senza che appaia comò avrebbero potato entrarvi i debitori, che non chiesero — come si è detto — proroga alcuna al pagamento del debito. L'appalto fu eseguito regolarmente, lì' vero chi; noi frattempo si fece un inchiesta, da cui si è tratto argomento per (lire ohe irregolarità non debbono essere mancate; ma quell'inchiesta non fu che una delle ispezioni elio l'amministrazione centrale dispone per assicurarsi del normale procedimento di tutte le sue dipendenze; e infatti, per quanto si è potuto conoscere, nulla ne risultò, che fosse posto a carico della Cooperativa per il lavoro che stava eseguendo nel laboratorio di Bologna. Tali essendo i fatti, non vi si vede, qui, qual cosa possa considerarsi illegittimo o biasimevole. Ma resta la domanda: poteva il De Bono, sia pure come rappresentante della Cooperativa, entrare in rapporti di affari con 10 Stato non avendo egli cessato di appartenere all'Esercito? Pure ammessu che non potesse, non si tratterebbe elio di una contravvenzione a disposizioni di carattere amministrativo e disciplinare, come lo stesso on. Chiesa ha riconosciuto. Ma su tale questione qui non occorrere fermarsi, poiché è stato dimostrato che, quando la Cooperativa assunse l'appalto, il De Bono non ne faceva più parte, essendosene egli dichiarato dimissionario appena il partito fascista giunse al Governo e prima che culi fosse nominato direttore generale della P. S. Anche questo capo d'accula (n. 8) viene cosi a mancare, perchè il fatto della Cooperativa, quale è stato accertalo, non costituisce reato; nò altro, su questa materia dell'affarismo, la denuncia aggiunge. Le voci di Dumini e Rossi Ma durante la istruttoria altre voci sono giunte alla Commissione, che non le ha lasciate cadere. In una lettera che il Dumini scrisse il 28 agosto 1924 alfon. Finzi, e che la direzione delle carceri trattenne e la Commissione d'istruttoria ha aperto e letto, il Dumini dice che a suo tempo si prenderà una feroce vendetta contro De Mono, rivelando come questo fosse dedito all'affarismo e cecine per il lavoro sopradetto del laboratorio pirotecnico di Bologna si fosse a lui dato un compenso di lire 200.000. Ma per quanto al Dumini siano state chieste le prove del fatti che egli aveva scritto di conoscere, o almeno le indicazioni che fossero valse a confermare in qualsiasi modo le sue affermazioni, nulla se ne potò ritrarre, onde fu forza concludere che, a far l'anzidetta generica accusa, egli non 6ia stato mosso se non dalla irritazione sua contro De Bono, più volte manifestata per motivo che non aveva ricevuto, dopo l'assassinio dell'on. Matteotti, quell'aiuto che egli credeva di essere in diritto di avere, e che perciò le stesse sue affermazioni, o meglio minaccie, non potevano essere tenute tn conto per ritornare sul giui dizio che, sulla base di più 6icuri elementi era stato già fatto. .. In ultimo fu Cesare Rossi che disse essere abituale in De Bono l'affarismo, e la dimostrazione poteva trovarsene nella corrispondenza di lui con Carlo Bazzi, suo cugino. Disse ancora che di affari continuò De Bono ad occuparsi anche dopo essere stato nominato direttore generale della P. S., e specialmente a '.avore della sua Cooperativa, servendosi dei mezzi che il pubblico ufficio a lui dava per vincere ogni altrui concorrenza nella domanda degli appalti. Quali altri appalti, fuori di quello sonradetto, la cooperativa abbia avuto o semplicemente chiesto, noi» è noto, e nessuno ha mai detto. In quanto alla corrispondenwi col Bazzi, non è stato pos. sibile avere notizie, essendo egli fuori d'Italia, fuggitivo, e le sue carte, dopo una perquisizione fatti nel suo domicilio, essendo state restituite a chi lo rappresentava. Peraltro, nessuna util" conseguenza se ne sarebbe potuto trarre poiché coteste lettere, che si dice trattino d'affari, risalgono, so realmente esistite, a tempo anteriore all'avvento del fascismo al potere e alla nomina del De Bono agli uffici di cui fu poi investito. A questo punto non si può non osservare che tanto cumulo di. accuse e sospetti di voci, per lo più vaghe, ma diffuse e tenaci, non sarebbe slato possibile se non gli si fossero date occasioni, siano pur solo apparenti, se non fosse caduto sopra un terreno disposto a riceverlo e vivificarlo. Ma pur cosi essendo, non si può, secondo giustizia, trarre questa generale osservazione a costituire la prova di fatti, che per se stessi non hanno quegli specifici elementi, che formano i caratteri della realtà E perciò, riassumendo tutte le sue esposte considerazioni e conclusioni, si deve riconoscere e dichiarare che, nei cupi della denuncia fin qui esaminati, non si riscontra materia penale. Il "testamento,, Finzi In quanto al secondo gruppo delle accuse mosse al sen. De Bono, e che si riferiscono a reati in danno di persone, il denunciante anche qui premette un'accusa generale, ed è : De Bono fece parte d'una associazione creata con lo scopo appunto di commettere quei reati, designandone le vittime, dandone i mezzi, scegliendone gli esecutori, occultandone le tracci* per fuorviare il corso della giustizia. Questa associamone era detta « Ceca », ed è stato affermato che negli ultimi tempi, mentre più vivaci si facevano le opposizioni al fascismo, le si volle dare una più regolare costituzione ond-e essa diventò un organo normale del partito e del governo fascista, ed uno dei suoi componenti era il sen. Do Bono. La prova di questo fatto — dice il denunciante — si trova in una lettora, chiamata anche testamento, che l'on. Finzi avrebbe scritto dopo che ebbe data le dimissioni da sottosegretario di Stato ner 11 ministero dell'Interno, con lo scopo di difendersi contro il pericolo che, per salvare altri, si fosse voluto rendere lui responsabile dell'assassinio dell'on. Matteotti. Doveva rimanere segreto questo documento fino a che non fSsse stalo ne- pfn?ar™ 11 w?*ryirsenf, ! tuttavia si dice che lon. Finzi ne desse notizia a più. persone, e particolarmente a Schiff-Giorgim, Guglielmo Emanuel e Carlo Silve. stri ai quali lo avrebbe mostrato e fatto anche leggere. Per questo via — si giunge - se ne è rivelato il contenuto, essere E questo, tra l'altro, si è saputo in quel documento affermato che là « Ceca » esisteva, e che di essa faceva parte il sen. De Bono. *^ . Che una lettera, nelle circostante ansi, delle, sia stata scritta daU'on. Finzi por cosa certa: egli stesso, Von. Finii, lo ha ammesso, e le numerose testimonianze raccolte discordano sulla ma forma eZu altre particolarità, non sAll'esistema Mé$ questa lettera non fu esibita alla Com-mVf sione, che inutilmente/l'ha chiesta e # ricercò con tutti i meizi di citi poteva m sporre. Riuscì infruttuoso anche Von di sequestrarla, peichè'non fu. trovate si era detto rftc'era stata depositato .CltèlC. nO -vntnrnn net g^ *