Le conclusioni dell'istruttoria per il dissesto della Banca di Credito e Commercio

Le conclusioni dell'istruttoria per il dissesto della Banca di Credito e Commercio Le conclusioni dell'istruttoria per il dissesto della Banca di Credito e Commercio Con la sentenza emanata ieri dalla Sezione d'accusa — presidente il corani. Pasini, relatore il consigliere cav. Paulis — si è conchiusa definitivamente l'istruttoria per 11 dissesto della Banca di Credito e Commercio. L'istruttoria durava da parecchi mesi, e cioè dall'ottobre scorso, quando, su istanza del P. M., la Banca fu dichiarata fallita. Esauriii gli accertamenti e conchiusa la fase delle indagini dirette, il giudice istruttore, comm. Mussi Isnardi, qualche settimana fa, pronunciava il proscioglimento di taluni degli accusali e rinviava a giudizio del Tribunale gli altri. Senonchè l'ordinanza del magistrato istruttore — emanata su difformi conclusioni del P. M. — veniva tosto impugnata dal sostituto procuratore del Re, cav. Di Majo, il quale sosteneva che anche taluni degli individui prosciolti dovevano essere rinviati a giudizio per il reato che era staio loro inizialmente contestato, o quanto meno per l'ipotesi delittuosa immediatamente minore, e tutti gli atti venivano quindi rimessi alla Sezione d'accusa, investita dell'esame e delle definizioni dell'appello. Dodici milioni di disavanzo Sono ben note ai lettori le vicende fortunose della Banca di Credito e Commercio, il cui dissesto, per le sue proporzioni e j<i 6ua entità, provocò anche il tracollo di un'altra azienda bancaria, la Società in accomandita Treves e C, per commissioni di Borsa, che aveva sede nello stesso stabile, in corso Vittorio Emanuele, dove erano situati gli .uffici dalla « Credito e Commercio ». Quest'ultima, come è narrato nel documento della Sezione d'accusa, sorse il 20 dicembre 1922, nelle forme della Società anonima, con un capitale di 500 mila lire. La Banca, secondo gli statuti sociali, non avrebbe dovuto impegnarsi in operazioni di Borsa, ma invece, subito da principio, si specializzò in questo genere di operazioni, che vennero eseguite non già per conto di terzi, ma più specialmente nell'interesse degli amministratori. E per queste operazioni, delle quali non fu trovata alcuna concreta registrazione contabile, si impegnarono fortissimi capitali. Le perdite enormi incontrate in breve dall'Istituto consipliarono i dirigenti, per mascherarle, a comporre bilanci falsi, con profitti immaginari e con dividendi del pari inesistenti che venivano corrisposti agli azionisti, a falsificare la contabilità reale ed a far sparire quella che rispecchiava la vera situazione, a ricorrere a nomi fittizi, che coprivano quelli degli amministratori interessati; a creare .una notevole quantità di libretti di deposito, pure intestati a nominativi irreali — per nascondere i crediti illegittimi dei dirigenti o il trapasso di questi in capo a terzi e ad usare infine largamente dei riporti indiretti, con la contemporanea vendita a contanti per fine mese dei titoli presi a riporto e con la loro ricompera, a qualunque prezzo, ailla vigilia della liquidazione. Il disavanzo di 13 milioni in cui fu alla fine travolta, determinò la Banca a. chiedere — il 15 settembre dell'anno scorso — il concordato preventivo; le trattative furono laboriose e durarono fino al 19 ottobre, giorno in cui il Tribunale, su istanza del P. M., dichiarò il fallimento dell'Istituto. Apertasi la procedura fallimentare, si iniziava contemporaneamente l'istruttoria penale contro gli amministratori ed il direttore, rag. Decio Cornacchia, per bancarotta semplice e fraudolenta e per molteplici reati di truffa e di appropriazione indebita. Gli arresti Il Cornacchia, contro il quale era stato emesso il mandato di cattura, veniva arrestato a Lugano, mentre il presidente del Consiglio di amministrazione, avv. Giuseppe Vallerò, veniva arrestato nella nostra città, il 24 ottobre. Eguale azione veniva quindi estesa alla moglie del Vaillero, signora Carolina Morzone, ed alla moglie del Cornacchia, signora Maria Pesoni. Alla Morzone, che venne arrestata a Milano sulla fine del dicembre scorso e che fu poi scarcerata dietro cauzione, il l.o febbraio scorso, veniva mosso l'addebito di concorso nella bancarotta fraudolenta., essendo risultato — oltre alle altre inframettenze da essa avute nell'Istituto — che il di lei marito, sotto la data 2 febbraio e 18 aprile, le aveva girato il svo conto deposito di 700 mila lire, traenti orinine dalle speculazioni borsistiche, e da.l quale essa si era affrettata a prelevare .ben 1TG mila lire. L'istruttoria assodava poi che il Cornacchia, mentre duravano le trattative pel concordato, aveva fatto frequenti gite a Parma, 6ua città natale, ed a Bologna, dove aveva venduto ad amici ed a professionisti coi quali era in rapporto, una certa quantità dei libretti a risparmio intestati a nomi diversi presso la Banca: cioè all'avv. Bruno Pardo di Bologna, aveva ceduto per 65 mila lire, versategli in contanti, 21 libretti a risparmio rappresentanti un valore nominale di 700 mila lire. I crediti portati da questi libretti vennero poi insinuali in nome proprio dagli acquirenti, nel fallimento della Banca, donde a tutti costoro, l'imputazione di ricettazione e del reato di cui all'ari. 865 n. 2 del Codice di Commercio per aver fraudolentemente proposto nel fallimento domanda di insinuazione di crediti che sapevano simulati. Per vicende di questo genere vennero incolpati, coll'avv. Bruno Pardo, il rag. Luigi Cairo di Parma, l'avv. Giorgio Maccaferri di Bologna, il rag. Angelo Mazzoncini di Parma, il rappresenia.nle di commercio Roberto Cesari di Bologna, e le due... dattilografe dell'avv. Pardo, signorine Irma Marzoli e Tomasina Mignatti. Per una vicenda qua6i analoga, e riguardante ima sospetta cessione di crediti effettuata dal Cornacchia vennero incolpati anche l'avv. Tito Puccioni di Parma ed il conte Luigi Lusignani, il protagonista del recente dissesto della Banca Popolare Agricola Parmense, ora in carcere. II Giudice Istruttore comm. Mussi Isnardi, colla sua semenza, assolse con ampie declaratorie la moglie del Cornacchia eignora Maria Pesoni (per la quale fu revocato il mandato di cattura), l'avv. Puccioni, il conte Lusignani, il rag. Mazzoncini, il rag. Cairo, l'avv. Maccaferri. il Cesari, l'avv. Pardo e le sue due dattilografe, e, per insufficienza di prove, la moglie dell'avv. Vallerò, signora Carolina Morzone. Il rinvìo a giudizio Rinviò per contro a giudizio il rag. Cornacchia, direttore della Banca e l'avv. Giuseppe Vallerò, presidente del Consiglio d'amministrazione, per bancarotta semplice e fraudolenta ed i molti reati che vennero accertati: il rag. Angiolino Verduri, capo contabile dell'istituto, per complicità in bancarotta fraudolènta e truffa, ed il signor Federico Rigamonti, di Carate Brianza, per concorso in distrazione di attivo. Dalle conseguenze penali del dissesto non andarono salvi anche gli amministratori ed i sindaci: per aver concorso, quali amministratori, ccl Cornacchia nella consumazione del reato di cui all'art. 856 del Codice di Commercio (bancarotta semplice) vennero mandati a giudizio il conte prof. avv. Carlo Toesca di Castellazzo, abitante in corso Oporto, 40. l'ing. Alfredo Giordana, abitante in corso Umberto 17, il 6ignor Mario Vallerò, abitante in via Lamarmora 30 ed il signor Andrea Ostorero, abitante in via Bagetti 19, e per non aver adempito, quali sindaci, alle loro obbligazioni, permettendo la distribuzione di dividendi inesistenti, ecc., fu pronunciato il rinvio a giudizio del geometra Domenico Borgialli, abitante in via Principi d'Acaja 6, del signor Mamolo Dematteis, da Busseto, del rag. Ettore Ma6oero abitante in corso Vinzaglio 73, del signor Guido Benso, abitante in via Villa della Regina 7. Contro questa sentènza del Giudice Istruttore, come abbiamo detto, fu interposto appello dal P. M. il quale eccepì che anche la signora Carolina Morzone doveva essere mandala a giudizio e che agli avv. Pardo e Maccaferri ed al rag. Cairo doveva, quantomeno essere elevata l'imputazione della contravvenzione per incauto acquisto. Appellarono a loro volta il rag. Cornacchia e l'avv. Vallerò, sostenendo il primo l'irritualità della perizia, contabile in atti, il secondo l'illegalità dell'ordinanza colla quale erano state respinte le sue istanze tendenti ad ottenere una nuova perizia contabile e la perizia psichiatrica: entrambi poi eccepivano, che essendo trascorsi i termini della detenzione preventiva, avrebbero dovuto essere scarcerati. La Sezione d'Accusa, esaminando nella sua udienza di ieri l'appello, ha ritenuto che il concorso della Morzone nelle distrazioni di attività commesse del marito avv. Vallerò, trovi sufficienti elementi di prova e perciò — difformemente dalle conclusioni cui eTa pervenuto il Giudice Istruttore — l'ha mandata a giudizio per complicità in bancarotta fraudolenta. Ha escluso invece che si sia raggiunta la prova del dolo nei riguardi degli avv. Pardo e Maccaferri e del rag. Cairo, rJI cui ha confermato l'assolutoria. Ha respinto infine, senza esame, gli appelli del Cornacchia e dell'avv. Vallerò, confermando lo stato di detenzione dei due imputati. La sentenza del Giudice Istruttore, dopo questa decisione della Sezione d'Accusa, resta così definitiva. Il processo che rivestirà senza dubbio notevole interesse, si svolgerà forse in ottobre.