PAOLO DIACONO

PAOLO DIACONO PAOLO DIACONO Egli nacque ai confini del giovane regno, conquistato appena dalla sua gente; in mezzo alia grande pianura dell'Agro friulano, su cui allora il vento dai monti carnioljni correva, facendo curvare per tratti immensi le alto orbe dei pascoli bradi, c soltanto per esili stirisele di terreno le messi © le fienagioni ravviate dalla mano dell'uomo; «eli ampia casa barbarica, costruita di tronchi di larice, coperta di stoppie, cantata dallo steccato. C'erano ancora, in fondo della corte, i grandi carri coperti delle migrazioni ; e c'erano già, nel borgo più vicino, quattro pali con ritti nel terreno, e poi di traverso altri legni legata, e a questi sospeso il dono di due povere campane, di due rusticane ma.rbbio.llo. Ma meptro ogni anno i carri antichi si sfasciavano sempre di più e lo ruoto massiccie affondavano nel terreno, ogni anno il campanile nuovo era riattato, e le campane squillavano sempre più sicure, da più alto. Il bambino, appena camminò, ebbe ni piedi un paio di zocooletti di legno, uguali a quelli che ancor oggi servono a tutta la ragazzaglia, brulicante e sguazzante fra lo pozzanghere e le concimaie, pelle grandi corti del contado friulano. I vecchi dicevano al bambino: — Noi non siamo di qui. Questa terra, distesa verso Occidente, è Italia, e noi l'abbiamo presa: ma noi non sdamo Romani. II bambino chiedeva: — Perchè non siamo di qnit — Perchè noi siamo di un'altra razza, dì un altro sangue. Come, non lo sai? Cria così grande, non sai ancora queste cose? Noi siamo i "Vinili, noi siamo i guerrieri, i Longobardi : veniamo da lontano, da molto lontano. ' — Da più lontiano ohe quei monti? . —Da più lontano di quelli, e di altri più terribili, dietro ad essi: da un grande paese, da un'isola, dove sono immense foreste di pini che arrivano alla riva del mare. Erano parole solenni, pronunciate da servi fedeli. Qualcuno dei vecchi pi rimboccava/al gomito la manica del giaco di pelle, e mostrava la cicatrice di una ferita transalpina. Altri raccontava gli itinerari della Pannonia e del Nerico, e parlava degli Svevi e dei Bàiuvari * nostri parenti », dei Sassoni «nostri autiohi amici». Il rombo della cavalcata durava ancora, attorno al bambino, nato dopo, sulla terra alfine conquistata, nella casa stabile e ferma, alfine costruita. Gli dir evano anoora: — "Vediamo un po' se sai chi ha carferoìtio questa casa? * U bambino pensava. Egli conosceva ì no-' mi antichi, sapeva la vecchie storie: ma le parentele sono così intricate! — Leupichi, il nonno di mio padre. — No, non Eeupiclii... Leupichi la ricostruì. Ma il primo a edificarla, fu Leu fi. Leufi poi generò Leupichi,-e Leupichi generò Arichl, e Arichi generò Warnefrido, e Warnefrido è tuo padre, e generò te. Leu2 era giunto qui a cavallo, con la sua farà: la terra gli piacque, il cielo anche: fu tra i primi longobardi che chiusero tra le siepi un campo, e che si fermarono al di qua dai monti. Ma tutta la avventura della gente longobardica, ohe nel resto d'Italia s'era, già composta e assestata nella sicurezza del dominio, qui, ai confini, nel Friuli guerriero, ribolliva anoora. Oh, come il piccolo Paolo, figlio di Warrtefrido, seppe presto che occorreva tenere questa terra in punta di lancia, ed esser pronti a balzare a cavallo e a correre incontro alle bando di Avari, di Unni, agli Slavi di tutte le stòrpi ancor vagabonde, che invidiavano ai Longobardi la preda, e volevano calare dalle Chiuse e ardere le difese del Ducato, abbattere i bellissimi campanili delle borgate, uccidere Warnefrido suo padre, e trarre lui, il piccolo figlio di Warnefrido, per i capelli in schiavitù! Oh, come dovevano piacergli i nomi dei poveri castelli, Cormous, Nimis, Ragogna, Billeris, Osopo, che gli uomini della sua razza avevano costruito a. sbarrare la strada al l'invasore ! Oh come, dovette imparar presto a scrutare i monti, nello serate estivo, se qualche colonna di fumo non si levasse a segnare, dinanzi a tutta la pianura, che i predatori erano là! E le colombe della morte, sparse per tutti i campi del Friuli ! Era la vecchia usanza dei Longobardi. Quando un guerriero moriva lontano, o in guerra, o in prigionia, i superstiti piantavano ai confini del fondo famigliare una pertica, e in cima vi inchiodavano una colomba di legno, rivolta in direzione della terra, dove il povero morto giaceva. Se ne vedeva più di una. dalla casa del Longobardo "Warnefrido, oltre la salciaia e le siepi ; d'inverno, un po' di neve vi reslava sopra, tra il cavo delle ali di legno; d'estate, le verle vi si posavano a.cantare. E quanto di queste pie colombe il piccolo figlio di Warnefrido si fermasse a guardare, per la' campagna, egli lo trovava tutte con lo teste rivolte in una direzione sola, verso l'Isonzo e le Alpi. • Poi il bambino di Warnefrido friulano crebbe in età, frequentò le corti dei re, i palazzi di Pavia, i campi dei guerrieri. Fu fedele e consigliere di Astolfo e di Desiderio. Ku ospite di Carlomagno. Pregò in molte chiese, erette allora dalla fresca pietà: nella Basilica di San Giovanni di Monza, onorata di molti doni regali di oro e di argento : nel gran santuario della città ticinese. San Pi^ro in Ciel d'Auro, fuori le mura; nel Cenobio costruito in cima f.ll'alpe di Bardone, chiamato Berceto. Fu uomo dotto e pio. Scrisse epistole latine. Poetò. Il suo nome diventò celebre; egli si chiamò Paolo Diacono. Conobbe nomini e cose memorande e terribili. La tazza fatale, entro cui Alboino aveva mesciuto il vino a Rosmnnda: ■ io stesso — egli lasciò scritto — vidi in un giorno festivo il Re Racbis mostrare quella ooppa ai suoi convitati ». Seppe con quali mezzi Dio. so vuole, ammonisce i re ; col volo di quella colomba, contro la quale Ro Grimoaldo teso l'arco invano, spezzandosi a lui di un colpo la vena e la vita; col,volo di quel moscone, cui Re Cuniberto riuscì a strappare solo una zampa, e che rivelò i segreti del cuore di lui ai suoi nemici ; col volo di quel cùcùlo, che andò a posarsi sullo stendardo di Ildcprando appena proclamato re, e tutti — era così facile ! — compresero che il principato di quel giovino sarebbe stato effimero e vano. Indagò i castighi, che colpiscono i popoli: gli sciami delle locuste, le messi guasto dai topi roditori od avvizzite dalla nebbia, la pioggia dei lagnateli, la polvere e le ceneri ardenti fruttate àaf Vesuvio, un .vulcano famoso cusmateeqdqsvnitidmvecunddcsanfdTdfgcmpmcsaddcmsdpdrilplplbmgcraddorrldsgdspdrncisgdslldldbcaraAddpcl che si trova presso la marina della città uapolitana. Conobbe da testimonii le risposte argute e gli stratagemmi di duchi famosi; come quando Alachi aveva inandato a dire all'inviato di quel vescovo: n Andate, e dite a costui che se ha le brache nette entri, e che so no, resti fuori » ; o come quando il saggio'C prudente Re Ariberto, dovendo ricevere ne) suo palazzo di Pavia qualche messo di nazione straniera, indossava abiti vili e pelli volgari, nè mai faceva mescere ad essi vini prelibati, affinchè non si invogliassero ad insidiare alla pace italiana. Vide quale sia il destino dèi potenti quando sono vinti, che dovono avare il naso c gli orecchi recisi, coinè ebbe Teodorada moglie di Auspranrlo, perchè si era millantata di voler essere regina; o che devono avere mozzate le gambo ed il capo, e rimanere nel fanjro, cadaveri informi, corno aceaddo ad Alachi, clic aveva voluto usurpa.ro la corona. Vide infine la invasione dei Franchi traboccanti dalle malguardato Chiuse, Krineugarda ripudiata, "Desiderio in un convento, Adelchi fuggiasco, c come cadono i regni. Finche, fattosi monaco nella badìa di Cassino, impreso a narrare tutto ciò ch'egli aveva udito o veduto. Allora, in quegli anni della sua rifa benedettina, le memorie dolla sua infanzia friulana si confusero collo nostalgie, nomadi di tutta la sua razza percossa o disporli. TI chierico coltivato in tutta la sapienza dell'Occidente, sentì adagio adagio, per influenze misteriose, rive.rzicarn nel suo sangue la vagabonda inquietudine primaverile, che trae fuori dagli accampamenti il nomade germanico, appena i ruscelli corrano per la campagna. E nelle ore meridiane, mentre tutta l'alta mole del convento sul colle cassinense era ravvolta c calcinata dal sole meridionale, e lo cicale frinivavano giù alla distesa, egli si ricordò accoratamente dei paesi umidi o freddi non veduti mai, della Scandinavia, della Gotelandia, delle coste di Rùgen battuto dallo schiumoso mare; c scrisse con nostalgia dello » regioni settentrionali, che quanto più tono lontane dal calor del sole, tanfo più, riescono sane pei corpi umani, c alle alla procreazione delle genti ». Nato dopo quattro generazioni di barbari fatti sedentari su terra conquistata, Paolo Diacono pensò con tenerezza ai carri coperti dei Longobardi antichi, rotolanti sullo praterie e sulle steppe della grande Europa continentale. Cresciuto nella dolce Italia, presso lo reliquie dei martiri e le tombe degli apostoli, raccolse con pietà lo memori o degli dei antichi, venerati dai Longobardi ; insieme ai miracoli di Cristo raccontò quelli di Freia; insieme alle preghiere dei sacerdoti romani, si fermò commosso a desorivero le invocazioni dello profetesse della sua gente, prima della battaglia e della strage. Salutò da lontano, lui fatto ormai mediterraneo e latino, i popoli parenti del suo, i {rateili della gran confederazione barbarica, che aveva ri san guato l'Europa ; raccolse quanto più potè le voci della lingua antiica, sibilante come il sassone e sonante come il baiuvarico : voci di guerra, voci di comando, gettate un tempo dall'alto della sella ai servi allibiti, ed ora sperdute e sommerse dal nuovo volgare dei popoli vinti. Sentì cho il suo piccolo popolo di guerrieri si fondeva," si liquefaceva, corno in un crogiuolo, sotto il sole, così. Sentì cho il.senio longobardico si disperdeva per infinito generazioni, scendeva giù, giù, per tutte le vene e per tutte lo rio della penisola, era risucchiato nel destino e nel sangue di una nazione nuova. E allora Paolo Diacono, volle raccomandare piangendo ai poeti venturi, oh, non solo le cronologie dei sovrani e l'elenco delle battaglie, ma i racconti delle veglie friulane, lo umili memorie della sua casa e della sua farà. Ed ecco, nella sua opera, l'ingenua storiella delle tre giovinette di dividale, che tratte ."chiavo lontano, si imbottiscono le vesti di carne di pollo infracidila, o salvano così la loro verginità col fetore. Ecco il piccolo Grimoaldo, che grida ai fratelli: * Deh, nbn lasciatemi, so correre a cavallo anch'io !» e va in battaglia anche lui, così picoolimo, e ammazza un Avaro con una certa sua spadettina « quodam suo gladiulo ». Ecco infine la storia delle istorie, l'avventura del bisavolo Leupichi ; il quale era stato rapito piccino pie-, cino dai predoni di oltr'alpe; e quando fu grande, aveva voluto incamminarsi verso l'Italia, dove ricordava ossero la sua gente, la.gente dei Longobardi; e poiché non sapeva le strade, era stato guidato da un lupatto mandatogli da Dio, ed aveva veduto in sogno un angelo, il quale gli aveva detto: « Levati, o tu che dormi, prendi la via verso quella parte cui tieni rivolti i piedi ; ivi è l'Italia, mèta dei tuoi sospiri » ; e Leupichi si era incamminato, ed era giunto, ed aveva appeso lo sue armi ad un alto olino, che nel tempo dì sua lunga assenza era cresciuto tra le mura deserte della casa del padre... Poiché infine era stata volontà di Dio che i Longobardi venissero in Italia, e appendessero le loro armi ai pacifici alberi, e la loro potenza e la loro stirpe svanissero così, come lo stormire di un olmo, di uno di quei^ grandi olmi friulani, lassù. E Paolo Dia-' cono lo comprese, e piegò il capo; e questa è tutta la saggezza sicura e conclusa della sua storia immortale, De rebus gestis Longobardorum. *** Amo questo piccolo libro del secolo ottavo dopo Cristo. Quando lo riprendo tra mani, trovo in esso i] respiro barbarico, che nella letteratura italiana, troppo dotta o cittadinesca sempre, fin dalle origini, manca completamente. E' l'unica storia nostra, che non parli di Roma, che non sia infetta dell'entusiasmo, umanistico e letterato per le rovine romane. Roma, in Paolo Diacono, non esiste. Esiste l'Italia, quest'altra cosa nuova, nata allora; che vi è dentro tutta, veramente giovane, fresca come una mattinata sul Ticino, rorida di fiumi scorrenti, spopolata e vasta, direi quasi vereconda: come apparve alla razza straniera, con le schiene dell'Appennino ancora tutte sussurranti di selve, con le basse padane ancora tutte coperte di acquitrini e di brughiere. Ci sono ancora dei lupi che ululano nel fondo dei boschi, ci sono dei cignali nelle macchie, ci sono delle mandre di bufali sparse alla campagna, ci sono dei falchi che si librano sulla pianura. I monumenti dell'antichità non sono ancora stati riscoperti. Le pergamene dei testi latini non sono ancora state raschiate nel fondo dei monasteri. C'è ancora posto per i grandi re barbari e guerrieri, alzati sugli scudi nei campi di maggio, che guadano i fiumi a cavallo, fanno acedecaré* i loro nemici, e in battaglia r.on attendono neppure che lo scudiero dia loro la lancia, ma con la clava abbattono di un colpo sicuro chi li affronta, come fece Rachis; o si fan riconoscere per la sicurezza del tratto con cui lanciano la scure contro un albero o vo la configgono, come fece Autori. O eterna giovinezza dei re Longobardi, oh fonte perenne ed unica di poesia guerriera italiana ! E poiché l'animo di chi marcia in guerra a veut'anni è di millennio in millenio uguale, io trovo in Paolo Diacono l'unica voce, cho mi racconti degnamente non solo i fatti dei Longobardi antichi, ma quelli nostri, di noi, degli italiani moventi in guerra su quelle stesse strado, difensori di quelle stesso chiuse di monti e di quelli stesai guadi di fiumi. E' tutto il Friuli come noi lo abbiamo veduto. Sono i nomi degli stessi « castelli »; Nimis dove, abbiamo fatto tappa, Proposto dove abbiamo accantonato, Flatiscliis dove siamo stali a riposo. Cty\dale, la piccola C'ivirlale, è per Paolo Diacono quello che fu per noi ; ha lo splendore di una metropoli, è la capitale della terra di confine in armi, eede di tutte le delizie, principio dell'Occi lente. Sono le. stesse soste nello corti delle grandi fattorie patriarcali, sono le slesse marcir, sotto le interminabili pioggiu d"autunno, sono gli stessi allarmi correnti di un tratto tutta la pianura. Anche noi abbiamo risposto, come arinfanni, come uomini liberi, alla chiamata e al bando dello sculdascio, quando lo Slavo e l'Ungaro calavano giù per lo valli dello Itidrio e del Natisono ; e lo finestre basse delle vecchie case friulana.' guardavano i battaglioni partire, come più di millo anni prima, le fare di Vettori e di Grimoaldo. Ah, più, più che la coincidenza di nomi è la stessi aria, lo stesso odore del Friuli. Par di uscire di sotto la tenda, certo mattino di limpido inverno; e la prima occhiata, a quei monti terribili, che in nessuna re.giono subalpina paiono cosi vicini, incombenti, da potersi raggiungere iti una tappa, da potersi toccare con un braccio disteso ed armato. Oh, i longobardi di Paolo Diacono, che bivaccavano al piano, fiutarono anch'essi l'aria di quei monti, e l'odor della ruta, appena una vela di tramontana scendeva in silenzio di lassù, verso i grandi stagni ed il mare ; e quelli che salivano alla battaglia si voltarono a guardare la grande pianura con io stesso struggi meni o, conio noi la guardammo dal Korada o dal Pli-.nina, tutta molle di prati, I titta luc.icante di acque, così aperta, così debole, così confidente soltanto in noi, raccomandata soltanto a noi, supplichevole, che la difendessimo, per pietà. Ora, come accadde a Paolo Diacono, ripenso in splitudino alla grandezza delle cose. Anche, in me, il rimpianto della gioventù comincia a confondersi nella serena malinconia di tutta la storia umana. Leggo i fatti dei Longobardi: ricordo i fatti degli italiani. Un millennio fluttua nell'altro, una guerra nell'altra. Io ho conosciuto il piccolo Grimoaldo, che balzava a cavallo anche lui, e. muoveva all'avventura. Io ho conosciuto Leupichi, ohe camminava alla cerca della patria guidato da un lupo lo ho marciato al fianco di italiani che infiggevano la scure al segno come Autori. Io ho conosciuto dai giovanetti miei coetanei, che erano prodi come Raehis. Io ho veduto il Friuli tutto coperto di cinqu^eputomila antenne, levato in onore dei compagni caduti lontano; e tutte le colombe confittevi in cima, secondo l'usanza barbarica, hanno il capo e le ali rivolte verso l'Isonao e le Alpi.