Nuova critica manzoniana

Nuova critica manzoniana Nuova critica manzoniana Il Citami», ir un suo recente Bui Manzoni, tocca il punto as«ai saggio | leticato gnel quale, per progressivo afiìn-.ineul-o, è j dpervenuta, negli ultimi anni, la critica l sdel Manzoni, notando, enea le conclusioni I qche si potrebbero trarre dal libro dei Bii setto: i Ma, se è cosi, bisogna avere il coraggio di allermare esplicitamente che i Promessi spost sono un'opera perfetta, ma non di poesia, una grande opera di persuasione, un meraviglioso strumento di propaganda, foggiaio col fuoco di un profe-n- rdndo e sincero idealo morale-religióso, un ope.- i nra di oratoria nel senso più alto e nobile della parola ». Sembra per altro elio questo coraggio al CStanna sia mancato, almeno nella misura necessaria, ma che, insieme, egli non abbia avuto l'altro opposto coraggio di rias6erire che i Promessi sposi sono un'opera di pura poesia Egli, infatti, non dice propriamente che siano questo, ma che sono un « libro d'aite ». Nessuno forse più di me si rende conto iIpslcnacsctdei motivi, e anri delle ragioni, di questa j ztitubanza, perche i concetti della critica | esevera sono ardui, n le sue parole e le sue negazioni esposte perciò al rischio di venire tirate a senso volgare, alieno da quello che il critico ha in mente. Accade come quando 3Ì ode un medico chiamare una malattia col suo proprio nome, che induce a trepidazione l'ignorante di medicina, il quale sospetta in quel no.ne peggio di quel che in realtà vi sia, perchè nell'uso comune esso contiene quel peggio. Il Citanna ha dovuto temere, come ho temuto talvolta anch'io, che le nostre parole potessero lasciar credere che si voglia sminuire il capolavoro di Alessandro Manzoni. Quando si dice dal critico che il carattere di un'opera è oratorio c non poetico, non si vuol già dire che quell'opera non nndcepossa essere bellissima, e nemmeno che non;possa essere piena di poesia, ma solo che | l'intonazione generale di essa risponde a I un proposito etico o politico o altro che sia, onde la poesia vi è come asservita o I frenata. Neppure c'è diffi-oltò a chiamare ! quell'opera loper* d'arte», perchè se in i un uso filosofico (prevalso col romanti- ! cismo) poesia e arte sono sinonimi, in un altro uso, non meno documentato e legittimo, questi due termini vengono dislinti appunto per distinguere le opere puramente o prevalentemoute poetiche da quelle variamente oratorie. Sono avvertenze che feci altra volta e che mi par necessario ri- j chiamare. Si possono leggero nei miei À'uo- I vi saggi di estetica (a yp. 309-OÌ3 della |seconda edizione) Il curioso è poi, che il motivo che ha condotto me a dare risalto al carattere poetico dell'aidcle/t', e por converso a quello oratorio dell'opera posteriore, dei Promessi spost, è nient'altro che l'esigenza di togliere jogni appicco alio arbitrano'accuse, mo.se!più volte al Manzoni, di difetti e debolezze, affatto inesistenti, a mio avviso, nel suo mirabile romanzo. Le quali accuse si generano dal preconcetto che 1 assunto di quel romanzo sia poetico al modo di un dramma shakespeariano; donde, poiché il fatto non risponde all'idea, la conclusione che si trovino in osso commisti personaggi concreti e personaggi astratti, parti poetiche e parti prosaiche, cioè la maniera di critica tenuta verso di esso dal De Sauctis, che è quella che, pur fra tante nuove e fini osservazioni, si riallaccia qua e là nelle pagine dej Citanna. Che se al De Sanctis, come ad altri critici di provenienza romantica, stava in mente, modello al quale sempre si riferivano, lo Shakespeare (e più tardi, per i noti legami tra rcmanlicis-.no e verismo, perfino l'arte veristica), al Citanna vengono in mente o il Goethe del Faust e il Toistoi. Da mia parte, confesso che non sono riuecito mai a sentire nei Promessi sposi le ! ineguaglianze e le debolezze e le aridezze, j delle quali dà loro taccia quella maniera : di critica ; e anzi vi ammiro una singolare fusione di toni e una continua e non turbata armonia. Nego che.Don Abbondio sia ] < concreto », e padre Cristoforo o Lucia o l'Innominato siano « astratti »; e vedo invece che il metoJo, con cui Don Abbondio è costruito, è proprio lo Btesso con cui sono costruiti Lucia e Padre Cristoforo e l'Innominato (si rammenti il detto francese: Qui {alt l'ange, jait la bète). TI Citanna paragona la scena della disperazione e del tentato suicidio dell'Innominato con quella corrispondente del Faust, la figura di Lucia con la figura di Natascia di Guerra e. pace; e, a quella luce, le scene e le figure manzoniane gli si scoloriscono e impallidiscono. Sia lo stesso poco amichevole servigio potrei rendere io a Don Abbondio, se mi facessi a paragonarlo col Falstaff shakespeariano o con Sancho Panza o col famulu» Wagner, perchè queste sono creature di piena umanità, a volte commoventi e compungenti a tenerezza e pietà, e Don Abbondio è un personaggio satiricamente concepito e rappresentato. E direi cose esatte, come di esattissime ne ha dette il Citanna nei suoi paragoni, e tuttavia ingiuste, come non del tutto giuste sono quelle che egli ha dotte: ingiustizia che è nella istituzione stessa del paragone, quando, come in questo caso, sia indirizzato a un giudizio di valorose non già semplicemente- a far sentire la differenza tra due toni di arte. Perciò mi guardo dall'istituirlo in quel modo, per rispetto verso Don Abbondio e verse la verità; e così vorrei che altri si guardasse dagli altri. Don Abbondio è stupendo considerato in se stesso, ossia nell'intonazione del romanzo a cui appartiene ; e in qu-lla intonazione padre Cristoforo, l'Innominato e Lucia sono quali dovevano essere, i correlativi di Don Abbondio. E, '-erto, il Ci- | tamia ha buon giuoco nel contrastare il giudizio dell'Angelini, eh': mette VAddio di Lucia accanto, nientemeno, ai poetici» simi cori dell'Adelchi. Egli riconosce che quell'aiddio è * un magnifico brano di clo¬ riuenza. e delia poesia ha soiianto l'alone di cui alla vera eloquenza ci concesso ornarsi », e dice giustamente che i se « si vo¬ ptvl non hanno trovato l'essenzialità d^ll'e i.„. r.;..ri;,..,-ln ,Mi .(.„,,„.. ,i„; „„.: I°esse giudicarlo alla stregua dei con del- I Adelchi, «bisognerebbe parlare di una | cpagina di poesia non raggiunta, vale a diro ; Vseniimenli del poeta i «! firuna pagina ili cui sprcssione artistica ». li quel « so » non par lecito neppure a hi:. .Ma, so ciò non è le- I 6cito, non è forse da diro «oppure °h*jl\tManzoni » sente la protond nasce dalle cose stesse t. ma a sentirla con l'animo di Lucia, e, staccato com'è dal suo personaggio^ cauta per conto suo all'improvviso senza neppur avvertircene, e aggiungendo solo in ultimo quel prosaico passaggio: — Di lai genere se non tali appunto... ». La verità e, che il Man- z°ni, in quel luogo, non » canta », ma esprime in modo discorsivo i sentimenti che nascono nell'atto del distacco dal luogo natio, e che quelle parole ultime non stridono perchè prosa ielle, ma sono il naturale complemento della sene di pensieri da lui esposti. Perfino i tocchi precedenti: «Non tirava un alito di vento ecc.», di cui il Citanna sento la bellezza, sono dominati dal tono discorsivo, e danno luogo solo a quell'n alone di poesia », del quale erli ha opportunamente parlato. E il Manzoni doveva concepirò e scrivere quel brano a quel modo, e in esso non è alcuna manchevolezza. Forse a ben lumeggiare il tono del Manzoni converrebbe riportarsi meglio che non si sia fatto finora ad alcune sue « fonti letterarie »; e intendo questa volta per fonti poesia eie vnon riesce ] cvvI q! cpcc;'' rapporti con artisti coi quali egli aveva | reale affinità e di cui ha perciò ripigliato I i modi. Non parlo di Walter Scott, del quale il Manzoni adottò i procedimenti o I si sovvenno in alcuni luoghi, perchè quelle ! imitazioni di procedimenti e di singoli luoi g«i non concernono l'essenziale dello spirito ! manzoniano; ma bena alludo al Voltaire, che indicai, accanto ai grandi scrittori cristiani frameesi de! seicento, come una dello « affinità » del suo ingegno e del suo stile. Rileggendo le storie e i romanzi del Voltaire, si sento l'origine di taluni atteggiamenti mentali del Manzoni: talvolta, si j trova penino qualche riscontro, che si di I rebbe d'imitazione o di reminiscenza. Per |«s., il cap. XVI détt'Ingénn, che ha per ti- jtolc: » Èlle consulle un jesuite », cioè il padre Tout-à-tous, alla quale la giovane Saint-Yves ora stata indirizzata come a uomo di pratica e man»rri, ottimo per consigli, nel frangente in cui ella si trova tra a perdita dello sposo e la minaccia al suo !0»0"- Come « s™tee quel consulto ? ! anche la relazione dei due nomignoli) ; e al I j Manzoni questo luogo del romanzo vnlu-r- j : ] cedimenti che usavano contro i giansenisti. Ma, pur lasciando da parto coleste remi nisceuze di particolari, ciò che colpisce, nel rileggere lo storio e i romanzi del Voltaire, è l'aria spesso tanto simile a quella del Manzoni, narratore e giudice e satirico di fatti storici e di cose morali. Sono deliziosi, quei romanzi del Voltaire, quantunque per "l'appunto opere di satira, di didascalica, d'invettiva: opere « oratorie », insomma. E anche in essi affiora talvolta la poesia: nel modo in cui può affiorare, data la loro intonazione. Ricordate, per esempio, Zadig, che, scampando con la fuga dalla insidia di morte e lasciando la regina Astarté da lui amata, viaggia verso l'Egitto? Non npiicnn la bel!.' e desolala Saint-Yves fu con il -no buon confessore, «Il confido che un uomo potcMl.- e voluti'toso le ave^a proposto di fare uscir di prigione, chiedendo "n irran premio a questo suo servizio, colui ch'ella Uowva legittimamente sposare; ch'ella sentivi, per tale Infedeltà un'orribile repugnanza, c che, se non si fosso trattato che della sua vita, l'avrebbe sacrificala piuttosto che soccombere. — Ecco un abboniìnevote peccatore — le illeso padre Tout-a-tous —. Voi dovreste dirmi 11 nome di questo malcreato: 0 seri?? d'ihhlo un giansenista; lo lo denuncerò a sua Reverenza il padre de La Chiuse, che lo farà rinchiudere nella cella ov'ò ora la cara persona che dovete sposa re. La povera ragazza, dojm unno Imbarazzo e grandi titubanze, fece alla fine il nome dt Salnt-Potiaune. — Il Mgnore di Salrit-Poitange! — esclamò il gesuita —. Ah! figlia mia, - tutt'altra cosa; ^gll è cugino del più itra.ii ministro che noi si abbia mai avuto, dahben uomo, protettore della buona causa, buon cristiano; egli non può aver avuto un pensiero slmile; certamente avete capi:.} male... E', a un dipresso, l'andamento del consulto di Renzo con un altro padre Tout-àtous, col dottore Azzeccagarbugli (notare o n l : l , e i e a o - i nano dove piacere, non solo pei suo garbo | artistico, ina anche per quella satira dei sen- titnenti che i gesuiti nutrivano e dei prò- I • • ' e*(- Z.-itìis orientava 11 suo cammino sulle stelle. La .ostellazione d'Orione od II brillante aslro di Strio lo guidavano verso il polo .li Canopo. Eell ammirava nuè&tl vasti ulol-l .11 luce che paiono nuvoli scintille al nostri oixbl. mentre la terra, che non e eticiuvanieiile «Ile. un Impercettibile punto nella natura, sembra alla noura cupldnria qualcosa di cosi grande e nobile. Egli vedeva allora gli uomini 'inali essi sono In realtà, Insetti che si divorano gli uni Bli altri su di un piccalo atomo di fango. Questa immagino vera pareva cancellasso le sue disgrazie, poncndogll ?otto gli occhi II nulla della sua esistenza, e audio di Babilonia. La stia anima si slanciava nell'Infinito, e contemplava, staccata .tal Sensi, l'ordine Immutabile dell universo. Ma quando poi, ritornalo in sè stesso, In cuor suo pensava che \>taru- era forse morta per lui, l'universo spariva, ed egli non vedeva nell'intera natura che Astarte morente e. Zadig Infelice... Quel che nel Voltaire erano stille di poesia, nel Manzoni era un finire di onde, soesso impetuose, ch'egli restrinse e costrinse e compose nel calmo lago del suo romanzo, sul quale scorse con la vela e il remo della sua sagace critica morale, della sua nobile esortazione etico-religiosa. BENEDETTO, CROCE.

Luoghi citati: Babilonia, Egitto