L'Aspide d'oro

L'Aspide d'oro L'Aspide d'oro Posò la penna e ai abbandonò sul dono della poltrona. Aveva lavorato tutta la vite, ed ecco finalmente terminata la sua opera poderosa. Tempo addietro, quando pensava a questo momento, se lo immaginava fra i più festosi, ed ora che era giunto, gli appariva sbiadito e monotono. L'orologio continuava il suo ticchettìo là in fondo alla parete, la lampada dello scrittoio fumava un poco, come aveva sempre fumato; nulla di speciale era accaduto, ed egli aveva terminato il decimo volume della t Decadenza dell'Egitto ». Sul suo volto incartapecorito le rughe incavate presero a muoversi stranamente, una specie di sorrìso voleva salire di laggiù, dal profondo dell'anima, e la bocca non ubbidiva... si sforzava, quasi in una contrazione, ma, ahimè, aveva dimenticato il sorriso già da tanto tempo ! Era un giovanotto quando aveva stipulato un contratto colla Scienza per raggiungere la celebrità. Da allora aveva lavorato con tenacia, con profondo entusiasmo. Aveva percorso le rovine della grande, silenziosa valle del Nilo, aveva rovistato 1 sepolcri nelle roccie di Tebe, aveva forzato l'enisraa, muto da millennii, delle tavole giudiziarie di Abide e ne aveva svelato il mistero ; aveva decifrato le iscrizioni sulle mura dei templi e sugli obelischi ; e aveva studiato sulle compatte ruine di granito, come sui rotoli dei papiri, sottili quali ali dì farfalle. Già i suoi capelli incanutivano quando égli si nascose nella sua piccola polverosa silente città natia coi materiale raccolto, quasi un tesoro rubato. Colà più lunghi e più monotoni che altrove scorrevano i giorni, ed egli, mediante l'algebra della filosofia della storia, poteva spiegare indisturbato la vera ragione della decadenza dell'Egitto. Nel primo volume egli aveva sfatato le nebulose legeendp sorte sull'enigmatico volto dell'antichissimo Egitto; nel secondo aveva demolito le favole pastorali degli Hiksos ; poi, rabbiosamente, senza pietà alcuna, aveva aperto una campagna contro il fascino millenario, aveva sbriciolato 1© sembianze divine dipinte sulle mummie avvolte nelle bende dorate dei feticci dinastici, e aveva presentato come del tutto umane le sovrumane ombre dei Ramseti, dei Tunida e dei Faraoni di Sais. Negò tutte le leggende sorte sul mare Attico e lungo il cors>> del Nilo. Al contatto dei suoi pensieri e del suo Bapere si statavano le leggende; non rimanevano che dei fatti, freddi, assoluti : scheletri, ruine, sepolcri. Il suo settimo volume giungeva a questa ironica dimostrazione: che la degradante passione del gran condottiero Antonio, tenuto in umiliante prigionia da un'isterica regale, la degenerata Cleopatra, non era altro che un caso di patologia psichica. Nei restanti tre volumi poi comprovava, con certe infallibili teorie, che la fine dell'impero dei Faraoni era dovuto all'invpcebiamento di razze decropite. Aveva compiuto un lavoro a fondo; aveva condotto il filo delle sue sensate teorie fino alla fine delle trentuna dinastie egiziane e 3,ei suoi dieci volumi in foglio. Frattanto, a dire il vero, un po' di tempo era passato, e però... Con una tenerezza stanca diede un'occhiata al manoscritto e, quasi eì aspettasse che la sua fatica venisse riconosciuta in qualche modo, guardò intorno a sè fra le quattro mura che sapevano di muffa. Alla luce che mandava la lampada a petrolio di sotto il paralume, le poltrone [vuote pareva sbadigliassero verso di lui; esse non avevano mai servito a nessuno. Gli schedari, logori dall'uso, lo guardavano 'dallo scaffale contorto, ormai inespressivi; égli aveva cavato loro tutta l'anima, egli non aveva più nulla di comune con essi. A un tratto percepì la sensazione di un vuoto strano intorno a sè: partiva da lui stesso quel vuoto e si diffondeva 3ulla scrivania. Una domanda imprecisa e piena di sgomento si presentò nel suo cervello. Che farà mai egli domani? Domani e poi? Il vuote- continuamente si allargava; esso si propagava sul divano che sapeva di muffa, ■ulle sedie, sullo scaffale, smuoveva i mobili dal loro posto, si cacciava dappertutto, fino ad uscire dalla porta chiusa nel cortile. Il vecchio studioso pensò che non c'era nessuno là fuori, che neanche nella cittadina egli non aveva alcuno, in nessun luogo. E il vuoto andava sempre più lontano, si estendeva ed ingoiava la distanza e lo spazio ed era ormai dappertutto, fin dove giungevano le pensose ricerche del vecchio. Era la prima volta nella sua vita che si accorgeva della solitudine, Il suo volto satteggiò ad un'espressione interrogante: dunque per il solitario non vi è altra cosa che Q lavoro? Avrebbe voluto sentirne piacere. Un'irrequietezza lo prese, quasi provò dolore a sollevare, nell'alzarsi, il suo corpo irrigidito dalla lunga immobilità. La, sedia scricchiolò ; anche il pavimento scricchiolò. E vecchio cominciò a camminare tu e giù per la camera, poi sporse icapo nel cortile, ma tosto lo ritrasse; quindi aprì le finestre senza sapere per quamotivo e, tornatosi a sedere alla scrivaniaguardò col rigido, fermo suo occhio d'uccello in direzione della porta. Perchè mai guardava egli da quella parsu' GSi poteva giungere di la? Il padre e10 madre gli erano morti da tento tempoamici non ne aveva avuti mai, e in quanto a donne... egli non conosceva che le sontuose imperatrici egizie dal corpo di oro brunito, chi? eran morte da molti millenniContrasse le sopracciglia come se guardaste attraverso ad un cannocchiale le distanti sbiadite campagne. Improvvisamente srammentò di qualcuno. Era ancora ragazzc andava a scuola, allora non poteva oalBiare 1 suoi rudi appetiti giovanili, allorfiorivano le acacie e il grande egittologscriveva cattivi versi. Poi molto tempo ertrascorso, ed ecco che in quella cittadindi provincia, già da parecchi anni, i ragaziti lo chiamavano c il vecchio scienziato > jkIIb strada accanto invecchiava lentamente, melancouicamente, una bella fanciullbruna. Là in fondo alle via, sotto 0 ano tettli"assito, I orologio della parrocchia connomb a battere le ore. Il vecchio non le con tò; rese non erano che la voce del tempoBel tempo che passa o che forse è già pastaio. Lur.go la pui eie lo scaffale stridette11 lume crepitò, la fiamma si mise a saltelale torno torri', al lucignolo prosciugato n a n a n l i i a ò o o l l , e , o o . i o a o a si fece piccola, guizzò... a un tratto si spense. Il vecchio scienziato rimase nella tenebra ; cercò a testoni, con stizza, i zolfanelli e intanto capovolse qualcosa che si trovava sotto i suoi fogli di appunti. La mano toccò un oggetto freddo, liscio: un antico piccolo vaso d'argilla. Chi sa da quanto tempo esso stava sullo scrittoio... Egli vi teneva riposte delle piccole anticaglie, e guardando meglio gli parve di scorgere qualcosa, anche in quella oscurità. Egli vedeva infatti una forma, un colore, una bocca in mezzo a quegli antichi oggetti ammucchiati. Non capì che cosa fosse, guardò nervosamente dietro di sè. Un dolce mite chiaror lunare, penetrando tra i'rami delle acacie avviticchiate alla canccll.ita, illuminava la finestra. Quando si volse una nebbia argentea, abbagliante, cadeva anche sullo scrittoio. Il vecchio si chinò sotto i raggi della luna senza farvi caso e si mise a osservare i piccoli oggetti antichi. Là, sui suoi manoscritti giacevano antichissimi scarabei di pietra, brandelli di bende di mummie, feticci di terracotte a smalti verdi. Tra di essi, un'aspide d'oro tirata sottilmente a braccialetto. Egli scosse il capo rammemorando: era stato forse allora, circa trent'anni prima, a Luxor... O forsanco egli aveva portato il piccolo oggetto dai dintorni di Abu-Simbel?... Ah ecco: ora ricordava; l'aveva comprato da un cammelliere ai piedi della grande sfinge di Gizeh. E da allora egli non aveva mai avuto il tempo di decidere, su delle basi scientifiche, l'epoca a cui risaliva il piccolo braccialetto e il suo valore collezionistico. Si sentì un momento quasi spinto ad accendere la lampada e a tirar fuori la lente d'ingrandimento, ma, non si mosse. Lo aveva preso una stanchezza strana piacevole, un senso di riposo torbido, come se ogni legame si sciogliesse ed egli non si sentisse più attaccato a nulla. Dinnanzi alla finestra aperta il vento passava tra le acacie, un vento forte, carico di profumi, che faceva pensare a tutte le tonalità del verde, quasi che dei prati fioriti sorvolassero sopra la città, e foreste e fonti montane e umidi solchi arati. I rami delle acacie battevano sulle inferriate della finestra, la luce lunare tremolava sulla scrivania. H vecchio respiro in fretta, con iorza; ma a un tratto trasalì; sentì nel capo come un gran turbinio. Non fu che un momento, poi egli non vi feco più caso; intorno tutto oscillò stranamente, come se i raggi della luna e il soffio profumato del vento raggiungessero tutte le cose intorno. Luce di luna... pericolosa falsaria! Egli non seguì più questi pensieri e un po' inquieto e a metà cosciente, si fece da parte per sottrarsi a quei raggi. In quel momento qualcosa colpi curiosamente il suo sguardo. Sul bel corpo dell'aspide le squame dorate cominciarono a sollevarsi e ad avvallarsi ; poi come se si trovasse in un nido, il serpe si torse in un cerchio, sopra la storia dei Faraoni ; tenne sollevata la piccola testa piatte, l'occhio di diaspro irradiava luce, come se vedesse. Lo scienziato non toglieva da essa l'occhio, e mentre la guardava irrigidito, l'aspide del Nilo, là, sotto il chiarore lunare, cominciò misteriosamente ad evocare la leggenda. Invano il vecchio si agitava, protestava nel suo cervello. Non alla Cleopatra del suo libro, dunque, bisognava pensare, ma a quell'altra, a quella che veniva verso di lui nella sua divina nudità, avvolta da argentei veli aderenti. Veniva e dalla leggenda, che egli aveva creduto di aver distrutta, usciva, con tutto il suo incanto, quella regina egiziana dagli occhi di sogno che aveva trattenuto per un istante sul labbro di Antonio, con un folle delirante bacio, il respiro del mondo. II vecchio coi piccoli suoi occhi d'uccello ammiccò, come in preda a un'estasi un poco sgomenta: quell'aspide d'oro signoreggiava sui dieci volumi della t Decadenza dell'Egitto ì... ma per un momento solo. Già egli non ne godeva più, sentiva una preoccupazione imbarazzante. E se l'antica leggenda fosse la verità, la vita, e il suo libro invece null'altro che una chimera? E se non nella vecchiaia che distrugge, ma nella grande luminosa giovinezza, nell'amore fosse la vera storia dell'Egitto? Colle mani si strinse il capo, come se avesse voluto risuscitare nel suo pensiero la vacillante teoria da lui sostenute dell'invecchiamento delle razze. La teste gli tremò miserabilmente tra le dita ricurve ; l'occhio senile fissò con disperazione la porta come in attesa di qualcuno che gli desso ragione Ma di là, da quella parte, solo gli si presentava dinnanzi la coscienza del gran vuoto che lo attorniava; al mondo non c'era nessuno per lui. Chiuse gli occhi e sospirò. Forse aveva sbagliato nella sua vita? Forse lo etesso sbaglio si ripeteva anche nel suo libro?... ed egli comprese che aveva ucciso la leggenda in entrambi e che il suo cuore non si trovava nella sua opera, e neppure nella sua vita. In quella il vento urtò la finestra. H vecchio ebbe un sussulto ed aprì gli occhi. La luce della luna già aveva deviato dallo scrittoio. Dietro i vetri, che il vento aveva richiuso, egri risentì l'abituale odore di muffa casalinga, e sul bianco manoscritto la piccola aspide era ridiventata ormai un pezzo non più vivente di archeologia. Il vecchio scienziato si stropicciò gli occhi, come se avesse sognato in preda a un'allucinazione e ora volesse svegliarsi completamente Si vergognò un poco di sè ; si guardò d'attorno, tossì, si raschiò la gola. Poi, con una certa superiorità, rimise nel vaso l'aspide, e... pensò all'indice dei dieci volumi e all'immortalità. CECILIA DI TORMAV. {Traduzione dall'ungherese di Silvia Bho). hcsgcdss

Persone citate: Faraoni, Sais, Silvia Bho

Luoghi citati: Egitto, Luxor