Ce cantate di Malaparte

Ce cantate di Malaparte Ce cantate di Malaparte Ce caate dc Nè si potrà dire di noi ohe siamo 'degli sterili polemisti, i quali sciupano, in diatribe inutili, il tempo che utilmente potrebbero dedicare a nn lavoro letterario più serio: o, come dicevano nell'ottocento romantico e interessato, e perciò polemico, alle opere. Noi sdamo fra i pochi giovani scrittóri che sanno discutere, e darsi alle opere >. Così scriveva, poco tempo fa,, con simpatica immodestia, quel Curzio Malaparte, anima di buon dannato, il quale tanto bene mostrasi in cima alla bigóncia dell'arrutfapopoli e del caporione, a dar ' fiato, e che fiato, alle trombe del supremo Giudizio, da troppo tempo arrochite nell'umido delle cantine, eh'è un sano piacere battergli le mani. Però, benché fatto egli sia di nudo legno di sorbo, sua è la sorte d'essere sempre come l'amico suo Marat, la Cassandra d'ogni rivoluzione letteraria; la quale cosa un po' troppo, gli garba, tanto da compiacersene. Tuttavia, a chi ben guardi, le sue prorompenti opinioni non pesano certo quanto quelle di un sofo o di un loico, dall'anima di carta scritta, bensì quanto quelle di un uomo, che la vita la sa spendere sino agli ultimi spiccioli, senza badare al centesimo. Ora, prendetelo pure come meglio vi piace: o come crudele e talvolta parziale polemista alla D'Aurevilly, O come saporoso narratore di ghiotte gesta buffonesche, o come cantastorie dalla schietta vena popolana: la sua faccia aperta e spavalda, e magari pronta a far le boccaccie, voi la vedrete sempre in pieno sole; mentre il auo carattere estroso e prepotente vi li drizzerà davanti come il «favolino di Cartesio, ogni qualvolta vi piacerà di" mettere il naso entro la polvere pirica delle sue pagine. Però, scalmanato com'è, i suoi ruzzi c le sue mattane hanno un fondo d'umore assai più pensoso che scoutroso: il far chiasso come un invasato, il metter pepe sopra i foruncoli letterari, l'agitarsi per uno <r strapaese » tutt'altro che arcadico, il dar mazzate a destra e a sinistra, il pistolettare contr'ogni bersaglio, sono tutte scintille e razzi di un medesimo fuoco. Ogni suo libro nasce dalla polemica; e sta in piedi sopra un'antipatia, che lo scrittore non si dà nemmeno la pena di velare. Negategli lo spasso di tirare la coda ai cani vagabondi per il Parnaso, o quell'altro amenissimo di far solletico sotto i piedi delle marmotte e delle bislibrger| scrstrderfinedeldeldeltarquemech'irusfacantciòdelmedi e qnispotlinMociadeltonBae alindelneltorpalanssvpaqud'uStrd'uti Dicomstosiul'adicunforIdCagiuracnequfudetartarughe, e la sua arte, sia essa ;Beprosa o poesia, perderà dì potenza e di colorito. Anzi, più egli diventa fazioso, più la pagina gli esce, sotto la penna, arroventata e balzante, immaginosa e piena di fosforo. Uomo di parte, cioè uomo di fede, egli non sa concepire la letteratura come un giuoco di fantasia, come, un ninnolo di lusso, come un t per finire 1 bor ghese; ma le affida, come il Foscolo della Orazione inaugurale, un ufficio squisitamente politico. Perciò, se non fossero esistiti, o se non esistessero tuttora, gl'italiani 0 nialtusii, eclettici, liberali, borghesi, atei e possidenti • del D'Azeglio, non esisterebbero nemmeno le pagine della Italia barbara; come, senza l'odio del Malaparte per l'europeismo, e senza la sua nostalgia per una Italia tipo Rinascimento, anche le sue A vventure di un capitano di tventura potrebbero sgonfiarsi alla prima puntura di spillo. E' logico, Suindi, che la sua turbolenza nasca alla passione, e la sua letteratura dalla polemica. Oggi, senza gl'italiani barbogi, o senza i francesconi, o senza i pistoiesi mangiatori di bilordo, anche queste cantate dell'.4rei<aUano (1) suonerebbero a vuoto, o per 10 meno non avrebbero sapore. In un certo senso, la letteratura del Mala parte è una specie di compromesso tra l'arte e la politica, come la sua critica è un compromesso tra la esegesi e il pamphlet. Ora levate coteBte cantate dal clima di reazione, di cui si sono insaporite, per giudicarle a un lume estetico, e non saprete più a quale santo votarvi. Esse presentano confini precisi e palesi intenzioni, al di là. delle quali è superfluo portare 1 termini del giudizio. Ben poco si gnificato, quindi avrebbero i corsinetti: « Qui si eanta In Italiano chi non Intende é gran ruffiano». «Lunedi mandò martedì da mercoledì per sapere da giovedì se venerdì avesse detto a sabato che domenica, era festa», se noi dimentichiamo da quali zone polemiche la poesia del Malaparte prende l'aire, e di quali idealità si giustifica. Naturalmente, il nostro Malaparte è un popolano per modo di dire, lingua e stile lo rivelano un letterato coi fiocchi, alle prese con molta gente, e di varie generazioni: un mezzo 8alviati, o un mezzo Borghini. C'è più scaltrezza e finezza e gusto in cotesto ttrapacsanismo che in tutti i giuochi di parole di Cocteau; più sapienza liùguaiuola in cotesto figlio di Prato, 11 quale fa lo straccione, che in qualche epigone di D'Annunzio. Se egli ha la chitarra invece che il liuto, ^e preferisce ai sonetti e alle esatte cadenze degli endecasillabi una musichetta che sia tra quella delle strofe del Sor Capanna e quella dei canzonieri fieraioli, poco importa. O barbogi d'ogni paese che v'affannate a metter boria e vi pagate a un tanto il mese la compiacenza della storia so non restate sulle spese di voi nessuno avrà buona memoria. Venite tutti a Strapaese se avete 11 ruzzo della gloria: ci iti" di casa 1 pia balzani e 1 più famosi arcitallanl. Tra 11 Bisenzio l'Arno l'Ombrone e la vai d'Blsa è 11 nostro regno: alla brutta e alla bella stagione . vi crésce l'erba dell'Ingegno. Ahimè da noi non v'ò più religionedi peccati ognuno è pregno ma' per la vostra devozione abbiamo un santo ch'i tutto di legno. Ava osteria gratta piena ré Io daremo nella schiena, fini, fi altrove! n'intende, coma la brdeMturacoapziodvpdcsinXVtampidisi destsp(AsodvglinlagtoLp(1ctdrertngIfdPiblmnSls di Malapartebisaccia di' Malaparte ti» piena di libri; nè troppo difficile sarebbe leggerne il frontespizio. Il gusto dello | scrittore appare radicato in terra nostrana, e scaltrito da un senso di modernità che raramente va oltre il confine. Perciò, a chi ben guardi, il tono delle sue facezie, dei suoi tratti, delle sue buffonerie, dei suoi motti e delle sue burle, noi possiamo raffrontarlo, senza ch'esso si snaturi, con quello del Piovano Arlotto, del Domenichi, del Gonnella, del Barlacch'ia; come certo suo gusto di lingua rusticale e certo suo umor viperino facilmente si ricollegano alla nostra antica letteratura. Quindi, senza che ciò voglia indicare la fatiea imitativa dell'orecchiante; ma piuttosto per meglio spiegarci, non le espressioni di cotesta letteratura, ma la teorica, e quindi la polemica, dello strapaesanismo; nella bisaccia del Malaparte potremmo indiziare, quali testi di lingua, il Berni della Catrina e dei Mogliazzo, il Buonarruotd della Tancia, il Mariani dell'Assetta, il Lippi del Malmantile, il Cartaio del Capotondo, il Campani del Coltellino, il Baldovini della Canzone per Maggio; e ancora il Pulci e il Doni, il Bracciolini e il Caro, l'Aretino e il Manzini delle Satire. Quando Malaparte, nella Cantata dei tur eh esc hi impalatori e dei cristiani impalati, usa la parola sguerguenza, nel senso di malanno o di danno: Venite tutti sui rostri sambuchi stendardi al vento e non fate sguerguenza: scogllonatisslml eunuchi v'Impaleremo in confidenza... pare ch'essa sia tolta di peso da qualche opera « in stile andante » d'un dei Rozzi, o balzi fuori da quei Strambotti rusticali, e contenzione d'un Villano, e d'una Zingara, scritti dal senese Michelagnolo Castagni. Di più, strano non sarebbe ricordare come, appunto tra Prato Siena e Pistoia, sul principio ■ del cinquecento siuo a mezzo il seicento, fiorisse quell'arte pastorizia — si badi: non arcadica tipo Sannazzaro — nativa, e in un certo senso volgare, la quale poi formò quelle Commedie e quegli Idillj rusticali, il cui numero, dal Catalogo che Giulio Ferrano aggiunse alle sue oggi quasi introvabili raccolte, appare in vario modo imponente. Ora, molte di coteste cantate, quelle che più sono fantasiose e fuori dei tempi, come la Cantata della fiera dei becchi, la Cantata di ;Bernocchinò, la Cantata delle mogli a i a n o o o e i e , r e i a , a a i , r n a i i n a o al e i ie e si e e, o e, lù o hi a o, lli o, aiEattosi cla ppa, l losonne, dioparl'Inquimavirttoriti. spirficaaccde avecolotradnosComglievecccosnebdi CerumvoldeldelcenVI peraltrprena no ti LaIprete ra«Vunitasitdi moriudepae ddeErcoraAbmaposcipecaIpaawcemeeszasturenpefedsimsabriache e delle botti piene, la Cantata della Cicciona e delle tei palle dei Medici, si vestono d'una allegrezze i retutta toscana, fiorita tra il popolo, razzente e un po' sboccata, come si conviene a gente poco di lettere. Ma appartiene essa a una nostra tradizione, che comincia dai Servente»*: Deh. com'egli è gran piotate de le donne di Messina, veggendolè scapigliate, portar pietre e calcina: deogll dia briga e travaglio . . chi Messina vuol guastarsi sino alla' poesia anonima del sec. XVI11, amorosa e cavalleresca, e cantata a suon di mandola. Naturalmente, quella di Malaparte è assai più furba; e nel poeta si sente l'uomo di letture, raffinato e guardingo, che si delizia a fare il tonto. Ascoltatelo ; O granocchia! chi vi consiglia? non è più l'ora di star sull'imbraca: avete U diavolo In famiglia e vi pigliate la briaca? O miei pratesi allentate la briglia sembrate In groppa a una lumaca, ahimè Pistola vi dà la pariglia dice che 11 cuore vi s'imbaca. Ma se l'avete già bacato Pistola sempre amerà Prato. Oppure : Vino bianco e vino rosso obliala puppabarlll ne ho bevuto a più non posso e ho dormito nel fienili. MI fan male le budella obliala puppablgouos la ho bagnate alla tIsella ne faro trippa da conca. Ho pisciato nel paiolo ohllalà puppacantlne chi ha U gargòzzolo acquaiolo affogherà nelle mezzine. Ora, non ci pare di dovere considerare cotesta poesia al lume dell'estetica pura, ma piuttosto come una specie di polemica letteraria in rima. (Altrove, sarà- la polemica politica a soffiar sui versi: O barbogi grattaticele dite. l'Italia chi l'ha fatta? ahi questo povero stivale era ridotto una ciabatta. La .vostra Italia liberale era -più grulla assai che matta: se fosse andata a finir male noi non saremmo pari e, patta. Ma sia pannocchia o sia piolo • l'avreste avuto nel bocciolo.) Ad ogni modo, in cotesto miscuglio di fantasia buffonesca e di volgarità, v'è qualcosa che persuade e 'ohe lo giustifica ; ed, è una fresca, franca e libera potenza di scrittore. Piaccia o non piaccia, nessuno gli può negare la sua personalità di sbarazzino e di guastafeste, la sua maestrìa antiretorica, e il suo gusto di fiorito pratese. Le quali cose, nel nebbione d'oggi, ci paiono sufficienti per fargli buon viso. GIUSEPPE RAVEQNANi. ibt: quObgistoredaberavanaacpaisgrlacol'ilagrhastgrstcoe irmteidmdoe citansa(1) CURZIO MALAPARTE: • L'arcttallanoV La Voce. - Roma. - L. 15. (pdAmtotodAnsinracodscpemegNaSulds■hIlaaIteggsd©FT