L'odissea di lord Rawlison: l'arresto e la prigionia

L'odissea di lord Rawlison: l'arresto e la prigionia L'odissea di lord Rawlison: l'arresto e la prigionia La principessa Paola di Qsthcim. di Sassonia Weimar — già nota ai nostri lettori — offre a La Stampa questo romanzesco veridico racconto di uno dei più sensazionali episodi della politica di guerra nel vicino Oriente, episodio che concerne un'eminente personalità britannica-, lord Alfred Hawlison, Questa à la prima parte della drammatica vicenda, che la scrittrice apprese dalla viva voce del protagonista-, prossimamente pubblicheremo l'epilogo. Un amico, il Colonnello Baronetto Alfredo ttuwlison, C.M.G., C.B.F.. D.S.R. che tu durante la guerra, uno dei capi dell'» Intellif/ence Service ». una sera, a Parisi, pranzando con me all'Hotel Claridge, Cliamps Elvsées, mi raccontò lo straordinario episodio della sua prigionia In Oriente. Ricordo che il primo violinista dell'orchestra attratto dalla notorietà del Lord, s'era avvicinato alla nostra mensa, suonando per me la dolce romanza The Hosary. Forse la patetica voce •li questo violino rammentò a Lord Rawlison un'altra musica che per lunghe notti egli aveva udita singhiozzare nella cella accanto alla sua? Può darsi che da questa sollecitazione sentimentale abbia preso lo spunto l'eccezionale racconto che egli mi fece e che io sto per ripetere ai lettori della Stampa. Sir Alfred era il fratello del defunto Generale Lord Rawlison, già Comandante in Capo dede forze Inglesi in India e morto due anni or sono, ufficialmente di appendicite, ma in realtà avvelenato dagl'Indiani, che vedevano in lui il temibile riorganizzatore dell'esercito dà occupazione. Con quanta commossa venerazione, quella sera, il Baronetto Rawlison mi parlava di suo padT», il cui nome è indissolubilmente legato all'arte e alla scienza. Veramente i giorni in cui il vecchio Lord Rawlison riuscì dopo vent'anni di studi, a decifrare i caratteri cuneiformi, ed a leggere i libri composti di tavolette d'argilla, che erano contenuti nelle biblioteche del re Nabucodònosor, e da tremila a.nni dimenticati sotto la polvere nelle rovine di Ninive, possono senza esagerazione, paragonarsi a quelli in cui Cristoforo Colombo vide per 'a prima volta sorgere dal cupo azzurro del mari, le rive verdeggianti di un Continente sconosciuto 1 II grande mio compatriota scopri un mondo nuovo, una nuova Umanità. L'illustre scienziato inglese ha ritrovato un mondo antico, ed ha fatto rivivere un'Umanità scomparsa. Baionette nel corridoio! Ma venendo a raccontare la sua penosa odissea asiatica sir Alfred Rawlison mi ha detto : — Ero giunto ad Erzerum nel dicembre del 1920, ricevuto cordialissimamente dal Comandante della fortezza, generale Kiazd.ni Karabekir Pascià, al quale comunicai il desiderio di incontrarmi con Mustafà Kemal, momentaneamente in viaggio per Sivas. La compagnia di Kiazim Pascià mi era assai piacevole. Uomo estremamente intelligente, e assai tene informalo della situazione europea, egli sapeva spiegarmi benissimo la necessità, da parte del Turchi, di allearsi colla Russia soviètica in caso di torbidi colla Europa ed in modo speciale coir Inghilterra. Naturalmente ci auguravamo entrambi che ciò non avvenisse mail MI trovavo cosi ad Erzerum da circa tre mesi, in continuo ininterrotto contatto per mezzo del cipher wire col mio Stato Maggiore che risiedeva a Costantinopoli, quando, improvvisamente, il trasferimento del Governo turco da Costantinopoli ad Angora, l'occupazione della vecchia capitale da parte degli Alleati e l'arresto di Reuf Bey, il leader nazionalista turco, deportato a Malta, venne a gettare un, senso di malessere e d'incertezza nel mio animo. Frattanto, essendo finite le nostre provvigioni di conserve alimentari tanto io quanto i miei ufficiali, cominciavamo a risentire gli effetti dell'alimentazione turca, ed eravamo tutti più o meno, in pessime condizioni di salute. In quell'angolo sperduto, cosi separati dal mondo, il nostro solo e possibile passatempo era, di notte, la caccia alla volpe. Questi animali si trovano in gran numero nei dintorni di Erzerum, e poiché sulle distese di neve tutte laminose di chiaro lunare, le volpi spiccano nitidamente, è assai facile ucciderle. La loro pelliccia poi è molto utile per ripararsi dal freddo che in quelle regioni raggiunge rigori artici. « Ignorando assolutamente gli avvenimenti europei, la manina del Iti marzo, decisi di mandare una lettera a Costantinopoli, e, coll'autorizzazione e l'aiuto delle autorità turche, feci partire alcuni miei ufficiali e soldati colle slitte. Preparandomi frattanto a lasciare io stesso Erzerum, cominciai a riordinare le carte topografiche da me tracciate, e indicanti tutte le nuove vie di comunicazione costruite durante la guerra, ed altre preziose informazioni. Stavo proprio scrivendo una lettera alla mia famiglia informandola della mia partenza, quando udii improvvisamente risuonare pesanti e numerosi passi nel corridoio. Tosto il mio uscio si spalancò e apparve il colonnello Comandante della fortezza. La bandura in tasca Egli era seguito da numerosi ufficiali e da soldati, e i corridoi e l'atrio apparivano irti di baionette turche. Cercando di mante nere un contegno visibilmente calmo, invitai il Colonnello ad entrare ed offrendogli una tazza di caffè gli chiesi a quale ragione do vessi l'onore della sua visita. Egli, gradendo ad un tempo una seggiola ed il caffè, disse — Sono incaricato di esprimervi il dispiacere di Kiazim Pascià, di non poter presen tarsi di persona per comunicarvi quanto io verrò esponendovi: la necessità cioè di sorvegliare e proteggere la vostra vita contro possibili rappresaglie da parte della popolazione turca esasperata dall'arresto di Reuf Bey operata dagli Inglesi, vostri connazio nali. Appunto per calmai l'opinione pubblica, Kiazim Pascià v'invita a consegnare le armi e ad ammainare la bandiera inglese. Carole perentorie sotto una forma appa- Lalmevasrc rentempiue delicata I Come dirvi la mia emozione? Solamente un soldato può comprendere il dolore di dovere abbassare ima bandiera che da venti mesi, fra continui pericoli aveva sventolato sulla terra e sul maire 1 Uscito il colonnello, piegai accuratamente il drappo riponendolo nella tasca interna del mio pastrano, e prudentemente cominciai « distruggere tutte, le carte, tutti i documenti che mi erano costati tanti mesi di studio e di faticoso lavoro. Così ebbe principio la monotona e dolorosa odissea di malsimulata prigionia che durò venti mesi fra alternative di speranza e di disperazione Arrivando alla prigione a noi destinata mi accorsi con gioia che il fabbricato era stato in precedenza una caserma ed era in discrete condizioni. Era un caseggiato a due piani. La sua parie orientale era costituita da una antica Moschea, adibita ora a deposito militare. Fummo allogati al primo piano. I miei tre compagni In una sola 6tanza ed lo in un'altra. Entrambe erano a nord e il sole evitava di penetrarvi. l,e stanze, che tuttavia erano sufficientemente pulite, avevano alle finestre qualche avanzo di vetri. Fummo autorizzati a portare con noi quanto possedevamo: ai miei uomini furono date delle brande militari; mentre io riuscii ad avere il mio lettino da campo. Più tardi potemmo anche ottenere una stufa per ciascuna camera e qualche pezzo di legna da ardere, ciò che costituiva per noi una vitale necessità poiché la temperatura si manteneva costantemente sotto zero Al momento del nostro arrivo l'ufficiale incaricato della guardia era il luogotenente Salah-a-din. Egli occupava una stanza di fronte alla mia, e c'intendemmo assai presto. Gli fui 6ubito debitore di moliti favori a da parte mia cercavo di ricambiarlo insegnandogli l'inglese ch'egli desiderava molto imparare. Nello stesso corridoio, sul quale si affacciavano i nostri alloggi, in una stanza dal lato opposto era rinchiuso un Pascià kurdo che aveva 11 grado di generale nell'esercito turco e teneva con sè tre ufficiali della sua stessa tribù. Non mi riuscì mai tuttavia di rivolgere la parola ad alcuno di essi e quindi non riuscii a sapere la ragione dell'arresto del loro capo. Avevo però ragione di credere che fosse a causa della sua attitudine amichevole verso gli Alleati. Si' chiamava Hussein Pascià, della tribù di Zilanii di Aloshgird. Avevo sentito parlare di lui in precedenza, pur non avendolo mai personalmente conosciuto Un biglietto misterioso Trascorrevamo cosi la vita a guardare attraverso le sbarre, verso il Nord, le lontane montagne coperte di neve che ci rammentavano la libertà e la vita, quando, un giorno, il 20 febbraio capitò il primo « evento . della nostra vita di prigionieri. Uno dei miei uomini, ai ritorno dalla spesa quotidiana, mi portò un biglietto che, al modo orientale, gli era stato messo furtivamente fra le mani, al mercato. Nei leggerlo mi accorsi che era di una persona a me sconosciuta, probabilmente armena. 11 misterioso personaggio mi chiedeva di indicargli un mezzo per venirci in aiuto. la missiva mi procurò ore di ansiosa inquietudin-3. Temevo si trattasse di una manovra del turchi per coglierci in fallo e poterci coinvolgere in uno dei tanti complotti « armeni > che si scoprivano ogni giorno. Questo timore era anche più giustificato dal fatto che io — ignorando completamente gli avvenimenti europe- — avevo da qualche tempo la sensazione di una più intensa ostilità verso di noi da parte dei nostri aguzzini. Fu dunque soltanto dopo.molte ore di riflessione che mi decisi a rispondere con molta circospezione. In sostanza chiedevo al mio ignoto corrispondente di rivelarci egli 6tesso se aveva delle proposte da fare per la nostra salvezza. Quindi aitesi... La mia lettera era giunta a destinazione. Qualche giorno dopo ricevetti una nuova missiva, assai più particolareggiata. Mi era stata trasmessa dal mio caporale Ankers cui l'aveva affidata un turco che era apparso nel nostro corridoio in un modo che preferisco tacere per tema che il provvidenziale uomo possa essere ancor oggi identificato. La lettera recava una firma sconosciuta e mi chiedeva di indicare in termini espliciti che cosa si potesse fare per favorire la nostra fuga. Risposi subito dicendo che era necessario fornirsi anzitutto di cavalli alla spicciolata per non dare nell'occhio, come se si dovesse riunire una carovana. Quanto ai piani di fuga essi si sarebbero potuti prendere in considerazione soltanto quando la neve avesse resi praticabili i valichi del monti. Ad ogni modo ebbi questa prudenza: non rivelai la via che intendevo percorrere. La lettera che avevo ricevuta era interessantissima, anche perchè il mio ignoto corrispondente mi informava che il latore delia missiva era persona di assoluta fiducia e che aveva libero il passo alle prigioni in qualunque momento. L'informatore diceva anche che una delle sentinelle — in realtà un armeno — era dei nostri. « Potrete riconosctre questo soldato — continuava la lettera — da un pezzo di carta sporgente a meta da una delle tasche della giubba ». In quel tempo mi era permesso raggiungere di tanto in tanto i miei compagni nella loro cella, che era a due porte di distanza dalla mia. Ora una sentinella con baionetta innastata montava la guardia nel corridoio giorno e notte, vigilando tutti i miei movimenti. Dal giorno in cui avevo ricevuto la lettera, ogni volta che uscivo dalla mia stanza, mi capitava di vedere il soldato, con un pezzo di carta, che gli faceva capolino da una delle tasche, passeggiare con aria indifferente lungo il corridoio! Una angosciosa perquisizione Le cose erano a questo punto quando, nelle primo ore del pomeriggio del 26 febbraio, Ankers mi portò una nuova lettera dell'in visibile amico. In essa mi si assicurava che si stava già trattando per l'acquisto di cavalli, e che 11 nostro protettore aveva stabilito il suo quartier generale al di là della pianura, a 10 miglia di distanza dal luogo dove noi eravamo. , La lettera proseguiva, narrando come, la fa¬ miglia del mio benefattore fosse stata massacrata dai turchi e che egli stesso non ad altro aspirava che a «bere il loro sanguei attirando nel loro paese 1 bolscevichi. Queste dichiarazioni" mi impressionarono molto, soprabito perchè mi pareva imperdonabile imprudenza affidare ad una lettera propositi cosi compromettenti. Ero dunque immerso nella lettura del pericoloso foglio, davanti alla finestra della mia cella, quando la porta venne spalancata con veemenza ed entrò il comandante in seconda della fortezza, maggiore Avni-bey, accompagnato da altri tre ufficiali. Nel tempo stesso un picchetto di almeno venticinque uomini con baionetta Innastata si disponeva nel corridoio, davanti alla porta aporta. MI voltai e durante questo movimento riuscii a introdurre — senza essere visto — la pericolosa lettera nel taschino dei calzoni. Naturalmente, ebbi la sensazione di aver introdotto in tasca non un foglio di carta, ma un pezzo di carbone accesol Ad ositi modo, con la maggiore freddezza e indifferenza, salutai il maggiore e gli ufficiali, chiedendo a quale causa fosse dovuto il piacere della loro inaspettata visita. Il maggiore rispose che aveva ricevuto informazioni da Angora di un telegramma da me spedito a Londra (?) e che era causa, per il Governo turco, di infinite noie. C'erano quindi ordini precisi, perchè mi venissero tolte tutte le carte e i libri, col divieto assoluto di procurarmi oggetti di scrittura per l'avvenire. In più c'era un ordine di perquisire la mia cella e la mia persona. E' facile immaginare, in queste circostanze, il mio turbamento. 11 carbone ardente nella tasca dei pantaloni, era diventato di fiamma! Comunque, cercai di conservart il più perfetto sangue freddo, la sola cosa che potesse aiutarmi ad uscire da una situazione co6ì pericolosa. Le medaglie provvidenziali Mentre gli ufficiali si occupavano di rovistare fra le carte del mio scrittoio, mi andavo scervellando per trovare il mezzo di eludere li sorveglianza di tutti quegli occhi che non mi lasciavano un solo momento. La mia vita, quella dei miei uomini e in special modo quella del mio ignoto amico, assetato di sangue turco » che mi attendeva oltre la pianura dipendevano dalla mia abilità. Decisi quindi di mettere a prova la mia intelligenza e la mia abilità. Cominciai a mostrare agii ufficiali tutti i miei documenti, i mioi libri, il mio diario e a illustrare loro ogni cosa con larghezza di particolari. Ciò fatto passai al mio baule, che conteneva quel pochissimo che mi era rimasto in fatto di abbigliamento, chiedendo 6e essi desideravano esaminar tutto minutamente. Risposta affermativa. Allora mi accinsi ad aprire il baule, e per compiere l'operazione, sedetti su una vecchia sedia dall'imbottitura lacerata. Questo particolare da me percepito, ebbe, come vedrete, il suo effetto. Seduto cosi, di fianco alla porta da cui anche ciwruanta occhi di soldati mi fissavano Intensamente, cominciai a togliere fuori, dal baule, pezzo per pezzo, tutto il contentilo di esso, mostrando gli oggetti prima al maggiore, e facendoli passare poi, uno per uno, nelle mani degli ufficiali e deponendoli infine iper terra. Arrivammo cosi alla mia nuova giubba, che avevo sempre gelosamente ouslo dita nella speranza della mia eventuale liberazione, come avevo ben calcolato, l'attenzione di tutti fu attratta da questo indumento e fui richiesto di spiegazioni sui gradi e sul distillivi turchini e rossi che l'adornavano. Diedi tutti i chiarimenti richiesti con una larghezza di particolari degna di un cicerone. L'interesse degli ufficiali crebbe quando passammo alle medaglie che adornavano la giubba. E dovetti fare la storia di ognuna. In questo momento colsi l'attimo drammatico ! Quando fui ben certo che l'attenzione di tutti era rivolta alle medaglie, ne approfittai per trarre di tasca la lettera infilandola sutrito nella sdrucitura della vecchia sedia, proprio sotto le molle La manovra fu compiuta senza destare sospetti. Ne pro'ai un profondo senso di sollievo I Ero certo, raramente, che la sedia sarebbe stata a sua volta minutamente esaminala, ma sentivo di aver compiuto felicemente la parte più ditti-1 Cile del mio programma e confidavo di riu- ' scire fino alla fine. Prima che l'esame del mio baule fosse compiuto trovai il mezzo di sedermi per terra con la scusa di mostrare meglio quanto si trovava ne! fondo del mobile. Ingannati dagli speroni d'argento Terminata anche questa perquisizione, chiesi al maggiore se avsva ordine di perquisire anche la mia persona. La risposta fu affermati"a. Cominciai quindi senz'altro a spogliarmi, consegnando a volta a volta al maggiore ciascun indumento da esaminare. Rimasi cosi ricoperto soltanto dal corpetto di lana. Appena tutti i miei indumenti furono minuziosamente esaminati ricominciai a vestirmi. Ma sedetti, per farlo, sulla preziosa sedia. Appena mi fui rimessi i panni offersi da esaminare la mia valigetta. Avevo calcolato sulla presenza dei miei speroni argentati, oggetti perfettamente sconosciuti in Anatolia, e che avevano varie particolarità interessanti per degli ufficiali:, per esemplo, in luogo d cinghie, gli speroni erano fomiti di catenelle d'argento: inoltre erano del tipo che noi chiamiamo comunemente « cieco » perchi sforniti di ruotelle a "unte. Non mi ero ingannato contando sulla curiosità dei turchi. Fui tosto assalito di domande e dovetti fornire ampie spiegazioni. Dopo aver porto gli speroni al Maggiore perchè li esaminasse da vicino, e mentre gii ufficiali si raggruppavano intorno a lui per vedere, approfittai ancora una volta della distrazione generale e tolto il foglio di carta dal suo nascondiglio lo rimisi lentamente nel taschino dei calzoni, riprendendo subito la mia abituale serenità. Soltanto allora gli ufficiali passarono ad esaminare la povera sedia. Essa fu oggetto delle più minute ricerche, il che aggravò in modo irrimediabile 11 suo 6tato miserando. Ma ormai era troppo tardi! Povera sedia! Pur cosi misera essa mi aveva reso un servizio quale non avrei potuto attendermi da cinquanta sedie nuove ed inviolate! Appena gli ufficiali si furono allontanati, seguiti dal picchetto armato, limsesvvSctmbismycezgdapivsfucdadA 1 ' i miei compagni si precipitarono nella mia stanza in grande apprensione. Sapevano che ero in possesso della lettera, pur non conoscendomi iil contenuto pericoloso, e si rendevano perfettamente conto che non avevo avuto nè il tempo nè il mezzo di distruggerla. Stentarono a credere come, con un po' di calma, fossi riuscito ad aver ragiona di tante minute investigazioni! Le domande di Kiazim Senonchè la perdita dei miei libri e delle mie carte mi apparve veramente Irrepara bile. Essi erano la mia unica compagnia nel scsvslrlnmpccia solitudine della mia cella. Tutto mt era rstato tolto, anche la riga millimetrata di cui | umi servivo per i disegni di un modello di yacht che andavo preparando. Grazie alla cortese intromissione di Salah-a-din, modello e disegni mi erano rimasti, e cominciai pazientemente la costruzione di una nuova riga prendendo le dimensioni di scala dal modello stesso. Mi proposi anche di cominciare a costruire un modello di casa che avrebbe potuto riuscirmi util'a in seguilo. Salah-a-din, in questa occasione, mi mostrò ancora una volta la sua amicizia. Mi fece frequenti visite e ini portò anche dei libri di letteratura francese e russa, che, p^r quanto pochi e di un interesse relativo, mi furono di grande conforto. Salah-a-din mi informava inoltre di quel poco che riusciva a sapere circa gli avvenimenti jniropei, e mi avvertì che esistevano trattative fra gli Alleali e 11 Consiglio di Angora per il cambio di alcuni Pascià prigionieri a Malta, con le nostre persone. A confermare questa notizia incoraggiante venuta la visita di Kiazim pascià, Capo di Stato Maggiore, mandato, pare, dal Consiglio di Angora a informarsi circa le mie impressioni sul movimento nazionalista e sulle relazioni dei turchi coi kurdi e coi ru6si. Il mio visitatore sembrava voler particolarmente. sapere fino a che punto fossi a conoscenza dei fatti, evidentemente per formarsi un concetto di quello che avrei potuto rivelare in Inghilterra nell'eventualità della mia liberazione. Avevo già avuto, prima del nostro trasferimento alla prigione, visite di questo genere e ne ';bbi molte dopo, ma ogni volta cercai di ascoltare attentamente quanto mi si diceva, mantenendo il massimo riserbo sii quanto pensonalmente sapevo e limitandomi a parlare di progetti e di probabilità basati su fatti avvenuti prima del mio arresto e affermando sempre che da quel momento non mi 'jra stato possibile avere nessun'altra comunicazione circa gli eventi europei. E in realtà sapevo ben poco. Appresi soltanto che Reuf Bey era ancora nostro prigioniero a Malta e ch',i i turchi desideravano ardentemente la sua liberazione valutando la sua persona assai più di tutti I loro prigionieri messi insieme. La mattina del 2-t Marzo ebbi la visita di Emin Bey, comandante il Distretto e la Fortezza, il quale mi informò che sarei stato mandato a Trebisnnda In cambio di alcuni prigionieri turchi internati a Malta. Fra questi era Reuf Bey. grande amico di Mustafà Kemal e capo del partito nazionalista al parlamento. Liberazione? Questa lieta notizia mi cagionò una potente emozione, e ci vollero parecchi minuti prima che potessi articolar parola. Appena fui in grado di parlare, chiesi come intendevano farci viaggiare. La neve era assai alta, e marzo e aprile — fra fitti i mesi dell'anno — sono i peggiori, perchè il sole comincia allora a farsi più caldo e scioglie le nevi alla superficie in modo da rendere rmpossibile l'u60 delle slitte, tranne che negli alti passi di montagna, e al tempo stesso causando valanghe, 6traripamenti ed altri incidenti frequenti nelle montagne. Seppi che saremmo stati affidati alla scorta di un ufficiale e sei soldati che ci avrebbero accompagnati per tutto il viaggio. Due arabas (osila di carretti indigeni) sarebbero stati messi a nostra disposizione per il viaggio che avrebbe avuto la durata di circa 10 giorni. Guardie supplementari ci sarebbero 6tate accordate qualora le strade pericolose lo avesserò reso necessario. Date queste spiega zioni, il Governatore mi lasciò avvertendomi che dovevamo metterci in cammino fra quattro giorni e precisamente il 28 marzo. Appena solo, pensai di dare la notizia ai compagni e mi precipitai nella loro camera. 11 mio viso portava tali traccle di emozione e gli occhi mi scintillavano di tanta gioia che non mi fu necessario parlare per farmi intendere. Tacemmo tutti per qualche istante, strozzati dall'emozione, poi cominciammo discutere dei preparativi per il viaggio che si presentava lungo e faticoso. Le due arabas accordateci non erano certo sufficienti a portare il carico di uomini e il foraggio per i muli di cui dovevamo portare una quantità bastevole per tutto il viaggio, dato che difficilmente ne avremmo trovato durante il tragitto. Esponemmo al bravo Salah-a-din '.e nostre preoccupazioni per il lunghissimo viaggio e per lo stato di debolezza in cui ci trovavamo e che non ci permetteva di com piere 200 miglia di marcia. Egli ci consigliò di rivolgerci direttamente al • Arabaji » (bi rocciaio della città e chiedergli di concederci un qualunque mezzo di trasporto. Per il pagamento avremmo potuto provvedere al nostro arrivo a Trebisonda. Salah-a-din medesimo si recò dal biroeciaio e ce lo condusse poco dopo con un sorriso di trionfo. Il biroeciaio ci avrebbe infatti noleggiato un veicolo che egli chiamava col pomposo nome di « Victoria ■ e un grande carretto a quattro cavalli per il prezzo di 150 lire turche (circa 17 sterline) che io mi impegnavo di pagare il giorno stesso del mio arrivo. Definito il contratto, ci sentimmo più tranquilli e sereni. Salah-a-din ci condusse anche l'ufficiale che doveva scortarci: 11 tenente Hairie, uno dei più simpatici turchi che io abbia mai conosciuto e che ancora oggi vedrei col più gran piacere. Il tenente Hairie acconsenti subito all'aggiunta delle nuove carrozze e fu stabilito che egli avrebbe viaggiato con me nella • Victoria », e i miei uomini col loro bagagli nella grande « arabas » a quattro cavalli, dadadcdMCddsdcrltucumsnpmlmbqpessPAOLA DI OSTHEIM, ! 1