Ai tempi di Sambuy

Ai tempi di Sambuy Ai tempi di Sambuy VI sono ancora a Torino dei vecchi nostalgici, un po' brontoloni, che sovente con un vago gesto di rimpianto si richiamano ai tempi del sindaco Sambuy. E nulln pare loro bello, nuila par loro nobile abbastanza, se pensano a queir epoca ormai lontana; forse oggi però gioiranno nella speranza che si riprenda una tradizione squisitamente torinese. E cosi sia! Poveri vecchil Hanno ragione : ai tempi del sindaco Ernesto di Sambuy, Torino cominciò davvero a diventare una grande città: si fece più Iella, più mpia, respirò con più vasti polmoni e con più vasti giardini e, senza rinunciare in nulla al suo carattere gelosamente cittadino, si affermò metropoli in un ordinato e disciplinato senso di operosità: oggi Torino è certo ancora assai più grande di allora, ma è certo meno... torinese! Nostalgie del passato, necessità fatali del pre&entel... E chi non lo ricorda, l'indimenticabile sindaco Sambuy, se ebbe la fortuna di vederlo? Quando, ad sempio, stretto nell'impeccabile taglio della redingote, col cilindro su! capo dalla taccia un noco magra a linee marcate, incorniciata nell'ampia barba, guidava daii'alto, con mano ferma ed inguantata, la quadriglia scalpitante... Di ritorno dalle corse? Sì dalle corse, da Mirnfiori, dove in gara j cavalli della sua bella scuderia avevano portato alla vittoria i colori della sua casacca. Oh, come ci prende talora la nostalgia dei bei ritorni d'un tempo! Quando non c'erano automobili, ma invece le pariglie e le quadriglie erano innumerevoli, quando le belle signore non avevano i capelli tagliati, quando gli ufficiali non erano in grigioverde, ed i gentiluomini amanti dello sport portavano ancora il cilindro e l'abito color gris-perle! E come accorr -va la borghesia ed il popolo a vedere i bei ritorni, il giro delle carrozze, e come l'un l'altra le donnette si indicavano gli equipaggi, susurrando qualche pettegolezzo bonario, come si usava allora! •— T vede cóla quadriqUat e— La pi bela d' tutet — Sfidò mi! A l'i cóla dV sindich Sambuy! Se teneva in pugno con tanta forza le redini dell'impaziente quadriglia, moderandone la generosa corsa secondo lo necessità del frequentatissimo giro, se si alzava perfino in piedi, tutti dominando coll'alta statura, e raccoglieva le briglie nel pugno sicurissimo, mentre 1 cavalli s'impennavano sbuffanti; doveva pur sapere guidare la città con mano ugualmente ferma, doveva pure essere il miglior primo cittadino torinese che si potesse allora trovare. E tale fu davvero con energia equi libra tissima, con volontà illuminata, con infinito amore per la sua città! La quale aveva bisogno, nella difficile ora. proprio di un uomo come lui. Erano i tempi delle primi crisi finanziarie che colpirono Torino, non abituata nella sua risparmiatrice onestà, ;ii perturbamenti delle sfrenate e rischiose speculazioni; erano l tempi in cui si esaltavano le nuove costruzioni risanatrici di Roma e Napoli; e Torino, colpita da molti dissesti e fallimenti, Invece più non osava allargare le ali nel suo volo di progresso. Eppuro il successo della esposizione del 1884 aveva messo nel eangue dei ■torinesi bògianen il fervore delle costruzioni grandiose, il desiderio delle vaste arterie pulsanti di vita, dei parchi amplissimi, dove i bimbi potessero giuocare nel sole e i pensionati passeggiare fino alla stanchezza. Ci voleva un uomo che avesse l'energia di imprimere un deciso movimento in avanti al progresso della città, che sapesse conservarle, col buon gusto innato del gentiluomo di razza, il suo carattere tradizionale, e riuscisse nello stesso tempo col prestigio della persona e del nome a far ricomparire i capitali che per il panico si erano prudentemente ritirati nell'ombra. Quell'uomo fa Ernesto di Sambuy, sotto il cui sindacato, a cominciare dal 1883, Torino diventò più bella e sovratutto più pnlita: i vecchi mi po' brontoloni, nostalgici, indicando oggi etm la mano già tremula gli asfalti di recente istituzione, osservano col salito lor tono Ul rimpianto: _ Meno lue** U Ore atom, me pi i*didef Ed ini ra&K& turino ragtom, poVAiè 11 nindaoo Sambuy girava personalmente le strade per esser sicuro ohe anche gli spazzini eseguissero intero il loro dovere. Ma come fare a tener pulita allora quella parte vecchissima della città compresa tra la via Santa Teresa e le piazze Castello è San Giovanni? In quel dedalo di stradette e di vicoli, tra innumeri catapecchie malfamate, dai cortili oscuri, dai balconcini di legno traballanti, non era possibile alcuna pulizia materiale; ci voleva piuttosto una energica pulizia morale, un risanamento totale che tutto spianasse al suolo per ricostruire su più vaste arterie un quartiere nuovissimo. Forse sa- rebbe andata cosi perduta qualche singolare pennellata di colore; forse sarebbe scomparsa qualche piccola corte dei miracoli; forse le carceri avrebbero dovuto accogliere qualche inquilino di più; ma in compenso di notte, nei pressi di piazza Castello e di via Garibaldi, i portafogli sarebbero stati più sicuri nelle tasche deioneste persone. Ed Ernesto di Sambuy ei fissò nella mente un suo programma edilizio e volle, fermamente volle, che il Municipio lo realizzasse. Più d'una volta battè i pugni con forza, ne.lla sala del Consiglio, per imporsi alle prime ideologie democratiche che chiamavano improduttive tutte le spese che non piacevano ai nuovi tribuni del popolo; più d'una volta trascinò coll'esempio i colleghi amministratori, già titubanti davanti al fantasma della rivoluzione sociale. Ma riuscì nel suo intento e vide aperte a.l pubblico le due diagonali di via Pietro ìficca e via Quattro Marzo. Si allargarono intanto anche via Genova, via Y.X Settembre, e tra via Nizza e il Valentino crebbe modernamente il quartiere di S. Salvano : mia nuova vita insomma per Torino, un più vasto respiro di modernità, che si affermò spe- cialmente nella sistemazione dei pubblici giardini, e del Valentino su tutti, arricchitosi di nuovi viali sino alla sponda susurrante del Po, dove si ergeva da pochi anni la poetica rievocazione medioevaie del Castello. Fu quella l'età d'oro degli architetti torinesi e durò anche quando il conte di S.'tmbuy non era più sindaco: il Riccio disegnò il progetto della Galleria Nazionale che nel 1889 congiunse via Roma con via XX Settembre, e l'anno appresso un nuovo parziale risanamento si ottenne coll'apertura della Galleria Umberto I, che mise in comunicazione la via Basilica con piazza Emanuele Filiberto. Intanto il conte Ceppi, il D'Andradc, il Cerosa etc. senza posa studiavano nuovi abbellimenti architettonici per Torino monumentale. A tutti col suo signorile buon gusto aveva dato lo spunto il sindaco di Sambuy, quello che presso il popolo era già diventato tradizionale per le sue innumerevoli fortunate iniziative, e degno della canzone fiorente su tutte le bocche come un'affettuosa benedizione. Ed il patrizio geniale non si stancava mai: alle otto del mattino entrava già nel suo ufficio per aver tempo di pensare a tutto, e di escogitare ancora qualcosa di nuovo, di bello, di utile per la città, che pulsava ormai di rinnovate fattive energie. Cose grandi e cose piccole, opeivj di bellezza ed opere di bontà! Si disseminavano per Torino gli asili d'infanzia e sorgeva la Federazione degli asili suburband; si istituivano le prime colonie alpine, gli asili pei lattanti, ed il ginnasio ricreativo Genero, su nella verde e sana collina Torino bella, Torino elegante, Torino buona: ecco il triplice sogno del sindaco e del benemerito cittadino Ernesto di Sambuy, un sogno che diventò in molte parti realtà. Egli era discendente di una illustre famiglia, amava la tradizione che gli avevano insegnato i suoi vecchi, ma sentiva tutte le necessità di un'e<ra moderna: in lui anzi cosi ge nialmente si compenetrarono il passato ed il presente, che Torino riuscì a ringiovanirsi quasi di colpo senza nulla perdere tuttavia del suo carattere onesto, raccolto, operoso. Fu il conte di Sambuy che dette il primo notevole impulso industriale alla nostra città, ma all'industria volle che fosse conservato il sigillo piemontese: e cosi non venne industrializzata' Torino, ma piuttosto piemonteslzzata l'industria... Ma gli anni passarono e passò anche il sindaco Sambuy: prima nel 1886 abbandonò il palazzo comunale per non piegare la sua autocrazia benefica alle torbide necessità democratiche; poi più tardi non si vide più nemmeno per le vie della città la sua alta, nobilissima figura. Scomparve, ma tutta la cittadinanza volle portargli un fiore di compianto : Torino aveva perso il suo vero sindaco, fi sindaco operoso, decorativo, elegante, nobile, forte, atto a comandare per il bene dei suoi amministrati, atto a rappresentare la città In una immagine di energica bellezza, pronto ad abbattere tutto quanto di brutto ancora sorgesse fra il Po e la Dora!... Sono passati ormai molti anni e la tradizione oggi si riprende. Torna il sindaco Sambuy col nome augurale di Podestà, col nome che simboleggia le fortune comunali di una lontana epoca di gloria Torna in un'ora italiana di forza, in cui tutto si può osare per la maggior fortuna della Patria grande e per la prosperità della Patria piccola che ci ha visto nascere nel più breve cerchio delle sue mura. La tradizione si riprende, ed i vecchi nostalgici, un po' brontoloni, possono atteggiare ormai i volti rugosi ad un'ombra di sorriso: tornano per Torino i tempi del conte di Sambuy! LUIGI COLLIMO.