La "Melograna dischiusa"

La "Melograna dischiusa"La "Melograna dischiusa" l confronti sono odiosi. Nella critica letteraria, poi, sono dannosi, perchè ai Ba che ogni opera d'arte non è comparabile ohe con se stessa; ma sono utili, quando non mirano che a caratterizzare, fra le altre, la personalità del poeta. Sono infine necessari corno punti di riferimento nella sistemazione delle nostre conoecenze. Tutti, ad esempio, pensano (e nessuno si adombra per questo avvicinamento) che n*Ua storia della poesia provenzale moderr.a, dopo Federico Mistral, accanto a Giuseppe Roumanille campeggi Teodoro Aubanel, il cui capolavoro, la » Melagrana dischiusa », è apparso di recente in una accurata, se non perfetta, versione di Mario Grasso con una bella introduzione di xilessio Di Giovanni (Catania, Studio Editoriale Moderno, 1926). E Mistral, il Roumanille e l'Aubanel furono diversissimi. Ognuno ebbe una sua propria sentimentalitìi e ispirazione; il primo fu tutto preso, nell'anima, da un motivo fondamentale, che si svolse con esatta coerenza di toni nei suoi gloriosi poemi, in cui appaiono trasfiguralo la storia e la terra provenzale; il secondo fu orientato verso una sua concezione moralistica della vita; il terzo in ciascuna sua opera si espi esse frammentariamente, ponendosi volta a volta come realtà spirituale distinta, passando cioè attraverso vari stati d'animo l'uno dissimile dall'altro. Maggiori furono il Mistral e l'Aubanel. Entrambi creatori; ma il primo si foggiò un suo universo chiuso, direi, in una inscindibile unità, roteante intorno ad un unico centro animatore; il secondo die vita .a più mondi poetici, meno ricchi e meno estesi, ma agitati ognuno da un particolare e determinato sentimento dominatore. * * ■Il distacco fra questi duo maggiori corifei della nuova poesia provenzale è grande. TI corpo impalpabile della poesia del Mistral ci appare come l'immagine concreta dell'amore del poeta per la sua Provenza esaltata nella gloria delle sue bellezze e della sua storia. Queste bellezze e questa storia sono lo etssso cuore del MiBtral. E sono una cosa solenne. I prodigi rinnovantisi delle stagioni, la seminatura, la mietitura, la vendemmia sono le funzioni rituali deUa madre terra rivissute con ispirito quasi sacerdotale. Il sole e il yento sono le maestà dei luoghi. E l'amore è una forza vergine e sana della natura, una tormenta irresistibile e vittoriosa. L'opera dell'Aubanel, invece, non ha (e non ei può presumere che abbia, dato il temperamento dell'autore) il largo e potente respiro, che conferisce alla poesia del Mistral una grandiosità quasi epica, ne può o vuole essere tutta investita dal soffio di una eroica passione per la storia e la terra natale. E' un'opera diversa. Se il « Pane del peccato » con la sua leggenda rusticana di amore e di morte, con il gran sole estivo che indora le messi e accende i desideri e con lo sfondo di una di quelle fattorie meridionali, che il Mistral ci ha fatto amare, ci porta in mezzo alla vita semydice, vigorosa ed elementare dei lavoratori dei campi, e se le ;« Giovani d'Avignone » celebrano in più luoghi la Provenza e l'incoronano d'uno stellante diadema, resta 'sempre che l'Aubanel non è e non può essere considerato quale il cantore della patria, come fu il Mistral, o quale il poeta che interpretò, nella sola lingua consentita dalla nuova ispirazione, tutta l'anima provenzale ardente, schietta e verginale. L'uno e l'altro, come tutti i veri poeti, cantarono unicamente se stessi ; ma nell'anima mistraliana sentiamo vibrare la storia e la vita provenzale, mentre in quella dell'Aubane'. questo storia e questa vita non si fondono e non si compongono in un motivo centrale ed ispiratore e rimangono, come a dire, al di fuori della sua vera e reale poesia. Tanto è vero, che l'opera, che meglio d'ogni altra ci rappresenta l'Aubanel, è il n Libro d'Amore », che è un piccolo e delizioso poema, una sezione della « Melagrana dischiusa », in cui il poeta ricostruisce, idealizzandola, la storia di una sua infelice passione per una giovinetta, Zani, al secolo Jenny Mannivet, vagheggiata in un esaltamento, nel quale- s'avvicendano gli impeti del suo sangue ardente e gli abbandoni del suo cuore dolorante e rassegnato. Questa situazione eminentemente romantica, ricca di contrasti, non ha impedito al poeta di trionfare, con un atto di liberazione, dei suoi tormenti, e gli ha consentito di darci un libro pieno di vita interiore, soffuso di melanconia e percorso da un alito di bontà e di umiltà che è il sospiro del cuore. La storia di Jenny Mannivet n triste e breve. TI poeta la vile la prima volta in casa dei Giéra a Font-Ségugne, presso Avignone, castello destinato ad essere il luogo insigne ove il 21 maggio 1854 fu fondata la nuova sciola poetica provenzale. Aubanel era un fervido credente, che non esitava a seguire a piedi scalzi le processioni per le vie di Avignone. Jenny, religiosissima, aveva divisato di darsi a Dio. Prediletta da Giuseppina Giéra, aveva lasciato per ragione di saluto il monastero di San Vincenzo de' Paoli, e s'era condotta presso la patriarcale famiglia della sua amica per rinfrancare le forze, prima di abbandonare per sempre il mondo. In quella temperie di gentilezza domestica e di reciproca fiducia, i due giovani si legarono di viva simpatia Jenny era seducente nella sua veste color di melagrana, con i suoi occhi sognanti e melanconici e con i suoi folti e neri capelli. Quella capigliatura, diceva Roumanille, non era mai stata toccata dalle mani di Aubanel. TI quale non ti avvide di amare la pensosa fanciulla che quando questa, riavutasi in salute, rientrò in tonvento. Era l'inverno del 1 Sol e Aubanel con la disperazione nel cuore partiva per Roma. Anche Jenny nascondeva gelosamente la sua passione, ma, sorretta da un arcano senso del divino, che vince nelle anime profondamente religiosa ogni dolore, compiva il grande ed eroico sacrifìcio. Questa la storia di Jenny Mannivet. Ma la storia di Zani nella « Melagrana » diventa la storia dei tormenti del poeta, ed è una storia che, pur sorgendo dalla precedente, vive per se stessa senz'altro rapporto e senz'altro termine di confronto che con se stessa. In sede estetica scompare .ogni dipendenza fra la realtà e la così detta finzione artistica, ricicli? la fin- zione oscura la realtà e vi si sostituisce cancellandola. Si tratta di due mondi diversi, divisi da un abisso, che nessuno può colmare senza distruggere l'incanto della poesia. » » Roumanille ci narra che le mani di Aubanel non sfiorarono mai i capelli di Jenny ; Mistral ci dice che l'amore di questi due giovani fu 1'« épanouissement d'une fleur idéal ». Nella « Melagrana », invece, intorno alla soave e delicata immagino, dell'amata, ritratta in un indimenticabile atteggiamento di malinconia e di dolore, freme non di rado il desiderio. Persino la parola acquista talora un tono violento e sensualo. Si direbbe che il poeta col suo caldo fantasticare abbia voluto nel sogno rifarsi del suo sacrificio e ripagarsi ad usura del tormento che gli ■era costata la sua vittoria sugli impeti del senso. Ecco Zani, sulla soglia del libro, piccola e bruna, inginocchiata e assorta nella preghiera, fra il verde dei campi, in cospetto della natura. Il poeta, pur assalito da sbigottimento e da timore, osa avvicinarlesi e sussurrarle : « la vostra parola è benedetta. Io voglio pregare come voi ». Alla dolcezza dei segreti e discreti abbandoni succede un profondo accoramento. Sorgono le parole con tenerezza, con soavità, velate di pianto. Affiorano melanconici i ricordi: « con la sua figura snella e il suo vestito di lana color di melagrana, colla sua fronte liscia e i suoi grandi e begli occhi, con i suoi lunghi capelli neri e il ano viso bruno, io la vedrò sempre, la giovine vergine ». Ma presto il poeta s'infiamma. La parola si scalda, l'immagine si fa turgida e vigorosa; e acuta la brama del possesso punge l'ardente onore: « vorrei beveria come un bicchiere d'acqua, vorrei divorarti coi baci... Oh, com'era dolce allora che ti stringevo l'esile vita! Al canto degli uccelli danzavamo entrambi e le raganelle e gli usignuoli dicevano la loro canzone ». Poi l'anima m ripiega sconsolata e di nuovo si concede stanca all'onda commossa dei ricordi. c Dacché siete tanto lontana, tanto lontana, laggiù ove la lingua che si parla non è più la nostra, non pensate alla Provenza? Non siete più qui, ma il cuore conserva il vostro ricordo ». Povera Zani ! Il poeta la invoca, ed ella non risponde : s Ho guardato a lungo le vele d'una nave lontana. Poi non ho più veduto che il solo e il suo splendore sull'acqua amara. Vicino al mare e alle sue grandi ondate ho corso come un disperato e per un intero giorno t'ho chiamata per nome ! ». In tale struggente tristezza, questa poesia è sana perchè è sincera, scevra di scorie retoriche, priva di allumacature letterarie. E' infinitamente lontana da quel¬ la dei trovatori medievali, ai cui versi l'Aubanel non ricorreva che per metterli, a modo d'epigrafe, in testa d'ogni suo componimento nel tLibro d'amore ». E ciò per una sottile raffinatezza, quasi per civetteria, e non già per ragione di intima affinità tra l'epigrafe e il componimento. L'Aubanel sdegna i giuochi delle rime, la sottigliezza, il preziosismo degli antichi trovatori. Ammira la misura e la cortesia cavalleresca, ma non vagheggia castellane pallide e bionde. Alla pazienza dei poeti medievali contrappone l'impazienza, figlia del desiderio, e, hingi dal circondare il suo amore di discrezione, grida liberamente la sua passione. Tutti questi neotrovatori, questi * Felibri » (o maestri, o dottori), non sono monotoni, uguali, convenzionali, come gli antichi. Le loro eroine sono semplici e caste; sono belle i come un giorno di sole e d'amore» e dolci « come una notte silenziosa ». E la loro passione si esprime con immagini calde e vivaci, talora leggiadre e talora rustiche e agresti, come in queste due superbe strofe della Melagrana: • Ah, la mia piaga è grande e 2 mio male profondo! Tutti i feriti d'amore dove, dove sono? Feriti d'amore, e non ne mancano certamente, entrate nel mio cuore; la porta è aperta. — Entrate nel mio cuore e guardate dentro. Non è vero ohe il mio male non ha l'uguale? Oh, non sarebbe stato meglio che un lupo, un lupo affamato, avesse sbranato il mio corpo? ». Tale sincerità è in tutta la poesia di Aubanel. Sia che il poeta canti le immensità dei cieli sereni o gli ulivi digradanti sui poggi, sia che celebri l'amicizia, la maternità, la puerizia, sia che inneggi all'amore trionfante o pianga sulle sue speranze cadute, Aubanel è sempre schietto o immediato: ardente e accorato, entusiasta e nostalgico, con una tinta di melanconia in tutta la sua poesia. Da questa sincerità attingono un grande decoro i suoi versi. E la sua poesia, anche quando descrive e precisa le bellezze del corpo femminile e celebra la plasticità delle forme, è sempre nobile e alta, poiché l'audacia in lui non arriva mai alia licenza. E' una poesia, insomma, che sorge trepida e ansiosa da un fondo comuno a tutti i mortali, dove batte il cuore dei cuori degli uomini, ed è, per questa ragione, universale, pur nella sua espressione dialettale a pochi familiare. E' universale, dico, d'una universalità di valore, non di fatto, la quale consiste nell'intrinseca sua bellezza, nella sua luminosità interiore e nella sua intima e suggestiva armonia, indipendentemente dalla sua diffusione nel mondo. GIULIO BERTONI.

Luoghi citati: Avignone, Catania, Provenza, Roma