Italiani in India

Italiani in India Italiani in India (Dal nostro inviato) ! calcutta, ' ' V 1926. Sono ignote le vicende dogli artisti italiani che allietarono tre secoli fa il sogno d'arte dei gran Mogol: qualcuno di essi 'donne il sonno eterno nel piccolo cimitero cattolico di Agra. Dimenticato c oscuro cimitero con lapidi recanti iscrizioni portoghesi! Ma nomi italiani balenano nell'immortale chiarezza di marmi bianchi del Tagi Mahal, probabilmente disegnato da un italiano, ch'ebbe alcuni italiani fra gli intarsiatori di pietre dure e fra i decoratori di marmi. Ed un italiano fu apprezzato medico dei due sovrani che hanno sepoltura nel magnifico mausoleo. Non si parla di cuochi • italiani nelle cronache dei gran Mogol. Ed è assai dubbio che gli artefici italiani, vissuti alla corte del gran Mogol, anche se vi andarono sospinti da un avventuroso desiderio di ricchezza, abbiano conseguito grosso fortune finanziarie. Cuochi, pasticcieri e albergatori I tempi sono mutati. Il più notevole e il più fortunato gruppo di italiani giunto in India negli ultimi quarant'anni ha comprese le nuove e maggiori esigenze dei coloniali inglesi ed ha aperto dei templi al culto dello stomaco: cucchi, pasticceri, albergatori. Ed almeno cinque, di questi italiani limino raggiunto fortune valutate a dieci milioni di lire. E' una storia di sparse, audaci o talora occasionali iniziative individuali che meriterebbe di essere narrata. Esiste ancora a Calcutta il tempio culinario aperto dal pioniere di questo gruppo. Era un cuoco, torinese; tale Pelitti, che il vice-re dell'India, passando per Torino aveva assunto al proprio servizio. Dopo alcuni anni passati nella cucina del vice-re il Pelitti si emancipò, aprì per proprio conto una pasticceria e poi una trattoria che in pochi anni raggiunsero vasta fama, procurando al loro proprietario lautissimi guadagni. Si racconta che un solo pranzo organizzato per incarico del maharagià di Gwàilor avrebbe offerto al Pelitti il denaro sufficiente per fargli costruirò una bella villa a Carignano. Il Pelitti chiamò dall'Italia dei cuochi e dei pasticceri al suo servizio ma, dopo qualche annodi tirocinio, attratti dalla facilità e dalla larghezza di guadagni, i nuovi venuti apersero, in altre città dell'India, esercizi per proprio conto. A Calcutta la maggiore e più apprezzata trattoria appartiene oggi al genovese Firpo. In (quasi ogni grande città dell'India trovate un cuoco o un pasticcere o un albergatore italiano. A Madras incontrate l'italiano Palazzi proprietario dell'Albergo De Angeli», così chiamato dal nome del suo precedente proprietario italiano. L'albergo Licks di Otacamund, soggiorno estivo di Madras, le di proprietà del Palazzi. II principale albergo di Labore si chiama Falcetti dal nome del suo "proprietario, direttore di tutti gli alberghi di Labore e proprietario di un albergo n.nrhe a Simla. Di un altro albergo di Simla è proprietario l'italiano Davioo. A Poona, soggiorno estivo di Bombay, trovate l'Hotel Cornaglia, dal nome del suo precedente proprietario torinese, attualmente di proprietà di un altro italiano tale Orsoni, mentre il Corpaglia esercisce una trattoria e pasticceria a Bombay. 250 in tutta l'India Gli italiani in tutta l'India non sono più di 250. Fra questi vi sono venticinque bergamaschi, capi squadra nelle profondissime miniere aurifere del Mysore (dieci • janni fa si ruppe la corda che sosteneva nna gabbia e sette bergamaschi rimasero juccisi assieme a 45 indigeni), ed una trenìtina di commercianti o impiegati presso case di commerci •>.'Anche, nel mondo dei 'maharagià vi sono due rappresentanti italiani: U bresciano Bravi, chauffeur del maharagià di Baroda, e il torinese Simonelli, chauffeur del maharagià di Mysore. Fino a qualche anno fa l'esperto italiano prof. Mari, di Ascoli Piceno, aveva provyeduto all'organizzazione ed al miglioramento della sericoltura nel Mysore. Al [Mari seguì un altro italiano, il bergamasco Messi, che si interessò allo sviluppo della sericoltura nel Mysore e nel Cascejnir. Attualmente, nel teatro di Calcutta, [ri è una stagione d'opera italiana, organizzata dalla ridotta e mediocre impresa italiana Fratelli Gonzales, che svolge con Successo la sua attività nelle grandi città dell'estremo oriente. Poi vi sono i missionari italiani: i cappuccini ad Allahaba.d e ad Agra, i missionari di San Calogero fra le tribù dei Salitali nel Bengala e nella diocesi di Hyderabad, i salesiani a Tangiore e nell'Assam, S gesuiti veneti e lombardi nelle missioni di Mangalore, del Màlàbar c del Bengala. Suore italiane svolgono la loro attività nelle città di Hyderahad, Mangalore, Calicut, Eniaculam, Goa, Belgaum, Cocin, JAlleppy, Tangioro e nell'Assam. Le nostre , portazioni Dal marzo 1024 al marzo 1925 le importazioni-italiane in India, in notevole aumento su quelle degli anni precedenti, hanno raggiunto la cifra di 38 milioni di rupìe (una rupìa corrisponde a circa 9 lire italiane) su una importazione totale di due miliardi, e 466 milioni di rupìe, cioè 1,6 per cento delle importazioui mentre la nostra partecipazione media nel quinquennio che precedette la guerra fu dell'uno per cento e durante, il periodo bellico del 1,2 per cento. Il progresso, come si vede è lieve, ma bisogna tener conto che nel 1920-21, l'anno più acuto della crisi economica indiana, la nostra partecipazione al commercio di importazione dell'India era scesa al 0,8 per cento. Di fronte ai nostri 38 milioni di rupìe stanno 155 milioni di rupìe della Germania, che, per quanto ostacolata dall'amministrazione inglese, ha portato con successo le sue merci concorrenti sul mercato indiano, 67 milioni del Belgio, 30 milioni dc'J'Olanda, 25 della Francia, 18 della Svizzera ed 11 della Cecoslovacchia. Le importazioni inglesi, pur rappresentando tra Gran Bretagna e colonie una cifra di un miliardo e 534 milioni di rupìe, hanno subito, in questi ultimi cinque anni, in seguito alla campagna di Gandhi e dei suaragisti contro le merci straniere, o per l'aumentato costo di produzione delle mere stesse, ohe mal rea gono l'urto ed i prezzi delle merci concorrenti, nna continua diminuzione. E, mentre noll'anno 1920-21 le imporUrioni dalla Gran Bretagna segnavano la cifra di 2 miliardi e 45 milioni di rupìe, nell'anno (1924-25 tale cifra è discesa ad un miliardo e 330 milioni. L'America figura nella statistica delle importazioni dell'ultimo anno per 134 milioni ed il Giappone per 171 milioni. Nelle esportazioni l'Italia figura, nell'anno 1924-25, con Tingente cifra di 232 milioni, cioè il 6 per conto della totale cifra di esportazioni, mentre, nel quinquennio dell'anteguerra, la percentuale media delle esportazioni dall'India per l'Italia era del 3,2 e del 3,9 durante la guerra europea. Ciò che è, e ciò che sarebbe fattibile Gli artefici principali delle importazioni italiane in India sono degli italiani di Calcutta e di Bombay, alcuni dei quali, come il console onorario d'Italia a Bombay, A. Manzatto, direttore della ditta Tabasso-Volterra, stabiliti da parecchi anni nel paese possono considerarsi come i pionieri del commercio italiano in India. Di solito, ai pionieri che dissodano il terreno ed iniziano le colture, seguono altri animosi, incoraggiati dal loro esempio e dal loro successo. Salvo poche eccezioni non si può dire che ciò si sia verificato in India per le nostre ditte, le quali sono tuttora scarse di numero (se ne contano una quindicina) e benché buone finanziariamente e moralmente, non paragonabili per vastità di mezzi e potenza di organizzazione allo grandi case inglesi, giapponesi, americane, tedesche, svizzere e greche. In grandi centri comò Madras e come Rangoon non vi sono case italiane : quelle esistenti sono tutte, ed esclusivamente, a Calcutta ed a Bombay. Attualmente vi è un solo console di carriera in India, a Calcutta. Nessuna banca italiana ha una propria filiale in Indiai per quanto il volume complessivo degli scambi italo-indiani ne giustificherebbe e ne renderebbe proficua la istituzione. Le nostre ditte devono passare per le forche caudine delle banche inglesi, la cui rigidezza e le cui scarse agevolazioni, verso ditte non inglesi, rendono, oltreché costose, difficili, e talvolta addirittura spinose, le transazioni bancarie delle ditte italiano. Per sviluppare i commerci di importazione in India bisognerebbe; ohe le ditte italiano si uniformassero ad alcuni indispensabili requisiti generici e specifici: disporre di mezzi considerevoli, senza i quali non si ottengono che risultati meschini; evitare gli afiari sporadici che riescono il più delle volte male e danneggiano il nome italiano sul mercato; dimostrare perseveranza e spirito di continuità Benza perdersi di coraggio alle prime difficoltà ed ai primi insuccessi ; organizzarsi tecnicamente per il commercio d oltre mare, inviando periodicamente in India abili commessi viaggiatori che conoscano bene l'inglese, scegliendo preferibilmente il periodo dell'anno che va dal novembre all'aprile (stagione propizia per il clima e per gli affari), calcolando per le spese una media di almeno tre lire sterline al giorno, se vogliono eesero rappresentate con decoro'; mandare buone merci e curare gli imballaggi ; servirsi, nella corrispondenza, esclusivamente della lingua inglese (vi «tono ancora numerose ditto italiane che continuano a rivolgersi, inutilmente, alle Camere di commercio indiane con lettere, listini, cataloghi, opuscoli redatti in sola lingua italiana) ; studiare il mercato e uniformarsi strettamente nella fabbricazione dei proflotti (specialmente tessuti, mercerie, ecc.) ai gusti ed ai desideri della clientela indigena; curare la questione delle etichette che ha grande importanza e influisce specialmente nelle più umili categorie dei consumatori indigeni. Far conoscere i nostri prodotti Bisogna far conoscere i nostri prodotti. Dei ricchi mercanti parsi che viaggiavano sul piroscafo italiano che mi conduceva a Bombay si lamentavano di non trovare a bordo listini e cataloghi di merci italiane, n rilievo va raccolto e merita di essere allargato. Le società di navigazione Marittima Italiana e Lloyd Triestino hanno organizzate duo ottime linee mensili di navigazione, una Bombay-Trieste e l'altra Bomba y-Gcrova. A bordo servizio magnifico; i piroscafi sono, meritatamente, assai frequentati dagli inglesi, tanto che reca molta sorpresa l'apprendere ohe questa linea usufruisce di sovvenzioni governative! Ma vi sono delle lacune: prendete il piroscafo Aquileia della Marittima Italiana. Linea sovvenzionata: ma, in seconda classe, grandi riquadri di ceramica, dipinta in bleu, che rivestono le pareti, fanno gratuita ed utile reclame a freschi luoghi di villeggiatura che in gran parte si trovano nell'Austria tedesca e solo in piccola parte nelle terre, redente. Si comprende che questi riquadri fossero stati fatti eseguire dall'exLloyd Austriaco, ma non si comprende che siano conservati dalla Marittima Italiana, che potrebbe facilmente, e con poca spesa, sostituirli con vedute di città e luoghi di villeggiatura italiani. Utilissimo riuscirebbero alle nostre importazioni in India due esposizioni permanenti, una a Calcutta e l'altra a Bombay. Dieci o dodici caso industriali italiane, con produzione di merci diverse, che si unissero in consorzio, potrebbero con notevole vantaggio, avvenire se non immediato, istituire in queste due grandi città delle esposizioni permanenti, con un rappresentante, incaricato di fornire le necessarie informazioni agli indigeni sulle merci italiane ed alle consorziate ditte italiane sulle condizioni del mercato dell'India. Purché si sappia volere, i nostri commerci di esportazione sono suscettibili alla sicura conquista di un' più ampio respiro. LUCIANO MAGRINI.