I giorni belli

I giorni belli I giorni belli PARIGI, maggio. I giorni belli sano tornati. TJoa settimana fa il cuore di Parigi ostentava ancora la precisione arida e meticolosa di un congegno d'orologeria: cuore invernale, dai .battiti frequenti e brevi, senza alterazione di ritimo, senza sorprese. Il Pallans Royal, questa specie rli perno delle sfece, dettava freddo oro uguali e monotone aJJ'immenso quadrante grigio della metropoli. Nel giardino bu maral-ìoartwii te piantato di tigli di identica statura, nient'dltro fuorché la salita monccronia dei tronchi divergenti come alberi genealogici in braccia nodose, e queste sdoppiato in rami, e i rami divisi in ramoscelli e dai ramoscelli un progressivo rampollare di stecchi e di fibrille dipinti, mazzetto per mazzetto, in inchiostro di China con la pazienza di un impiegato della Consulta araldica. Contabile scrupoloso, la luce sceca di Parigi, costantemente nltrata da un tendone bianco conio negli studi dei pittori, allineava ogni contorno, ogni segno :in colonne metodiche, col riporto a pie' di pagina e forse la somma in fondo. Spigolo per spigolo, pilastro per pilastro, pietra por pietra. Sul suolo vitreo avresti potuto contaro i confetti di ghiaia, le pagliuzze, lo scheggie di mica, i bottoni da calzatura, i lembi di giornale, i passerotti intirizziti e di ogni passerotto dettagliare le ombreggiature delle penne, il chiaro della gola, la capocchia dell'occhio. Dietro i cancelli delle arcate non avevi bisogno di aguzzavo lo sguardo per discernere a distanza nello vetrine gli anelli, i braccialetti, gli orologi, i collari da cane irti di 'setole, à volumi scompagnati dell'Enciclopedia del Bidot, i pettini di falsa tartaruga, i barattoli di pomata, e, più indietro, come pesci voganti dentro un acquario, i profili sonnacchiosi dei bottegai. Paesaggio lucido, razionale o cartesiano. A passare gli anditi tenebrosi e a spaziare in direzione dei quattro punti cardinali, lo spettacolo continuava moltiplicato per cento, per mille. Verso l'Etoile, verso Vincennes, verso Saint Oiicn, verso Centilly, sempre uno stesso diramarsi di strade, le meno grandi dallo grandi e le più piccole dalle piccole, come se lo schema di quei tigli centrali venisse a mano a mano proiettando il principio tirannico della sua logica naturale sull'intera materia artificiale della città. E vie, contrade, viali, piazze, bastioni, profilati gli uni dopo gli altri fedelmente, senza una macchia nò una sbavatura, ciliari da poter fare il censimento delle case e nelle case addizionar le finestre e nelle finestre le stecche delle persiane e sotto le finestre i lampioni, e tra i lampioni, sulla rete di capello del ciottolato, le treccie parallelo dei veicoli, gli orinatoj di lamiera, i salvagente con eopra i pedoni allo spiedo, le guardie di città con lo gambe aperte sotto la mantellina, le palle di sterco dei cavalli da tiro. Bianco e nero, nero e bianco, a perdita d'occhio : e sui margini tutto un pastello cinereo lucidato a forza di dito. QueBta era Parigi. Poi, d'un colpo, è venuto il caldo ed è •tata una rivoluzione. Da Auteil e da Bercy, le due estremità dell'arco fluviale, la Senna è diventata la pista soffice di una corsa di globi d'aria tepida convergenti verso la cocca, rotolanti l'uno sull'altro quali labili bolle di sapone impazienti di spegnersi nella tinozza umida del Palaia Royal. Dalia porta Hi VersagUia, dalla porta di Orléans, -dalla porta d'Italia, i grandi imbocchi meridionali di Parigi, l'invasione della primavera è cominciata come un lento brivido. Primi a coprirsi di peluria gli al[beri del parco di Monteouxjs, all'estremo sud; poi quelli del cimitero'di Montparnasse, poi quelli del giardino del Lussemburgo. Fra gli uni e gli altri, i boulevards sembravano stimare, scoppiettando, là miccia complicata di un fuoco d'artificio verde. Le gemute, sui' rami, dure come cartocci di polvere pirica, esplodevano ad una ad una accendendo fiammelle bianche, propagando l'incendio di albero in albero, di piazza in piazza. iUn bel mattino la peluria si è fatta velluto, poi frangia, "poi ciuffo, poi mazzo : la ramaglia stecchita ò scomparsa dentro una garza colar bottiglia dalle trasparenze di fuoco di bengala. Sopra i giardini arrugginiti, attraverso a cui l'occhio aveva per tanti mesi contato le panchine, le statue, i pioli delle bordure, i cartelli con su scritto: « Vietato attraversare il prato », un yelario fluttuante è venuto spiegandosi a palmo a palmo come su quei teatri da fiera dove si tira a fatica lina tela con le carrucole per impedire ai curiosi di godersi gratis lo spettacolo dalle finestre. Di giorno in giorno, il velario più fitto, pezzato qua e là di toppe più scure, di rammendi azzurrognoli, di scacchi bianchi e gialli. Lo direste volentieri anche un grembiule che abbia già troppi anni di servizio e che il vento, cacciandovi dentro le dita, si diverta a scucire ancora, facendone saltar fuori di sorpresa ginocchi di sabbia incandescente. E, in pari tempo, un che di acquoso per tutto. Finita la rigidità arida delle linee. Ogni tanto una girandola di pioggia calda inghiotte un quartiere, lo solleva in una sfera iridacea, verniciando . qua un filare d'alberi pari a. uno steccato da circo, là un tetto di zinco bluastro; più in 'là la squama di una fontana, l^uoco d'artificio e getti liquidi lottano insieme mescolandosi in. una tremula confusione dove i colori stingono l'uno nell'altro, rigando cielo e terra di striature cangianti come lo scolo di una tintoria. 11 cielo si specchia nel quarzo dei tetti, i tetti si riflettono nel cielo imperlato di goccioline, accartocciato in stagnolo di vapori, venato, secondo l'ora, di cenilo, di rosa o di verde pistacchio. E in questa confusione contorni e masso sembrano perderò l'allineamento e l'appiombo, procedere di sghembo, barcollare, Muarrirsi. La retina è passata a un tratto dal presbitismo più implacabile alla miopia senza rimedio. Agli angoli «ielle strado, non trovate più lo casseforti degli ostricari col loro numerabile capitale di monete fossili ma chiazze soffici e indistinte di carmino, di violetto, d'ocra, di biacca: le cesto della fioraja. Nelle vetrine non vedete più gli articoli di Parigi disposti ad uno ad uno coi cartellini del 'prezzo alla rovescia ma la falda turchina. Bell'ombra gettatavi su dalla tenda palpijtante. Al divisionismo è succeduto l'impresaioausmo, al bulino l'acquerello. Parigi, per qualche mese, non sarà più eartesiana ma pragmatista. La contemplazione compassata ha ceduto il posto a una fcbfcività tumultuaria. Dalla porta di Vincennes alla piazza Glichy e dalla porta MailIo* a Saint Ouen una seconda città sboccia dentro l'altra. Tutto quel che c'è di meridionale nel carattere francese piglia a un tratto il sopravvento. La metropoli del Ibuon senso e delle buone maniere partorisse uno scomposto villaggio di zingari. DsJQ^gSi al. domani i marciapiedi sprofon¬ crcntlsstetaratndztsuetsrdncpssn dano fra baracche di legno che direste giunte li tutte insieme durante la notte come capanne balneari al ritrarsi della marea. La più sedentaria fra le classi di cittadini ai rivela vagabonda e avventurosa, dietro i suoi banchi improvvisati, dove la merce viene rovesciata ogni mattina fuori delle valigie di tela come il campionario di un commesso viaggiatore. Ci sono tipografi che stampano all'aria aperta biglietti da visita, fabbri che martellano attaccapanni di rame, cuochi che rivoltano frittelle nell'olio bollente, caffettieri che squassano in cima al braccio il tostino infocato, ricamatrici che piantano l'ago sul telaio, ottici ohe lustrano occhiali. Cento mestieri, fuggiti dalle botteghe che sanno di muffa e dove ancora frizza l'inverno, rifanno pelle nuova sul lastrico, ail tepore del primo Hole. I volti sudano, le maniche si rimboccano, i toraci si gonfiano. Dallo case dirimpetto, le bottegajc che non hanno emigrato escono, sdegnose e piene d'invidia, sulla soglia, col pretesto di lavare i cristalli della vetrina ma in realtà perche quell'improvvisa invasione di gazze mette sossopra anche loro avvertendole che offe privamente i bei giorni sono tornati e che non è più tempo di scaldini nò di gatti sulle ginocchia nè di llanollo sullo stomaco bensì di spalancare le finestre, di innaffiare il marciapiedi e di riporre i soprabiti nella naftalina. Sotto un cielo ohe passa venti volte al giorno dall'azzurro al grigio, e viceversa, in un'atmosfera percorsa da fiati caldi e da sùbiti aggricciamenti, l'attività subisce alternative di un'incostanza tutta femminile. Un momento, è l'argento vivo: i veicoli guizzano, i pedoni raddoppiano il passo, i cerretani balzano in piedi sugli sgabelli, lo giostre frullano come parasoli tenuti fra due dita, ai balconi appajono pappagalli, materasse, vasi da fiori, donne in cuffia da notte, sotto gli alberi, nei cortili pittori improvvisati beccano rapidi a brevi pennellate di minio o di biacca pali, insegne, vetrine, ruote, porte, finestre, fanali, panchine — prenez garde à la peinture — in una frenesia d'invernici atura generale, come per l'inaugurazione di Parigi. Un altro momento, è il languore: veicoli pare cho non ne passino più, i capannelli si sciolgono, i pappagalli si rintanano, le donne strascicano i piedi tirandosi dietro mocciosi che non vogliono saperne, le giostre si incappucciano come per pigliare la doccia, le panchine appena tinte biancheggiano di fogli di giornale incollativi su dai deretani dello balie che non. potevano assolutamente trasportarsi dieci metri più in là. Scherzi della primavera: voglia di dormire, ginocchia che si piegano, braccia che cascano, volontà che si spuntano. Ma che uno zcfiìro risoffi, che il sole torni a infilare arcobaleni attraverso le spugne delle nuvole prima di gettarsele dietro lo spallo, ed ecco il languore scrollato via c da un capo all'altro della città i marciapiedi riaffollati screziarsi di palloncini volanti e di rose da vento, di ponnocolorate simili a teste di pellirosse e l'asfalto fumare allegro di pennacchi celesti di benzina fra le tende dei negozi come un accampamento all'ora del rancio. Non ci mancano neppure le fanfare. In questa città nemica della musica, i primi giorni belli dell'anno fanno la leva in massa delle trombe, delle cornette, dei clarini, delle grancasse, dei flauti. Cacciata dal centro, dove scia quella a pagamento è tollerata, la musica gratuita irrompo fuori di. porta, piglia d'assalto i villaggi di tavole fungheggianti nella polvere suburbana, quasi la voce di un popolo che corra incon- tro alla primavera, alla campagna. Passata a Natiou, questo cuore primaverile di Parigi, bastioni e viali invasi dalla fiera sembrano parchi della Piccola Volocità dove abbiano scaricato migliaia di scatole armoniche in azione. Dal Oirco Kanfretta alla Lotteria della Fortuna. — Qui nessuno perde — è uno strillare di ottoni che squassano tutti insieme nello spazio dilatato milioni di orde metalliche, come un tappeto di barbagli. Anche nelle ore in cui la rappresentaione tace, trilli e vocalizzi scappano di sorpresa a.t,t/ra verso le fossi ire dello tavolo, lingueggiano acidi dalle finestre socchiuse dei aitimbandii. Virtuosi che studiano la parte, neghittosi o amanti in vena di sentimento? I carrozzoni fumano placidi dalla ciminiea arrugginita. Scostata da una bava di ento, qualche imposta svela all'occhio iniscreto le stoviglie bianche sulla credenza i faggio, la goccia rossastra di una lampadina elettrica, il fiocco zafferano di una onnella da ballerina appesa a un chiodo, e colze color carne di una ragazza cho rinonda l'insalata. Il borghese immalinconio si forma ad ascoltare sotto una tendina ai nastri rosa l'assolo di un flauto ; e le uo pupillo fissano con nostalgia le biette i legno conficcate sotto le ruote polverose. Quattro robusti colpi di martello, e le ruoto orneranno a scorrere, libere, se ne andrano vagabonde per strade o campi, chi sa fin ove, col loro flauto, la loro ragazza, la loo insalata. Per consolarsi, mormora, sollevando a faica le suole di piombo che lo inchiodano sui iottoli di Parigi: — Poveri diavoli! E l'inerno? Ma due occhi neri ridono beffardi spensierati dentro una faccia bianca. Che nverno d'Egitto! I giorni beili son tornati. CONCETTO PETTINATO.

Persone citate: Auteil, Bianco, Bidot, Dalla, Palaia Royal