La prerogative prigionia e il riscatto di Lord Rawlison

La prerogative prigionia e il riscatto di Lord RawlisonLa prerogative prigionia e il riscatto di Lord Rawlison Una scena da « Trovatore » nel carcere di Erzerurn: II canto de! Principe russo allucinato sul cadavere della bambina Ecco la seconda r ultima parie del racconto del buronetlo lord Alfredo Ilawlison, uno dei capi del Servizio d'informazioni dell'esercito inglese, sulla sua drammatica odissea nell'Oriente turco [vedi. La Stampa del 9 con:), cosi come e fi li l'ha rievocala nell'intervista concessa alla nostra collaboratrice Principessa Paola di vstheim Sassonia-Weimar. TI viaggio di ìo.-d Alfredo Rawlison, prtpionicro, da Erzerum a Trebisorida, si Iniziò no! pomeriggio del 28 marzo 1921. Un viaggiti pieno di peripezie; tra montagne inipevvie, con una «Ingioile d'inforno. Ma a Trebisomla, il .*> aprile, egli e i suol compagni trovarono la primavera e umane accoglienze: comodamente alloggiali in un fori» presso il mare, s'ebbero anche il perinesso di andare al bagno iurco... La fiducia di Rawlison nell'imminente liberazione non poteva essere confortata da circostanze migliori: era cosi fiducioso, ebe nnrtò dal barbiere a farsi tagliare la barba di un anno. Ma 11 1G aprile, in ijjtiol rivi sereno, scoppiò il fulmine: da Aligera era giunto l'ordine di rimandare il prigioniero nell'interno. E qui incomincia il capitolo p'ù interessante del racconto dei i' o illusilo amico. Un vapore italiano, ine generosi Mi dice: — Il tenente (turco addetto alla mia sorveglianza m'apprese con manifesto rammarico a triste notizia, che mi rigettavo nella disperazione. Rifacemmo la strada insieme fino al fon e, ed egli, esprimendomi il suo rincrescimento, mi disse ch'era disposto ad incaric;>r.si di far pervenire segretamente una mia otterà a Costantinopoli, qualora io avessi laggiù itegli nmici da avvertire. Si impegnava a Consegnar personalmente la missiva al coma-n. dante di uh vapore italiano ancorato in poro e che doveva partile la sera stessa. Di questa lo ringraziai commosso, e dopo aver ritirato dalla Banca Ottomana altre 1000 lire turche (circa 120 sterline al cambio di quel tempo) rientrammo al forte. Devo ai due generosi uomini clie dirigevano in quel tempo a Banca Ottomana la mia gratitudine, perchè, ben sapendo di arrischitare la vita fornendomi del danaro, non esitarono un momento a farlo. Inoltre si impegnarono a pagare qualunque assegno mio venisse loro presentato In seguito, a malgrado che un banchiere di Samsum, nelle loro stesse condizioni, avesse qualche temi» prima pagato con la vita la sua generosità. Non conoscevo allora 1 nomi di queste due persone, e se anche oggi li conoscessi non 11 farei, nel loro stesso Interesse, ma mi ripromisi appena, ibero di raccontare l'incidente alla sede di Costantinopoli e richiamare l'aMenzlone del Buporiori su questi due coraggiosi impiegati, cui mando ancora oggi l'espressione della mia sincera gratitudine. Abbandonammo Trebieonda alle 10,30 del 17 aprile, accompagnati da una scorta armata assai maggiore di quella del viaggio di andata; tra l'altro, ci seguiva anche uno Equadrone di gendarmi a cavallo. Pare si temesse che i greci i quali allora battevano in armi le montagne ed erano dn rivolta controI turchi, potessero favorire un nostro tentativo di fuga. Ma di queste presunte intensioni greche non vedemmo alcun1»*gtH* "tlutante tutto il viaggio. Giungendo a Gumush Khaneb dopo 10 ore Hi cammino, i miei uomini mi informarono Hi aver veduto all'Ingresso del paese alcuni soldati americani. L'ufficiale turco, il quae continuava a, dimostrarsi nervosissimo fece completamente sgombrare la locanda, dove fummo cacciati dentro a gran fretta. Hrinia di entrare però mi fu dato di scorgere, fra la genie che ci guardava, un americano, che mi salutò ad alta voce. Risposi a gesli, indicando clie mi era vietato parlare. In questo momento appunto fui spinto in gran fretta nella' locanda, di cui furono chiuse ermeticamente porte e finestre. L'ufficiale vegliò futla la nette per accertarsi che nessuna comunicazione ci veniva dagli americani. Appresi die essi facevano parte della equadra di soccorso americano e 6aX>evo che si erano mollo adoperati per allegare gli armeni affamati del distretti di Kars ed Erlvan. Seppi anche che erano costretti dai turchi a lasciare quei luoghi. E seppi che arrivando a Costantinopoli essi avevano provvisto a mandare notizie a casa mia. Fu l'unica volta che i miei seppero come io fossi ancora in vita, qualunque prigioniero.II resto del viaggio fu privo di incidenti noievoli, ma pessimo. Le marcie erano lunghe e i nostri guardiani di una crudeltà senza pati. Soffrivamo più spiritualmente che corporalmente. Il denaro nelle scarpe Così ritornammo ad Erzerum il 24 aprile. La neve era ancor alta e 11 vento sempre fceddo. Tornammo alla 60llta prigione dove ci furono assegnate le medesime celle. Esse erano completamente vuote, e i nostri carcerieri non ci vollero dare nè fuoco, nè oibo, né luce. Non dimenticherò mai la prima notti- passata nella prigione che poco tempo pri]),:, avevamo lasciato pensando di non dovi ila rivedere mal più e l'orribile sensazione di -oli nidi ne e di abbandono ohe mi oppres6f Fummo tosto visitati dall'ufficiale di guardia clic nel frattempo aveva preso il posto di Suili-a-din o con somma gioia ritrovammo in lui una pernotta di nostra conoscenza, di cui non riferisco il nome par prudenza. La sua amicizia ci fu subito di aiuto. Ottenni di far venire un po' di cibo dal ristorante e di tenere, almeno quella notte, 1 mici camerati nello mia cella in modo che fossimo uniti aiutano nella sofferenza. La mattina dopo, il comandante, incaricò un ufficiale di provvedere per le nostre compere in citta. Disponendo ora di maggior denaro acquistammo lampade, stufe, combustibile, arnesi da cucina, ecc., dedicandoci subito all'arredamento delie ncstre celle Fui opportunamente avvertito che con tutta probabilità ci avrebbero sequestrato il danaro e perciò petisai subito a metterlo al 6icuro. Popò aver molto riflettuto, decisi di dividere la nostra piccola fortuna in 9 parti. Le sei prime si componevano di piccole somme, altre due contenevano somme maggiori e l'ultima rappresentava la metà del nostro patrimonio. 1 miei soldati si erano fabbricate delle scarpe di feltro con suole di gomma, e le eusle erano fatte con vari 6tratl dt gomma ricavata dalle camere d'aria delle nostre automobili. Mi fu facile distaccare alcuni di questi 6trati e introdurre in ogni suola il pacchetto più piccolo. Disposi coti i primi sei pacchetti in modo da poterli facilmente ritirare amene nel caso che fossimo separati l'uno dall'altro. Quanto agli altri due pacchetti più importanti, che richiedevano un nascondiglio più sicuro, mi eervii delto nostre due fiaschette militari introducendo il danaro fra la bottiglia e il sottile strato di feltro che le ricopre, bagnando poi il feltro e premendolo perchè aderta* al vwo. Per l'ultimo pacchetto, l'importantissimo, ricorei alla mia valigia, li cuoio, a differenza della fodera e delle guarnizioni, aveva resistito a tutti i viaggi; e poi(M aveva 1* spessore di circa un quarto di pollice, mi fu facile, con un temperino, fenderlo e introdurvi il danaro. Quindi lo inumidii e lo pressai in modo che ogni traccia di manomissione scomparve, infine, calcolando su 1 lo limitate capacita intellettuali dei turchi, preparai un resoconto delle spese e delle citre da me incassate a Trebisonda, cifre di cui i turchi erano certamente al corrente. Per giustificare la sparizione del danaro creai una grossa spedizione di pellicole in Inghilterra, il cui ammontare corrispondeva «sanamente alla cifra nascosto, lasciando un residuo di circa 8fi lire turctie (iic tenni in tasca. Ciò fatto mi sentii tranquillo. Infatti, quando soprnggUine? il maggiore Aviti bey a perquisirci, non trovò nulla e por astuto che fosse mi fu facile persuaderlo che non potevo aver più denaro con me, fuor degli spiccioli, avendo pia speso tutto. Una lettera in ana sigaretta Noi frattempo il Pascià Km-rio era stato rimesso in libertà e nella sua cella era stato mosso il principe russo Tnmnrioff. Egli apparteneva ;i mia delle famiglio più aristocratiche della Hussia Imperiale e il saio destino, dopo molte e tragiche vicissitudini, lo aveva rondotlo alla prigione di Erzerum affamato e senza quattrini. Erano con lui la moglie e una bambina di due pjini La condizione dei principi era terribile: la principessa, donna collissima e raffinata, si era procacciata del lavoro di cucilo e faticava lutto il giorno per mettere insieme i pochi soldi necessari al sostentamento della bimba e del marito- Intanto la neve andava scomparendo e fu concesso tanto a noi che ai principi Tumanoff di scendere nel cortile, quando non era occupalo dagli armeni. Questo favore ci venne concesso sotto la personale responsabilità del Comandante delle carceri, a.l quale non mancarono poi l rimproveri del superiori. Nel frattempo mi era stato possibile provvedermi di un vocabolario francese-turno- Lo imparai a memoria. Ma questo studio non andò perduto, perchè mi po6e in condizione di comunicare con un ufficiale bulgaro confinato con gli ufficiali armeni. Il nnetro sistema di comunicazione era facile e interessante. Occorreva che lo mi sedessi dalla parte del cortile prospiciente la cucina: in quel posto molli prigionieri armeni, fra 1 quali il mio bulgaro, preparavano 11 rancio per gli ufficiali prigionieri. Uno dai miei soldati veniva allora a sedersi presso di me ed io gli leggevo ad aita voce alcune parole del vocabolario, mentre il bulgaro, a circa 10 metri CU distanza, parlava forte con un suo compagno. In realtà riuscivamo ad intenderci abbastanza comodamente, ed un giorno il bulgaro mi informò che sarebbe stato presto liberato e che era pronto a portare mie notizie a Costantinopoli qualora io avessi avuto la possibilità di fargli trovare impiego in quell'Ufficio informazioni. Risposi offrendogli una raccomandazione ed avvertendolo che avrei provveduto a lasciar cadere, d affla mìa finestra nel cortile, una sigaretta contenente una lettera. Ci mettemmo quindi d'accordo 6ul punto preciso in coi avrei dovuto gettarla, in modo che agiti potesse impadronirsene prima di chiunque altro. Scrissi la lettera, in dote lo Agosto, con caratteri minutissimi sa di un sottile foglio di carta che pel arrotolai fra li tabacco di una sigaretta- In questa missiva lo invocavo aiuto dal Comando inglese di Costantinopoli, ragguagliandolo sulla mia penosa situazione. Quella sera rimasi a lungo alla finestra a firmare, Cògliendo il momento in curi n» grosso di un ufficiale turco distraeva l'attenzione delle guardie e degli ufficiali armeni tanche di questi c'era poco da fidarsi 1) lasciai cadere la sigaretta... epistolare nel cortile. Eravamo rimasti d'accordo che, riuscendo a prenderla senza Incidenti, 11 bulgaro avrebbe fischiato alcune note dell'inno inglese. Potete immaginare la mia gioia quando, dopo qualche minuto, ci giunse 11 suono di quelle gloriose note. Avevamo ormai la certezza che stavolta la lettera sarebbe giunta a destinazione! L'atigmolo ratto che eanta la morte Ora II tempo si era fatto magnifico e stavamo nel corta* quanto più era possibile. Ne approfittai per fare uno schizzo deKTantica moschea che stava a uno dei lati del cortile. TI suo minareto, ancora più antico della costruzione, era incrostato di quelle maittoneBe azzurre che sono caratteristiche darle vecchie costruzioni in Mesopotamia. Le notti di agosto m quelle regioni sono meravlgiioso ed io passavo motta ore a guardare tra le inferriate, 1 monti lontani che noi hrme lunare apparivano assai più nitidi e scintillanti che di giorno, per l'assenza della nebbia che, sotto i raggi dei sole, si levo dalle paludi circostanti. In quelle notti gli armeni cantavano le vecchie nenie nazionali ta cid vibrava tm senso religioso, e nelle loro voci si sentiva una sconfinata malinconia. Dalle nostre finestre ascoltavamo, invincibilmente attratti dalla infinita tristezza di quel canto. Fu in queste notti che uno strano, angoscioso dramma si compi, tra la suggestione alata della musica, nella cella attigua alla mia, dove abitavano 1 Tumanoff. Il principe possedeva un violino che egli suonava deliziosamente e In certe occasioni il canto melanconico degli armeni si spegneva lentamente, quando nell'aria cominciavano a levarsi lente e dolci le cavate del violino russo. Tutta l'aria intorno tremava al'-ora delle angosciose note. SI :- esse narravano lo strazio dell'aristocratico allucinato, che languiva nella prigione tra la figlia e la moglie votate anch'osse alla fine. La sua anima di artista si esaltava. Suonando egli dimenticava certo ogni sofferenza per ascendere ne&a lirica vertigine delle, note. In quelle 6ere lo rimanevo lunghissime ore alla finestra perduto nei mici pensieri, fissando intensamente le cime del monti, e sopra di essi i diademi delle stelle. Dimenticavo anch'io le mie pene e il luogo in cui mi trovavo per galoppar lontano con la fantasia. Sogni di felicità e di noce mi riportapano perso la mia case lontana, finché la realtà, in tutta la sua crudezza, non veniva a svegliarmi. ... Ma una notte la tragedia si compi. L'usignuolo russo cantava sconsolatamente, nella sua buia cella, la sua miseria e il presentimento della sua fine, quando nel fremito cielc note passò come un supremo grido di disperazione. Che cos'era avvenuto! La piccina del principe, estenuata dagli stenti, moriva e Tumanoff, sotto il dominio della follia che ormai si eia imposse.-sata di lui, aveva accompagnato col suo vibrante, palpitante strumento gli ultimi rantoli della sua bimba, che portava con se tutti i ricordi, i 60gni, le glorie del suo passato. Anche la principessa poco dono morii Da allora i singhiozzi dell'usignuolo russo divennero sempre più lenti, sempre più fievoli, finché cosarono... Una mattina i soldati di guardia trovarono il principe morto nella sua cella. La sua mano scarna, nervosa, venata di azzurro araldico, stringeva ancora, come per cavarne l'ultima nota di spasimo, lo strumento che non vibrava più. £'« aoire » di George « il teledramma della moglie Finalmente, il 2 ottobre, Emìn bey venne ad annunciarmi che aveva ricevuto l'ordine di rimandarci verso la coita per il cambio del prigionieri. Dovevamo partire il giorno 5. I preparativi furono presto fatti e questa volta ottenni un nuovo tipo di veicolo, ignoto in Europa, coperto da una tenda, sotto la quale ci si può comodamente distendere. Con questo strano ecpiipaggio, seguito da quattro araba», iniziammo il viaggio. La neve aveva ricomincialo a cadere. Sul Passo del Khop fummo accompagnati da una doppia scorta di gendarmi per terna dot briganti che infestavano le montagne ed erano in continua guerriglia con lo pattuglie che davano loro la caccia. Giungemmo al misero ricovero di Khop Ranch, ai Piedi del Passo, in uno stato compassionevole, sfiniti, affamati e bagnati lino alle midolla. Ci fu data una cameretta per dormire e supplicammo l'uf.Iciale di procurarci qualcosa da mangiare. L'ufficiale tornò di 11 a poco, dicendo che non gli era stato possibile trovar nulla e che dovevamo rassegnarci ad attendere il cibo il giorno seguente, all'arrivo a Baiburt. In questa occasione 11 mio fedele cane George fece senlire la sua voce. Credo che effettivamente sbadigliasse; ma all'annun-ciò che per quella sera non avremmo potuto mangiare emise un Aowel molto espressivo, che fece ridere tutti, comprese, le guardi!' lurclie, e per un momento ti rallegrò I Anche sul Passo di Vavok si attendeva un attacco dei briganti, ma fu un falsò allarme. L'ultima notte del viaggio fu trascorsa a Jevislik, dove ebbi comunicazione telefonica del Comando militare di Trebisonda che il giorno dopo mi avrebbero mandato incóntro un'automobile. I miei compagni partirono la mattina presto, come al solito, ed io rimasi ad attendere l'auto. Essa giunse recando a bordo un sottotenente di marina, chiamato N'affi, che doveva occuparsi della mia persona. Devo dire che fu un compagno di viaggio assai piacevole e simpatico. Mi porse prima di tutto un telegramma di mia moglie, che diceva di essere a Brighton ad attendermi e in buona salute. Questa era la prima comunicazione che ricevevo da lei dopo il mio arresto, 30 mesi prima I A Trebisonda fummo ricevuti con simpatia dal comsindarite, che ci accompagnò nella casa di una vecchia signora greca, la vedova Cosvekis, presso la quale saremmo stati alloggiati insieme all'ufficiale che mi era venuto incontro a Jevisllk, e che aveva l'ordine di non abbandonarmi giorno e notte, mentre un sottufficiale si occupava dei miei compagni. L'affettuosa cioccolata il biglietto totto le snoia I nostri guardiani però stavolta furono gentilissimi e ci lasciarono fare i nostri comodi, limitandosi ad accompagnarci dappertutto, n sottotenente Naffl spinse la sua cortesia fino a dormire in un'altra stanza accanto olla mia, per lasciarmi maggiore liberta,. Nessuna cortesia poteva però superare quella della nostra ospite, che si prodigava per accontentarci in tutto, studiando ogni mezzo per renderci il soggiorno gradito. D'altronde l'ordine del Comando turco era quello di riconsegnarci nelle migliori condizioni di salute possibili. Molte volte, a letto, aprendo gli occhi, mi accorgevo della vecchia signora che, con una tazza di cioccolatte fumante, epiava il mio risveglio. Eravamo da una settimana a Trebisonda quando ci capitò un fatto interessante. Durante una breve assenza del mio amico sottotenente N'affi, fu annunciato ed introdotto un -ufficiale dea nostro Quartier Generale che mi porse subito alcuni giornali inglesi. Mi diede anche un biglietto, che doveva essere 6tato inchiodato alle suole di qualcuno perché ne portava ancora 1 segni. Quindi, in stìenzio, l'ufficiale rapidamente usci. Aprii la lettera e con grande gioia mi accorsi che veniva da Costantinopoli ed era firmata dal generale Harrington. Egli informava di aver ricevuto il biglietto mandato a mezzo della sigaretta e di essersi sostituito ai funzionari del Ministero degli Esteri' nelle pratiche per la nostra liberazione, intanto mi pregavo di aver pazienza e soprattutto di non intraprendere alcun tentativo di fuga assicurandomi che era in comunicazione con mio fratello che trova vasi in India, in perfetta salute. Dal biglietto appresi anche che il Generale era diventato Comandante in Capo a Costantinopoli e che mio fratello aveva assunto la stessa carica In India. Lacerai la lettera e andai ad informarne i miei compagni. II 31 ottobre, dopo 18 giorni di sosta a Trebisonda, ci fu detto che una nave da guerra inglese si era ancorata in porto quella mattina e che li Comandante della guarnigione ci ordinava di recarci subito col nostri bagagli al Quartier Generale. Un quarto d'ora dopo eravamo tutti pronti e in marcia verso il Quartiere. Avevo indossato la famosa giubba muova che avevo sempre serbato in attesa di questa fetlice occasione. Al Quartier Generale fui introdotto nell'ufficio del Comandante dove trovai ad attendermi il colonnello Baird, attaché militare inglese a Costantinopoli. « George > e le ani/ormi azzurre E' facile immaginare la mia emozione alla ,vista di un ufficiale inglese I Baird mi venne incontro e mi disse che era giunto sopra un • destroyer >,• 11 Somme, da Ineboli, dove erano stati condotti i prigionieri turchi di Malta. Questi ci attendevano ora a bordo, dove doveva aver luogo lo acambio. Aggiunse che 11 Comando di Trebisonda non aveva ancora ordini precisi per la nostra liberazione e che se le trattative non fossero giunte a buon termine, egli si rendeva garante del mio ritorno In prigionia. Non era quello che precisamente mi attendevo ma non potevo discutere ed accettai senz'antro la proposta. Strinsi la mano al Comandante e lo ringraziai anche a nome dei miei compagni per le cortesie usateci durante 11 nostro soggiorno a Trebisonda. Quindi ci avviammo tutti al molo. Una lancia a vapore ci attendeva. A bordo di essa marinai inglesi nella loro smagliante uniforme azzurra ci attendevano sorridendo, mentre la bandiera bianca, glorioso emblema della Marina inglese, sventolava Moramente a poppa. Eravamo tutti troppo commossi per poter parlare. Comprendemmo dagli sguardi e dalle attenzioni di cui fummo subito circondati che dovevamo avere un aspetto tutt'airo che florido. Esso era cosi differente da quello dei turchi tenuti in custodia dagli inglesi I Fummo presto istallati a bordo del ■ Somme • il cui nome era per noi pieno di ricordi, e tutti, dal primo all'ultimo dei marinai, ci circondarono di cure affettuose dandoci un saggio di quella caritatevole simpatia per le sofferenze altrui, che non va mai disgiunta da quel coraggio che è la caratteristica del marinai e specialmente dei marinai Inglesi. George mi guardava come per Interrogarmi sul vero essere di questi uomini in uniforme azzurra che egli non aveva mai visto e che certamente non dovevano essere turchi perchè troppo buoni ed affettuosi. Non potevo naturalmente dargli alcuna spiegazione, ma posso garantirvi che da quel giorno ogni qualvolta il mio cane vedo un'uniforme azzurra della marina, le va tranquillamente incontro, sicuro com'è di trovare Eotto di ostia un amico fidato e leale. PAOLA DI OSTHEIM.

Persone citate: Agosto, Baird, Harrington, Principessa Paola