Francesco II e il generale Pianell

Francesco II e il generale Pianell GLI ULTIMI BORBONICI Francesco II e il generale Pianell Nel "ioxnaili borbonici, che ho ricordati I slel'altra "volta, si può vedere in quali modi inilattuasse l'opera, so opera si vnol chia mare, di quel partito, se partito si vuol chiamarlo. La principale fatica era la compilazione d'indirizzi al re e alla regina, in occasiono dei loro onomastici e compleanni e in altre ricorrenze. Per esempio, nel 1892, per il cinquan tesi moscato compleanno di Francesco II, il Vero Guelfo pubblicava il ritratto dol sovrano, coll'e.pigrafe: « Drappello quest'oggi, saremo legioni Doman, nello pugne del Ciusto e del Ver »; G UBO scritto che cominciava: « Invitto Sire 1 La tua grando rassegnazioue, la tua gloriosa sventura ti solleva al Taborre. Tu t'ingigantisci là, in quell'angolo della libera GalKa, ed affretti il giorno della redenzione partenopea colla fede dell'apostolo, colla speranza dell'esule, che invia il quotidiano saluto di sospiri e di lacrime alla patria lontana. Tu, martire ed eroe, superando te stesso, sospiri ed aspetti. Aspetti il giudizio e la redenzione. E noi ?... Noi evochiamo il tuo nome, ch'c sentinella e fulmine, promessi di libertà, voce di speranza, simbolo di continua lotta. — Vieni, esiliato'! — Noi sdamo giovani e ci teniamo preparati »; e via dicendo. Quando, il 27 dicembre 1894, Francesco II morì, quei logli si riempirono di pianti e di esaltazioni, e di commosse descrizioni, delle esequie che gli furono fatte, e dei nomi dei gmtLVuomrod napoletani che, insieme con alcuni legittimisti francesi, vi erano intervenuti ; e poi dettero ampie notizie dei funerali celebrati in Napoli, nella chiesa dei "ftmnrV affilo Spirito Santo, dove por l'occasione ai ebbe una mostra completa di tutti i borbonici, con a capo i cavalieri di San Gennaro, duca della Regina, principe di Ruoti Nicola di San grò, bali del l'Ordine gerosolimitano Luigi Oapece Mi' uutolo, barane dà Le tino Carbonelli, duca di Carjgliano Alfonso Saluzzo, e, dietro di loro, il duca di Castronuovo Ottavio MessaneQi, il duca di Marianella Antonio Spinelli, il marchese di Latrano Vincenzo Impeciale, il maroheaa di Pietravalle Ferdi nandò Oaraccdolo, il marchese di Sangineto Rodino, l'ammiraglio Pasca, il conte Enrico Stateli», già ufficiale degli usseri, il conte di Rodiamo Vincenzo d) Sangro, e gli Anguissola, i Correale, i Frezza, i Rocca, i Manesca, i Sensale, i de Mari, i d'Ayala Valva,,, i Como, i Goyzueta, e molti altri. La dimostrazione al*"Re Burlone,, stoduedinr/ioISOmaMiranDeti/.ntorsuostoregfraunchecornaGaulte pvostamiveprmecoRoSa— il ad—Ma : « E' morto ilf ré, viva il re !» : gl'indirizzi continuarono pei compleanni e gli onomastici del oonito di Caserta, che era successo nei diritti al trono, col nome di Alfonso I. Jn quell'anno '95, i 'borbonici di Napoli raccolsero sottoscrizioni per un'artistica spada d'onore da offrire al principe ereditario, il duca di Calabria Ferdinando, che aveva combattuto nell'esercito spagnuole al Marocco e a Cuba; e nel marzo, per presentargliela, si recò a Cannes una commissione formata dei due direttori del Vero Guelfo, Menziono e Gaeta, del duca della Torre Giustiniano Tcmacelli, e di altri ; e il Gaeta parlò in nome dei veterani dell'armata, e il nuovo re brindò « ai veterani, delle due Sicilie ». A Napoli fu costituito nel 1896 un < Circolo Ferdinando Pio di Borbone della gioventù studiosa Ioga Monista » ; fu composto e musicato e cantato, in onore di quel principe, un inno; si tennero, con la stessa intenzione, aecjidemie di scherma. Non, mancava, nei giornale, il calendario della « Gale della Re al Corte delle'due Sicilie », che coloro che in Napoli avevano, il grado di dame e gentiluomini di corte riempivano con l'im•miaginazdome. Altre associazioni borboniche, oltre il circolo ora ricordato, erano l'i Unione meridionale » e l'i Associazione operaia monarchica », la prima delle quali aveva sede al palazzo Cavalcanti in piazza San Ferdinando, e nel suo salone, decorato di una statua in legno di Ferdinando II, dava ricevimenti e balli per le solenni ricorrenze. Nelle elezioni amministrative del 1911 quell'associazione presentò una lista di nove nomi, ma, come era da aspettarsi, neppur uno dei suoi candidati riuscì eletto E compì l'ardimento di far gridare dai suoi, nella rappresentazione che si die a Napoli, al teatro Sannazzaro, del Re burlone del Rovetta: c Viva Ferdinando! Viva, i Borboni 11 Viva il conte di Caserta! », provocando l'intervento della ■ polizia, Alla parte lirica degli omaggi al re lontano, ma pur presente, s'avvicendava, in quei fogli, la parte polemica cicca i casi del giorno e contro la stampa liberale, nel tono che facilmente s'immagina,; e poi quella elegiaca ossia necrologica por gli uomini del legittimismo, ohe invecchiavano e che, ormai con frequenza, la morte rapiva. Moriva, nel novembre del '96, il tenente colonnello di artiglieria Vincenzo Salazar : c^Egli fu dei difensori di Gaeta ! » ; moriva, nel febbraio del '99, il generale di fanteria Vincenzo Tedeschij che era stato dei capitolati di Gaeta e « non aveva voluto servire il nuovo governo », e nell'a. prile, il novantenne commendator Gaetano de Montaud, veterano, tenente colonnello del genio ; moriva nell'agosto del '98 il ca pita.no Carmelo Marita Falduti, che era stato della guarnigione di Messina. Vi si leggeva nel febbraio del '98, la necrologia di un Raffaele Ronga : € un operaio tintore, di statura gigantesca, di forza erculea, e sulle cui labbra perenne era il grido di : Viva il Re ! Ad un semplice cenno lo ai vedeva sempre pronto a emetterlo» e, nel marzo dell'anno dopo, quella c Amodio, c il vecchio servo fedele dei Bor nisillatuveese sisnoalprtadatiboLchsenedilachfodileil FglvireliSsotodtotosondocinbpu10scsmgddiscc1ss1memnsveltvdMaaeFicarm■'"uuu"Ji « " y*»»^w —• | boni di Napoli »; morto in Parigi, e del quale i sovrani onorarono i funerali Una "colonna infame , Un'altra parte non piccola veniva data, negli stessi fogli, al ricordo c al. riesame degli avvenimenti militari del 1860-61 ; nel che si occupavano particolarmente il maggiore di artiglieria Carlo Corsi e il capitano ^Ludovico Quandel-Vial. La letteratura di memoriali, apologie e polemiche intorno a quei fatti, scritta da generali e ufficiali degl'esercito borbonico e da altri te6timoni e critici, copiosissin;a nei primi anni dopo il 1860, era via via scemata ; e i Corsi e i Qnandel-Vial formavano gli epigoni dei De Sivo, dei Ritueei, dei Palmi-ri. dei Ballefiteros, dei Marra, dei Pietro e Giuseppe Quandel, dei Nagle, dei Delli Frani, e altrettali. Parecchi volumi sullo slesso argomento compose un cappellano I deinilitare G-iuseippe Butta, autore di una asstoria, / Borirmi di Napoli al cospetto di didue. scroti, di un romanzo contro garibal- frdini e liberali, e segnatamente di un Viaij- ser/io ria lioccatli/aleo n. Gaeta, memorie del JJlISOff, scritto con la solita appassiouatezza, , plma curioso per aneddoti e quadretti. Un deMichele Faruerari, con maggiore tempo- seranza e con qualche vena di affetto, trattò e Delia monarchia di Napoli r. delta sue for- mti/.ne. Pietro Ulloa, il maggiore degli scrit- trtori borbonici, si era volto, negli ultimi j lesuoi anni, alle rievocazioni o polemiche ! lostoriche, mirando.in ispecial modo a cor-j dee o reggere e confutare il Colletta. In lingua francese, un tale Insogna compilò nel 1X97 una biografia di Francois II roi, ile Naples, che l'u volta ili italiano con aggiunte e correzioni del Gaeta e del Corsi, e adornata dei ritratti dello stesso còmnieridator Gaeta, ' del maresciallo Gennaro Pergola, ultimo difensore di Messina, e dei sovrani e principi reali. C'era, in tutte codesto rievocazioni e recriminazioni retrospettive, costante la fissazione del tradimento di cui eovocun scnziapministri e generali si sarebbero rosi rei I Everso l'ultimo Borbone. Il Nuovo Guelf proponeva, nel 1S99, a contrasto del monumento disegnato pei martiri del 1799, una colonna infame con la dedica : ij A Liborio Romano — Antonio Spinelli — Giuseppe Salvatore Pianell — Alessandro Nunziante — che novelli Giuda Iscariota — tradirono il loro re — ed assassinarono la Patria — ad immortalare l'esecrabile loro memoria — i Napoletani eressero ». Per liberare Bresei... e i a o , l a , i a ! a n i l i i e l o ; i o . o o a si a nril o r Schizzavano veleni di sospetti e di calunnie codesti uomini e scrittori borbonici, asr sillabi com'erano dal bisogno di ritrovare la cagione e riversare la colpa delle sventure sofferto dal loro partito sulla cattiveria di questo e quell'individuo, per non esser costretti a riconoscere che la cagione e la colpa erano nell'intrinseco dello stesso sistema reazionario e retrivo. E perciò, nonostante le proteste di sconfinato amore alla dinastia, e a quello che essa aveva rappresentato nella loro diletta patria napoletana, riuscivano fiacchi e incolori, quando dal negativo tentavano di passare al positivo, a commemorare le glorie dell'età borbonica, a descrivere la vita doi tempi belli. La storia, di cui essi parlavano, era, checché essi dicossero, storia senza gloria e senza bellezza; salvochè nel primo periodo, nel settecento, quando appunto i Borboni di Napoli avevano proceduto d'accordo con la classe intellettuale del paese. Una qualche fantasia e poesia del rimpianto viveva forse nella plebe; e alla plebe, ai marinai di Santa Lucia, si è ispirato un poeta dialettale, il Russo, quando ha voluto ritrarre il memore affetta dei napoletani per re Ferdinando IL Quanto a giudizi e concetti politici, quegli scrittori ne mancavano affatto, paghi di vituperare « la bordaglia cosmopolita o reclutata nelle galere » dei garibaldini e liberali, il « famelico Piemonte », il re di Sardegna « vampiro d'Italia », la c massonica falange », e di esaltare, in confronto, la tranquillità e lietezza di cui si godeva quando non c'era istruzione obbligatoria, non c'erano elezioni, non parlamento, non giornali, e si viveva nel « paradiso terrestre », senza « pensare al domani » ; o simili. I più gravi e ponderati condiscendevano ad ammettere, dopo trenta o quarant'annii d'indipendenza e di unità, che l'Italia potesse trovare il suo assetto in. una federazione di stati italiani. Il buon duca della Regina, con la solita impeccabile cortesia e delicatezza di forme, uscì a dire un giorno a noi giovani, che 10 ascoltavamo maravigliando: « Io non so se voi siate d'avviso che l'Italia debba costituirsi con due forti stati, l'uno del settentrione, l'altro del mezzogiorno: per me, j>enso invece che, tra questi due stati grandi convenga stendere corno una broderie di minuti staterelli » (e, nel così dire, trapungeva nell'aria, con la mano inanellata, quel leggiadro ricamo del suo sogno). Del resto, la vacuità degli ideali che il loro partito professava, non rimase celata a molti borbonici, specie dopo il 1900, quando il Nuovo Guelfo prese a discutere del « partito legittimista e della sua riorganizzazione », c l'altro giornale, 11 Carlo III, disse chiaro che al partito mancava, e bisognava dargli un contenuto, e alla ricerca di un contenuto si mise, com'è naturale, senza trovarlo, che quelle non sono cose che si cerchino. BdmcedsslscapatozfcuflsmttcuvtmstsdriFrancesco II al buio Poco si sa, d'altra parte, dei pensieri e sentimenti e propositi che nutrivano i sovrani spodestati nei loro ritiri di Francia e di Baviera, perchè quelli che stavano loro accanto hanno serbato il silenzio intorno a questo punto; e, forse, non avevano nulla da raccontare, non potendosi dare informazione del nulla. La regina Maria Sofia sembra che fosse, conforme alla sua indole, di volta in volta disposta a folli speranze e non aliena da intrighi; e, certo, quel tale Insogna, biografo di Francesco II, era un suo agente, e venne in Italia nel 1904 con lettere dell'anarchico Malatesta a prendere accordi con anarchici italiani per liberare il Bresei, regicida di Umberto di Savoia, e fu fatto arrestare dal Giolitti, e dipoi espulso, ottenendosi al tempo stosso, per vie diplomatiche, che tanto l'imperatore d'Austria quanto il governo della Repubblica francese ammonissero Maria Sofia di starsene tranquilla. Nelle lettere che Francesco II scri- | vcva ^ 8Uoi jmùcj c fedeli di Napoli el sj Coveranno certamente tracce ilei suo a, me ; il aahe e emi e ii. e li lo modo di considerale il presente e l'avvenire; ma non credo che esse possano mai dire più di quanto io ho potuto leggere in quelle da lui scritte al duca di Castellaueta, «, particolarmente nel carteggio che egli tenne con uno dei più seri e autorevoli di quei personaggi, il conto Guglielmo Ludolf, già ambasciatore suo e di suo padre. Sono quasi sempro vaghe parole di speranza e più spesso di rassegnazione e di malinconia. « Voi ben dite (scriveva al Ludolf da Parigi, il :! febbraio dell'ST), gli anni passano e noi passiamo ' con gli anni, senza vedere spuntare all'orizzonte la soluzione ohe reclamano gl'intricati fatti d'Europa ». « Ho ricevuto la vostra (gli scriveva nello alesso anno), e rilevo con piacere come, malgrado l'imperver»ar dei tempi e la cattiva sorte che sempre ci <Jj assiste, i vostri sentimenti rimangano sai- , prdi e impavidi come scoglio cóntro il quale I rofrangonsi tristi marosi ». a Se gli anni si I doseguono c non si somigliano (ripeteva il ; ritJl dicembre del '91), gli è perchè, ap- nieplicaudó il detto popolare alla fase storica i gidella proselito società, l'anno seguente ha adsempre superato il precedente in tristizia j e falsità. Constatiamo il fatto senza n-, qumontare alle origini, dove pochi forse po- chtranno trovarsi che non abbiano da con- .1 ilessare una qualche mea culpa da parte | slaloro, me non escluso. Intanto, vi son pur; leadegli anni che si seguono e si somigliano, .clie voi il provate con la vostra voce amica i 9o devota, che risuona in ogni occasione j vueonstantemente alle mie orecchie, come i quvostri sentimenti si ripercuotono nel imo cuore ». Il 31 dicembre del "9") sospirava: n Che Dio voglia fare uscire dal periodo di scuri trambusti, verso il quale ci avviciniamo, un altro periodo diverso di riparazione c di rettificazione dei torti subiti, accordando a tutti la forza di sopportare il primo e di ben utilizzarci nel secondo! ». E, poche settimane prima di morire, da coQcodoBad Kreuth, il 12 ottobre, del '94: «Mi dite che la pazienza fa martire l'uomo: me lo spero bene per l'anima mia, ma non ci conto troppo, vista la nostra fragilità e delle, coso umane, cui ni poggiamo ». Al duca di Castcllanota, il 30 marzo dell'82, aveva già scritto con tristezza, non scevra da un senso di cautela e di responsabilità : » Voi implorate da me. un po' di luce per rischiarare le vostre tenebre. Questo e impossibile. Può far luce ad altri chi ha nello mani una lucerna, ed anche a piccolo moccolo, come quelle che un tempo usavansi a Pompei ; ma elli è nel buio assoluto, o non si muove per non dar di tosta in fitta foresta contro alberi annosi o cespugli intrigati, e non può neppur alzare la sua voce nel solo intendimento di faro scorgere ove rattrovasi, lusingandosi che altri con qualche zolfanello accendesse una lanterna, pel gran timore che lo zolfanello gittate quindi per terra accendesse l'erba secca per primo, e la foresta tutta in sèguito, dal che no seguirebbe lo arrostimento del proprio individuo c dello ipotetico salvatore, deve contentarsi di vegetare nel buio anzicchè spegnersi in un incendio. Voi altri, ohe siete sulla palestra, una sola luce aver potete in oggi, e questa vi viene tutta naturale da Chi presso la tomba di San Pietro era profetizzato col motto Lumen de coelo. Quella fiaccola non si spegne, e se anche, come sul finire delle tenebre mei giorni della prossima settimana santa, la candela ei nasconde per poco dietro l'altare, non si spegne perciò, ma riappare intatta ». La speranza in... Guglielmo II o a e n o a e - i o i e o i i l , i e ta Dieci anni dopo, il 30 marzo del '92, allo stesso duca manifestava la sua sollecitudine pel giornale del partito, anche questo una luco languente: < E' perfettamente vero esser mio desiderio ohe resti acceso, come voi avete felicemente detto, il fioco lumicino della Discussione ; e voi, contribuendovi, mi renderete desiderato servigio, di che vi sarò immensamente grato, del pari che a tutti gli altri i quali in qualunque modo si coopereranno allo stesso oggetto. Che sia poi un lumicino e non una fiaccola, pur che non si spenga, è già qualche cosa nella deficienza dei mezzi e nel disagio polìtico, intellettuale e morale, in che ora ci dibattiamo con piena confusione d'idee e di principi. Non credo, intanto, inopportuno ripetere qui quello che ho fatto sempre inculcare ai diruttori del dotto giornale, che, per farmi cosa grata ed utile, nei tempi che traversiamo, bisognerà astenersi da qualunque personalità e trattare le questioni di principi generali e d'interessi locali senza acredine di frasi e senza forme aggressive ». Assai interesse egli prendeva alle cose di Napoli, che era il dolce nido dove aveva dormito bambino, e vi correva sempre con l'immaginazione, e teneva a protestarsi con insistenza a napoletano d'animo e di cuore ». Al Ludolf scriveva straziato pel colera che decimò la popolazione nel 1884, confortandosi per « le prove di abnegazione e di carità », che furono dato in quell'occasione ; dallo stesso Ludolf si faceva mandare la pianta del risanamento della città e della nuova edilizia, e informare circa le vicende dell'amministrazione municipale. « Se il nuovo sindaco (scriveva da Parigi il 30 dicembre dell'89) farà bene gl'interessi della mia patria, gli perdonerò ohe non venne da me quando qui fu per sposarsi ». Il nuovo sindaco era il principe di Torella Giuseppe Caracciolo, che a Parigi si era recato per sposare una Murat, e perciò forse non si era presentato al suo antico re. Un accenno di non intermesse speranze politiche è del 6 ottobre 1S88, quando l'imperatore Guglielmo II fece la sua prima visita all'Italia e venne ancho a Napoli : c Nella prossima venuta dell'iinjieratore Guglielmo costà, sarà bene che voi e qualche altro di eguali sentimenti cerchiate vedorlo ed esporgli le vere aspirazioni che, malgrado ventotto anni trascorsi, il popolo napoletano c quello delle provincie conservano. In questi giorni mi ho avuto lettere e telegrammi pubblici, che sono stati a me e alla Regina vero e sentito conforto ». Le parole di Pianell in punto di morte Nell'inverno del 1890, ammalò grave- • niente il generale Pianell, allora comandante del corpo d'annata di Verona, già ministro della guerra di Francesco H nel 1S60 ed entrato poi nell'esercito italiano, dove, specialmente dopo l'azione spiegata nella bai taglia di Custoza, fu sempro tenuto in gran conto per la sua capacità militale e pel suo carattere severo: il Pianell, elio era appunto uno di quelli contro cid più violento si rivolgeva l'odio dei borbonici, che lo accusavano venduto c traditore ; della qual cosa quell'onorato soldato non si die mai pace in tutto il corso della sua vita. Ma Francesco II, consapevole del modo in cui erano veramente andate le cose nel '60, non partecipava in cuor suo a quei giudizi irosi c appassionati ; o di ciò die cenno, non solo col silenzio, ma con qualche breve detto, conversando coi suoi fedeli, come il duca della Regina, dal Uziggrinddfoetivdambrlatlubsnscilzalinltt6rtBsso quale tengo lane-tizia. Saputo allora della ar : infermità del Pianell, egli, ubbidendo a un moto generoso, si rivolse al Ludolf, la cui sorella era moglie del generale, per chiedere notizie ed esprimere i suoi auguri di guarigione; e il Ludolf gli rispondeva, l'S marzo del '90: c Reputai mio'santo dover^, nello scriverò a mia sorella, di far noto a mio oognato con <|iia!". e quanto in li:russo si era la ?.latstà Vostra compiaciuta <Jj chiedermi di lui in occasione della so- f pravvenutagli grave malattia; e mia so- rolla a sua volta mi rispoude trascriven domi le seguenti parole, dottatele dal ma rito dal suo letti), e che io riporto teatual niente a Vostra Maestà »; pregandola (30g giungeva) di « degnarsi considerarle come ad es*-a esclusivamente affidate ». Le parole del generale Pianell erano queste : t Io non ho ma dubitato un istante che l'Augusto signore, di cui tu scrivi, nel1 intimo della sua coscienza ha dovuto co slautameute ritenermi carne suo fedele, leale, onesto e discnteressato servitore. Ora clic sono trascorsi treut'anni, dal 1860 al 90, e che i fatti hanno parlalo, egli ha cio vulo raccoglierò prove ineluttabili eh' quanto io gli scrissi nella mia lettera di congedo conteneva la più esplicita verità. Questa convinzione e stata ognora il mio conforto fra le tante ingiustizie e i tanti dolori sofferti. Ed ora che, vistomi in fine dtsdlccslssmqs ficarti con quale animo grato .io ho sentito di vita, ne ho con minte tranquilla rimontato il lungo percorso, non solo la mia coscienza, ma pur quella convinzione, mi rendeva calmo e sereno. L'interesse ohe l'il- | lustre Signore ha dimostrato in questa ce- /*cpsione di prenderò per me, mi ha provato che quella mia convinzione .non era illusoria. Queste, poche parole bacano a signi- leggere quanto mi hai scritto tu in proposito, e come sia vivo e sincero in me il desiderio che la espressione della profonda mia gratitudine pervenga a colui verso del quale io la professo ». Come accoglieva Francesco II questa |estrema protesta del Pianell? « Le esorcs- sioui, che avete a me esclusivamente' affi- i , ' „ . .. j , _ . date e trasmessevi^da vostra sorella, — n- spontleva al liulolf il 18 marzo, — si sono completamente incontrate coi sentimenti |cile nel mio cuore ho sempre avuti, e desi- di-ro che ciò le scriviate». r<~„ «.«m i„ _i.„ i ■ , Con tali parole, che termina.no in modo definitivo la vessata questione morale in- torno al comportamento del Pianell nel 1860 ; col nobile atto nou solo d'intima pa cifteazione ma di dovuta giustizia che in esse si esprime; mi è grato chiudere la storia degli « ultimi borbonici » di Napoli. BENEDETTO, CROCE Pianell nel