Beatitudini contemporanee

Beatitudini contemporanee Beatitudini contemporanee pDopo avere crealo l'uomo, Dio s'accorse subito dio egli, per voler essere troppo felice, andava ■procacciando a sé stesso malanni e guai, e volle benignamente consolarlo e concedergli il diritto di lamentarsi: il mugugno. Tra gente di parte si chiama « ius muntiliranrti »: tra quelli che leggono i libri a stampa è detto abito critico. Come di tutti i doni divini non bisogna abusarne. Invece io sono lieto del mio pane quotidiano. Mi costa soltanto due e set.tantacinque al chilogrammo, e cioè settanta centesimi di pili di (ilici cinquecento per cento riconoscililo ai proprietari di casa come ragguaglio colla moneta anteguerra. Vero è. che, per quei settanta centesimi, il panettiere aggiunge talvolta al mio .pane una certa quantità di viso e magari di materiale siliceo, che crocea sotto le dita e, giunto in bocca, combatte una elettrica battaglia col mio dente artificiale mettendolo regolarmeli le «knock-out» Sono beato anche del burro. Me lo porta a domicilio un sorridente e rubicondo snlaul.uoiuo, a cui l'altro giorno ho domandato se, pagando, non si sarebbe potuto avere, una volta almeno, del burro fatto col latte, di quello che aderisce alla pasta asciutta e non scivola com'acquii in fondo alla zuppiera, di quello clie si direbbe vero se non fossimo abituati a veder cambiar faccia anche alla verità. Candidamente mi rispose che era. impossibile, fili sono grato del responso, e mi sono guardato bene, dal ridomandare di che cosa, insonvma, si componga quella pasta biancastra che oggi si chiama burro. Forse, l'oracolo avrebbe risposto ambiguo; ma ini piace il mistero. Non è «>n questo stato d'animo .pauroso e curioso che gli uomini primitivi e i loro poeti guardavano il sorgere del sole e la tempesta, del mare? Non vedevano ies6i nel lauro il palpitar di Dafne, o nel frutto dej mandorlo le lacrime della mesta e tradita Filli? Quali arcane cose posso io ' dunque immaginare di quella manteca. Persino, oh fantasia, che racchiuda gocce di latte. E' un luogo comune dello stupido secolo ventesimo il lagnarsi del caffè. Io penso al progresso che s'è, fatto dnlla metà del secolo decimortavo. Allora l'abate Parini, precettore d'amabil rito, consigliava: La nettàrea bevanda ove abbronzato Turna ed arde ij lenumc a te d'Alcppo Giunto e da Moca, che di mille navi Popolata mai sempre insuperbisce pel giovine signore a cui troppo intorno alle vezzose membra adipe cresce. E' noto che tutti i rimedi contro l'adipe contengono veleni. E' noto ancora che il commino deJla civiltà è, in fondo, un progreso della ma, grezza e che la felicità si accompagna col benessere, trovando ambedue tepido alloggio nella triplice pappagorgia o passeggiando birichini sui balzanti muscoli d'uri viso tondo. Tutti si lagnano di esser grassi ma tutti vorrebbero esserlo. Per questo, la civiltà moderna ha fatto cambiar di classe al caffè, e l'ha trasformato da dimagrante in ingrassante. Con quanti travagli nessuno saprà mai. Tutte le operazioni cabalistiche sulle essenze, descritte nel libro di Jezirah scritlo da Akiba, sono un nulla, in confronto a quelle che la scienza e l'industria e il commercio grande e piccolo hanno organizzato intorno all'abbronzato legume. Nel luogo d'oTigine, che non è più Moca, lo depurano del 75% della caffeina, nelle stive dei bastimenti 10 salano, lo tornano a decafeinizzare nello stazioni d'arrivo, lo lustrano colla vaselina Sn certi, stabilimenti di torrefazione, lo mescolano colla fava o col fagiolo in altri misteriosi retrobottega, dove vien macinato ó finalmente è servito espresso per la miserabile somma di novanta centesimi la tazza. 11 caffé, emblema di tutte le alchimie, zenit delle anonime manipolazioni, personificazione eloquente della pirandelliana amr.biguità tra l'essere o il pai-ere, posatura collettiva di ogni universale, veicolo trapassante della moneta spicciola, adunata di metamorfosi dalle cento teste, ricordo di passati aromi e monumento di irraggiungibili futuri, è divenuto l'indispensabile alimento dei nostri nervi: non tonifica, ma eccita, che sarebbe antigienico e ilHjgi'ile. ma deposila una patina di gl'asso sotto.cui riposano pacate lo nevrilità ricliiamate ai cimenti della convivenza sociale. Ce da esserne contenti. Se tu. fossi veramente persuaso elio la vita è dolore e questa terra null'altro che una valle di lacrime, non potresti fare a meno di ammirare il neo-Tnaluirnauiesinio di una padrona di casa, di mia conoscenza. Essa è pronta ad affittare tre camere a terreno e. uno stanzino da bagno per !a bazzecola di cjuattromila lire l'anno, ma tono esclusi a priori quelli che hanno o mostrano di star per avere o hanno probabilità di avere bambini. Quindi... fatevi voi l'elenco di tutte le persone che, anche con quattromila lire alla mano, non potranno albergare sotto quel tetto; c aggiungetevi ciucili che, avendo tìgli o. provando l'impossibilità di averne alni, Ji hanno tuttavia di sesso mascolino e d'una età. tale, clip si supponga possono rincasare tardi. La padrona di casa non vuole assolutamente che la porticina si riapra dopo che lei, con gesto inesorabile, l'ha chiusa, a quadruplice mandata appena scoccate le nove della sera. Pure anche qui c'è la sua beatitudine, velluta dall'America, donde ha portato il gruzzolo, non jiarla male dell'Italia; e bonaria è ridanciana; ha un culto per la memoria di un suo Aglietto morto laggiù, che si chiamava Gino, 'l'auto che ella chiama col nome di Gino il suo co.gnuolo dilettissimo. « Ali Ginol Ah Gino!». E ci fila sopra delle note soprane che durano un quarto d'ora, come la Toli Del Monte nel terzo atto della « Lucia ».» Gli parla. Non avendo ella troppa intelligenza e sapendo pure che il buon Dio ne ha distribuita quaggiù una certa quantità, l'ha cercata e creduta di trovare nel suo cagnolino. Ieri, per esempio, accomiatandosi da un'amica, diceva all'animale: — Gino, saluta madama. E poiché, il cane non se ne dava per Inteso, tutta seria' soggiungeva: Ha una pietra, in bocca e non può, pò- vero piccolo. Sono dal parrucchiere. Fuori è tutto bianco di brina, e un casto albore si dilfonde por la ealetta Vicino a me, una donzella di buona famiglia concede a.l secco taglio della forbice la sua cesarie bionda. Qnai versi 1111 ronzano per la testa? «Che m'importa nella fluente chioma se più non mi è allato>quecli a cui piaceva? Raccorcierolla? ... Chi e che si sagriflcava cosi? Raccorcierolla. Ahi E" Armida che, non potendo più essere l'amica di Rinaldo, si offriva ancella e schiava. Ed era pronta ad accorciare le chiome per esser proprio una serva come si deve. Ora e roroosto; sono le ancelle che ancora mantengono i capelli lunghi. Esco. Ecco la vera beatitudine. Poca gente per le strade. Qualcuno ruzzola e cade, ma si rialza ridendo. U> piazze e i corsi di Torino, con tutta questa, tappezzeria di bianco paiono più vasti. Tri» solenni, più torinesi. Oh città nostra veramente rogale I x

Persone citate: Aglietto, Akiba, Del Monte, Parini

Luoghi citati: America, Italia, Torino