La prima Vita e l'ultimo biografo

La prima Vita e l'ultimo biografo Sflti FRANCESCO La prima Vita e l'ultimo biografo Perchè associare insieme opere divise da tanta distanza di tempo e nello spirito che e informa tanto diverse? Trema ancora nella Vita di fra Tommaso la commozione delle cose che egli vide o udì dal Santo stesso: t quae ex ipsius ore audivi ». La celebrazione del Santo fatta dal Pontefice circondato da una folla di cardinali e di popolo plaudente in quella luminosa giornata del 16 Luglio 1228 esalta 1* uomo nel momento che scrive come nell'ora che vi partecipò. E' il papa stesso che gli ordinò di scrivere: « iubente domino et glorioso papa Gregorio ». Intorno a lui sono i fratelli, ■ testimoni fedeli ed approvati », che gli hanno raccontato ciò che egli, entrato più tardi nell'Ordine e mandato poi lontano, in Gei mania, non potè vedere; alto, solenne, dominatore fra tutti, frate Elia. Il Santo • se l'era scelto come madre, e degli altri fratelli lo aveva fatto padre »; frate Elia dunque doveva essere, insieme con li pontefice, messo in prima linea. La meta verso la quale Pontefice e Vicario vogliono condurre il nuovo ordine, sorto da cosi umili principi, avvince lo scrittore. Egli non intende rinnegare quei principi, anzi li esalta con parola maguihcatrice ; ma anche ì nuovi destini sono grande cosa. In quella celebrazione e in quell'avviamento gli pare anzi che la figura del Santo riceva, er così dire, la consacrazione della storia. pei La commozione che lo scrittore tenta di far 'vibrare nella parola non c dunque finzione parola ret lorica. Rettorico è solo il modo onde cerca di esprimerla. Lo scrittore sente la propria inferiorità di fronte al soggetto che deve rappresentare, e sa che il baiato non amò lo sfarfallio delle frasi: « verborum phaeras»; ma egli è un retore, e non ha altra peranza di avvicinarsi a quella grandezza che con il lustro della forma. Che sono del resto le sue frasi in confronto a quella grandezza} e Verba imperita », cioè parole, per a pochezza loro, impotenti. Ma l'uomo ha un grande rispetto per la storia, e nei panneggiamenti della frase non tradisce mai la verità. A che falsare il vero, quando l vero è così grande che la parola non riesce ad sdegnarlo? Ma se epiche sono le cose, anche II tono deve essere epico. Soltanto che per riuscir tale è necessario lo scrittore eia veramente poeta, come era, ad esempio, 'autore del Commerttum. Se egli è retore, come il Celano, il tono può appena arieggiare l'epopea. Sotto alla nudità espressiva dell'uno e ai panneggiamenti stilistici del'altro, età però un'eguale coscienza: la coscienza della trasformazione che per opera dell'uomo da essi celebrato si è venuta e si viene operando nel mondo. E con questa coscienza e questa speranza il Celano conchiude la sua Vita: « Verbo et esemplo, vita et doctrina mundum omnem gloriosissime innovavit ». Fu una realtà storica o una illusione? Fu 'una cosa e l'altra. Fu un momento travolgente che passò e segnò una delle più grandi ore nella vita spirituale dell'umanità; t> lasciò' dietro a sè un grande movimento, un rimpianto di esso e uno sforzo eterno verso di esso. Dopo sette secoli, con a esperienza della storia attuata, Luigi Salvatorelli conchiude con accorata malinconia: « Il popolo italiano, abbandonato a sè stesso, non poteva, col semplice ricorno degli atti e dei detti del suo Santo, tradurre in vita concreta e piena l'ideale balenato in quelli; nè l'ordine dei Minori poteva compiere esso, per il popolo, quest'opera. La società nuova, incarnante i nuovi entimenti e i nuovi bisogni in una completa e vigorosa unità di coscienza, mancava ». Tutto dunque inutile tanto sforzo di carità e di opere, tanta sublimazione di spirito} No. Nulla del bene che si compie va perduto nel mondo, perchè ogni seme si rinnova nello spirito di chi ha virtù di raccoglierlo. Onde anche lo storico moderno integra il suo doloroso accertamento con una verità consolatrice: « Pure, lo spirito di Francesco avrebbe lasciato dietro sè un ricordo così intenso da rimanere attraverso i secoli un lievito perenne di religiosità schietta, di gioia dell'anima e di semplice vita morale ». Il problema dell'ora presente è di accendere in no{ il desiderio di quella vita. E ad accenderlo nessun modo pare più efficace che studiarla nella rappresentazione di coloro che hanno tentato di più fedelmente riprodurla o per averla vissuta quasi al fian- "f*. . f - - ■ . co del Santo o per averla più a fondo indagata, come alcuni tra i biografi moderni. Ed ecoo perchè al nome del Celano ho associato quello di Luigi Salvatorelli. Non è mera coincidenza bibliografica; è dignità spirituale che rende il più recente biografo meritevole di essere letto Insieme con il primo e più autorevole, di tutti. La Vita del Celano conviene cercarla nell'edizione che ne hanno allestito ora i Padri di Quaracchi. E' il primo fascicolo del grande Corput francescano ch'essi hanno promesso per l'occasione del centenario. Ed è pubblicazione — venendo da Quaracchi sarebbe quasi inutile avvertirlo — degna veramente del luogo onde esce. TI testo criticamente fermato sulla lettura diretta dei manoscritti, le varianti di questi segnate in ealoe, le fonti del pensiero e dell'arte dello scrittore — dalla Bibbia a Seneca e alle vite più celebri dei Santi del medioevo — con sapienti note illustrative messe in rilievo e discusse. Per merito di padre Michele Bihl e de' suoi confratelli in scienza e pietà il valore storico ed artistico del Celano può essere oggi veramente misurato da qualunque studioso nell'effettiva sua realtà. Vero è che la ricerca erudita era venuta in questi ultimi anni aumentando l'autorità di lui. Anche di recento — e lo avvertii già in altro mio scritto — uno storico del Santo aveva creduto di poter ricostruire quasi sul Celano solo il proprio racconto. Più avveduto e con più fine senso della storia francescana Luigi Salvatorelli non cade in coleste esagerazioni. Già l'esagerazione — • lo pi avverte, sostanza e forma, da tutto il libto — èia forma antitetica al suo spinto, come l'equilibrio ne è la nota caratteristica. Egli non indica, e tanto meno si indugia a discutere le fonti dell'opera tua. Ma ehi ha pratica di tali ricerche avverto facilmente come egli segua un prudente ec- clet:rar.o. Fra Tommaso sì, quale fontepnma, ma insieme con esso a integrarlo e rd illuminarlo anche le fonti spirituali, conservatrici sinoere in compieste — in cora^'esspj s badi — della grande; vita franco» scana, ma 'ohe ogni volta ed stacchino da Tommaso hanno ad essere con ogni diligenza indagate. E* la tesi che da lunghi anni, allontanandomi dal Sabatier, sono venuto sostenendo, e mi fa piacere di vederla con tanta utilità attuata da un uomo come il Salvatorelli. x TI Salvatorelli ha preoccupazioni di storico, non di erudito. Egli non vuole fare sfoggio di preparazione scientifica; vuole far intendere. Far intendere anche ad uomo semplicemente colto come è potuto sorgere il fenomeno del francescanesimo, come si è formata la persona del Santo e l'opera sua. Se l'idealismo assoluto non avesse, insieme con tante altre perversioni che ha determinato nei valori dello spirito, stravolto anche il significato dei vocaboli, direi del Salvatorelli — e mi parrebbe di fargli lalode maggiore ch'io sappia — ch'egli è uno storico positivo. Tale cioè che non nega « a priori » alcun fatto, ma che vuole spiegare alla propria ragione e dare ad altrui ragione di tutti. L'esperienza politica stessa — come avviene sempre negli studiosi veramente d'ingegno — ha servito ad acuirgli il senso della storia; come la forma dei primi suoi studi nel campo generale della religiosità lo ha addestrato a mettere nella sua luce il soggetto particolare dell'odierna ricerca. Volete intendere — egli dice — la persona di Francesco? Bisogna calarla nel 'eUo ambiente. E prima nell'ambiente fisico, Solo l'Umbria poteva generare Francesco, poteva generare Ed ecco che il libro bì apre con un capitolo di descrizione del paesaggio umbro. Perchè il paesaggio umbro è essenzialmente e paesaggio religioso », anzi « di tutte le parti d'Italia l'Umbria è la più vicina a Dio ». Ed Assisi, in qualche « sereno pomeriggio autunnale » quando voi state estatici a contemplare, e di lontano vi giungono i rintocchi della campana di San Francesco, e t suono e visione rapiscono l'uno nell'altra ; non si guarda più e non si ascolta; il tempo si annulla, e un attimo vale un secondo », « per quell'attimo, Assisi è il vestibolo dell'eternità ». Ma il Salvatorelli sa troppo bene come egli finora non ha dato che un elemento generale per la sua spiegazione. E serra subito il suo ambito passando dall'Umbria fisica alla storica. Non l'Umbria in genere è la matrice del francescanesimo, ma quella del dugento, in quel particolar clima storico dell'Italia comunale, con le sue lotte e la coltura e l'arto sua, in quelle speciali condizioni della Chiesa e della religiosità cattolica e cristiana sulla fine del duodecimo e il principio del decimoterzo secolo. Ora finalmente avete il terreno — quasi vorrei dire » humus » — dal quale spunta e nel quale si svolge il fenomeno francescano. Ed è qui la parte più caratteristica dell'ingegno del Salvatorelli'. Forza energica d'inquadramento del fenomeno, virtù di limitazione che viene da nettezza di visione. Il lettore anche meno adusato a darsi ragione del fatto storico è portato quasi naturalmente a comprenderlo, perchè vede il fatto posto nel suo ambiente e definito noi suoi limiti. Ma non è ancora tutto il Salvatorelli. Sono alcuni processi dell'arte sua inquisitiva, e il lettore li vede adoperati con perspicace finezza attraverso tutto il libro. Ma se lo storico qui si arrestasse, avremmo l'indagatore d'un fenomeno, non d'una personalità. Ed ecco che attraverso questi processi lo scrittore si accosta alla persona che s'è proposto di studiare, la fruga perchè gli sveli il suo segreto. Poi quando gli pare di averne rimosso tutte le piaghe, si sforza di limitarla. Dove non c'è limiti non c'è misura, e lo spirito critico del Salvatorelli tende naturalmente alla limitazione. Ne perde, forse, la sua arte, che non si sfuma e non si dram alizza; ma lo storico non si rivolge al sentimento, perchè il sentimento non è conoscenza. Così, per il concetto stesso che lo scrittore ha dell'ufizio che si è assunto, egli rifugge dalla ricerca degli effetti ottenuti con il rilievo plastico. Ma chi voglia a sua volta misurare la capacità di lui nell'adempiere il proprio ufizio, deve leggere i capitoli ov'egli studia i processi attraverso i quali Francesco — in mezzo agli echi ohe gli giungono da ogni parte di ritorno al Vangelo, alla povertà, al lavoro, alla predicazione apostolica come un bisogno assoluto per il rinnovamento della coscienza cristiana — studia, dico, i processi per i quali Francesco trova finalmente la| propria vja e di « princeps iuventutis» si fa i r r.. \. r . • T . • ,.! eremita, e di eremita apostolo. La gioia dito un processo spirituale potuto nettamente spiegare dà al Salvatorelli una vibrazione più acuta e più alta, e l'eroe della sua storia, che forse si estenua nella seconda parte, appare qui in tutta la sua grandezza e bellezza. I momenti decisivi di questo processo sono la rinunzia, davanti al vescovo, che il figlio fa al padre di ogni suo avere e perfino del-la veste che indossa a illuminazione del i.ttT.™.^ *. -n- l'Evangelo ch'egli ha alla Porziuncola Quando il vescovo, commosso di tanta rinunzia, si alza dal seggio e corre a coprire il denudato del suo manto, scrive il Salvatorelli :> « Cosi Francesco scioglieva la controversia sollevata dal padre, sollevandosi con un colpo d'ala nelle sfere più alte dell'idealismo religioso, ove le parole • mio » e « tuo » non hanno senso. A chi si presentava innanzi a lui parlando secondo le norme giuridiche tutelanti la proprietà, egli rispondeva ignorando ogni diritto, cosi il proprio come quello del padre, e affermando la rinunzia a ogni possesso, non come sacrificio obbligato, ma come impeto gioioso di liberazione e di unione con Dio. Scavalcati di un colpo dodici secoli, l'ignorante mercantuccio umbro ritrovava e adempiva, per creazione di genio religioso, il detto di Gesù: ■ A chi vi chiede il mantello, date anche la tunica » ; sostenuto dalla fede di Gesù nel Padre, che dà ai gigli dei campi la veste e agli uccelli del cielo il nutrimenti». Nè le pagine per l'illuminazione evangelica del penitente sono d'intonazione minore. Al penitente la vita oramai da un pezzo praticata nel lavoro, nella libertà, nell'assoluta povertà, appare d'un tratto, per quella rivelazione, santificata e divina, onde egli vede netta l'impresa a cui Dio lo destina. • Per tanti — scrive Luigi Salvatorelli — che l'avevano letto e ascoltato fino allorail Vangelo di San Mattia era rimasto un brano liturgico, da recitare nella Messa in un dato giorno dell' anno. La missione dCristo e degli Apostoli, per essi, apparteneva alla storia: era un (atto avvenuto tanti secole j indietro, in un paese lontano. Fatto provvie » denziale e divino; ma ciò non ostante, o ap punto per questo, compiuto, passato, senza rapporto colla vita presente e ordinarla. Ed ecco quel brano liturgico ritornava parola viva nella ooaclanza deU'ez-mercanta umbro quel passato era per lui realtà presente e azione futura. Le parole di Cristo non erano state dette una volta tanto, ai dodici pescatori di Galilea; esse valevano anche per gli uomini di oggi, per chi, tra gli uomini di oggi, si sentisse di seguirle. Il Vangelo non era stato predicato una volta per sempre; occorreva tornarlo a predicare anche oggi ogni giorno, perchè anche oggi gli uomini ne avevano bisogno, e oggi più che mai. Quello degli Apostoli non era un ufficio abolito; anche ora c'ara posto per loro, e necessità di loro. E per la predicazione apostolica occorreva 6empre la condizione indicata da Gesù: povertà assoluta, rinunzia, cioè, ad ogni acquisto e accumulo di danaro, perchè « non si può servire a due padroni ». Rinunzia che significava liberazione da ogni Impaccio morale e materiale, libertà piena per l'attività apostolica, letizia tranquilla e sicura per ascoltare la voce divina e ripeterla ». Sono pagine che ogni miglior scrittore di cose francescane o religiose, vorrebbe avere scritto, e che non possono non acuire in chiunque abbia senso di vita spirituale il desiderio di conoscere intero il libro, dove con tanta serietà e così fine penetrazione è studiato e fatto intendere uno dei momenti più eroici e una delle figure più sublimi della storia umana. Ogni libro di storia non è che un'approssimazione alla realtà; ma da libri come questo del Salvatorelli il lettore può sollevare gli occhi con la certezza ch'esso gli ha fatto intendere della realtà molto più che prima non sapesse e non intendesse. U. COSMO. Fr. THOMAS DE CELANO, « Vita prima S. Franclscl ». Ad Claras Aquas (Quaracchi). Collegio di S. Bonaventura. 1936. Due edizioni: la maggiore con le varianti e ampie note tn quarto grande; la minore senza varianti, più brevi note e formato piccolo. L. SALVATORELLI, «Vita di S. Francesco d'Assisi., Bari. Laterza, p. 230.

Luoghi citati: Assisi, Italia, Umbria