Radioscopia del Leopardi

Radioscopia del Leopardi Radioscopia del Leopardi pDa tempo, temevamo che gli studiosi nostri, affascinati dalla critica estetica, avessero perduto il gusto delle belle e pazienti erudite fatiche, eia storiche e sia filologiche, preziose «. necessarie quanto quell'altre, in ^er© personalissime, per cui la cultura progredisce con incerto piede. Perchè, non soltanto di rado appaiono criticamente curati i testi dei classici latini e greci; ma pure quelli dei classici nostri, maggiori o minori, dei quali ogni dimenticanza è colpevole, oltre che dannosa. ' Ancor oggi, se dei primi noi ricerchiamo qualche testo che non sia scolasf.ico, è necessità ricorrere alle edizioni straniere: a un Platone delle Belle» Lettre», a un Teocrito delle Oxford Edition*, a un Cicerone delle .Teubner. Eppure, persino la piccola e da appena un secolo rinata all'arte e agli studi, ribelle Catalogna s'onora d'una perfetta collezione di classici latini e greci: la Fundaciòn Bernat Metge, diretta dall'Estelrich ; la qua le, in pochi anni, ha già stampato una trentina di volumi, testo e traduzione perfettissimi: da Seneca e Plinio il giovane, da Lucrezio a Tacito, da Aristotile a Plutarco, da Cachilo a Tibullo. Da noi, dopo le edizioni di B. Sabbadini {Georgiche ed JJBneide) e di C. Pascal (Bucoliche), che mai s'è fattof "In quanto ai secondi, recentemente, ■imo dei nostri migliori e più appassionati umanisti, il Bulferetti, giustamente lamentatasi per la mancanza 'd'una edizione critica dell'opere foscoliane, e in special modo per quella 'delle Grazie e dell'Epistolario. A dire il vero, cotesto torto non soltanto al Toscolo s'è fatto, ma anche-al Parini • al Manzoni, pel quale continuano •gli spropositi dello Sforza e del Bonghi ; ad antichi e a moderni ; ai maggiori e ai minori; che le poche nobilissime eccezioni — l'Africa del Petrarca, il Milione di Marco Polo nell'edizione integrale di Luigi Foscolo Benedetto, la Divina Commedia nel testo critico di Mario Casella, l'Acerba di Cecco d'Ascoli nell'edizione centenaria del Crespi, — se danno qual. che viva speranza per l'avvenire, non possono certo soddisfare le varie e molteplici esigenze della cultura moderna. E giacché abbiam nominato il Petrarca, a mezzo suo chiunque potrà . constatare quanto lenti e pigri siano i nostri fiiologhi. Perchè, se abbastanza ricca può essere la bibliografia circa li Canzoniere — dalla vecchia ediKtone del Mestica (Firenze 1896), a quella del Carducci e del Ferrari (Firenze 1899), all'ultima del Modigliani, curata sul cod. Vatic. lat. 3195 (Roma, 1904) — non altrettanto possiamo dire per le opere filosofiche, .per le epistole, per i dialoghi, e per gli scritti latini. A parte l'edizione condotta sull'autografo dall'Avena del c Bueolicum Carmen » (Padova, 3906), o quell'altra del c De sui iptius et multorum ignorantia » curata, , pur sopra l'autografo, da L. M. Cappelli (Parigi, 1906), noi dobbiamo ricorrere a vecchie edizioni, spesso incerte e scorrette. L'ultima edizione delle « Epistolae de rebus familiaribus et variae » crediamo sia quella del Fracassetti (Firenze, 1859-63), oggi introvabile. Oh ! che forse si debba noi oggi ripetere le amare parole, scritte da Ambrogio Levati nella introduzione ai suoi « Viaggi di Francesco Petrarca in Francia in Germania ed in Italia » (Milano, Classici ^.Italiani, 1820): cE' d'uopo confessare a disonore dell'Italia, che gli ^stranieri seppero più che gli abitatori ■jii lei trar profitto dalle opere latine Bel Petrarca. Un francese avrà arricchito la oltremontana letteratura co; gli alti concetti, co' filosofici pensamenti, colle faconde arringhe del Petrarca, e nessun Italiano nobiliterà \ìa sua con si preziosi tesori? ». Co testo francese è quell'Ugo De Sade, 'tioordato dal Tiraboschi, dal Bai delli, e dal Bettinelli nelle Lodi del ■.'Petrarca; e che scrisse le famosissime ' Mèmoirei pour la me de Petrarque, famose inquantochè sostennero la origine francese del Petrarca. L'amor dei clasici ci ha trascinati un po' fuori mano; tuttavia cotesto nostro discorso non ci pare inutile del tutto, nè svagato. Anzi, con maggior forza valorizza e illumina questa sapientissima c edizione critica » dei Canti di Giacomo Leopardi (1), ad i opera di Francesco Moroncini, e che .'oggi vede la luce per volontà del conte ■ Ettore Leopardi, e sotto il patronato " della città di Recanati e del Ministro della P. I. In questi ultimi anni, gli studi leopardiani si sono arricchiti di opere .egregie: ultima quella € Storia di un'anima i dello Zottoli, stampata dal Laterza, ch'è l'analisi più acuta, scritta sinora, sopra la vita interiore .'del recanatese. Ma, oltre lo Zottoli, altri degni nomi si fanno ricordare: quelli del De Robertis, del Piccoli,• del Gerace, dell'Ottolini. Ma rimaniamo, con questi nomi, nel campo della critica estetica, del commento idealistico, della interpretazione mo-• rale. Con il Moroncini, invece, noi risaliamo ai cauti metodi della critica storica: a quella scuola napoletana, che dal De Sanctis nacque, e che s'illustrò dell'opere e dei nomi dello. Scherillo, dell'Imbriani, del Torraca, dello Zumbini ; e dalla quale il Moroncóni stesso deriva. Il quale, già da tempo, è considerate uno degli studiosi più profondi e amorosi del Leopardi: da quando, nel 1891, pubblicò 3 il suo Studio sul Leopardi filologo. •Naturalmente, in cotesta sua nuova grave fatica — fatica di raffronti e ; di critica congetturale, di ricostrucione e di ricerche, d'archivio e di pexiensa — la personalità dell'uomo ri smarrisce ; ma da cotesto smarrimento più limpida e tranquilla scatu risce la personalità dello studioso: il : metodo. In virtù di questo, noi final ' mente riamo in possesso del testo de—i dei canti leopardiani; di pia i o l r i d e e o o e i a , e , , o o - i a , o , a ò . a e i o l a noi siamo messi a contatto, e quasi riviviamo quell'aspra pena e dura, per dirla con parole del Petrarca, sia spirituale e sia letteraria, dalla quale essi canti sono nati e portati sino alla perfetta bellezza. Cioè, con commozione assistiamo a una specie di radioscopia del Leo-' pardi : ai modi del suo comporre, ai sussulti e alle felicità abbandonate della ispirazione, alle lente cure del filologo, alle minuzie dell'erudito. Dalle prime convulse stesure, materia ancor calda e viva, sopra cui l'artista s'indugia a trasformare in chiara luce e suono il divenire del canto, all'ultime, ove si coglie in piena confessione il tormento estetico del Poeta, noi siamo spettatori d'una tragedia interiore, sì ohe anche la più. piccola, quasi innocua, variante rivela un deciso valore psicologico. Già, ci era noto, da una lettera del Leopardi stesso al Melchiorri (Epist. 1278), come sbocciasse dalle fatiche «matte e disperate » dell'erudito l'estro divino: « Io non ho scritto in mia vita se non pochissime e brevi poesie Nello scriverle non ho mai seguito altro che un'ispirazione (o frenesia), «opraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Fatto questo, soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento, e tornandomi (che ordinariamente non succede se non di là a qualche mese), mi pongo a comporre, ma con tanta lentezza, che non mi è possibile di terminare una poesia, benché brevissima, in meno di due o tre settimane >. Cioè, attendeva il Leopardi di essere, come scrisse al Giordani, in balia del pensiero: di quel pensiero, la cui formazione, noi ora meglio intravediamo attraverso l'edizione critica del Moroncini. H quale giustamente scrive nel dotto « discorso proemiale »: « Non sarà dunque senza frutto, anzi sarà addirittura indispensabile a chi voglia penetrare addentro nell'arte di questo genio sublime, riviverne le emozioni, determinarne il valore coi più ampi e siouri mezzi di una critica spassionata, la conoscenza di questo procedimento; e in particolare del metodo seguito dall'A. nella composizione de' suoi canti, e del lavorìo veramente straordinario e tutto personale onde- li condusse- a perfezione^». H lavoro-del- Moroncini è stato condotto sopra i manoscritti, nella massima parte autografi ; cioè sulla raccolta recanatese, sopra quella fiorentina, e sulla napoletana. Altre ve ne sono, ma meno importanti, come quella del Visto. Così, l'autografo dell' Appressamento della morte ri trova nella Università di Pavia ; quello delle Iscrizioni greche triopte. nella Braidense. Sino ad oggi, gli studiosi del Leopardi si affidavano ciecamente alla edizione lemonnieriana curata nel '45 dal^ Ranieri, nelle cui mani trovavasi il ricchissimo materiale, che poi formò la raccolta napoletana. Ma il Ranieri, nonostante l'indiscussa venerazione per il grande amico, non tenne conto, o lo tenne in malo modo, dell'edizione Starita (Napoli, '35), e delle molte e importanti correzioni che il Leopardi stesso Bcrisse sopra i margini d'un esemplare di detta edizione, allorché andava preparando il materiale per quell'altra definitiva, che dovevasi stampare presso il Baudry, in Parigi; nè si tenne fedelissimo ai testi autografi, di cui pure egli disponeva. Ora, -per la sua edizione critica, il Moroncini prende come base la Starita emendata, e quell'altre edizioni quella romana del 19; quelle bolognesi del 20, del 24 e del 26; e quella fiorentina del 31 ; — che il Leopardi stesso in sua vita curò. Prima del Moroncini, altri tentarono parziali edizioni critiche : specialmente il Mestica, con l'ediz. barberiana dell'ottantasei, fatta però soltantosugli autografi recanatesi, poiché le carte napoletane non erano ancora di dominio pubblico. Infatti, la stampa dello Zibaldone cominciò nel 97, e quella degli Scritti vari inediti nel 98. Dopo il Mestica, un notevole tentativo fu quello dell'Antona-Traversi (1887), che stampò il testo critico dell'lituo a Nettuno, e delle due canzoni Sul monumento a Dante e Ad Aiir gelo Mai, sempre valendosi degli autografi-base di casa Leopardi, e delle edizioni romana e bolognese. Ma, benché cotesto prime fatiche mostrassero la necessità d'allontanarsi sempre più dalla edizione ranieriana, altri invece la seguirono come il Bonghi (Roma, 82), e lo Scherillo (Hoepli, 900); mentre il Tambara, i' Porena e il Donati si affidarono to talmente alla edizione del Mestica. Il procedimento critico del Moroncini si rifa invece alle origini, cioè a quegli autografi-base, che, essendo i più antichi, sono anche ii più ricchi di correzioni, variazioni e note, che l'A. diligentissimamente volle conservati fino agli ultimi suoi giorni, come quelli dai quali potesse attingere (e di fatti attinse) in buona parte il materiale per le successive correzioni ». Oggi, nessuno più mette in dubbio l'utilità delle varianti ; e molti già ne dettero saggi: il Viani, l'Antona-Traversi, lo Straccali, l'Antognoni, il Porena, e recentemente il Bandini con i suoi Contributi leopardiani. Cotesto varianti presentano spesso un duplice valore : artistico e filologico; come le schedine e le note molte volte servono a giustificare ile forme linguistiche usate dall'A. con le testimonianze delle autorità che si citano ». Con ciò, penetriamo nel vivo della preparazione classica e culturale del Leopardi, nei suoi gusti e nelle sue predilezioni, nelle ragioni critiche ed estetiche di certe frasi e parole. Attraverso alle Annotazioni, che il Leopardi pubblicò quale commento filologico-estetico alle dieci canzoni stampate a Bologna nel '24, e che oggi sì ritrovalo ancor grezze nelle schede volanti delle carte napoletane, acà possiamo vedere come il Leopardi citi di preferenza scrittori del 500, e non soltanto maggiori: il Guarini, il Varchi, il Guidiccioni, il Molza, il Baldi, il Rucellai, il Cellini dell'Oreficeria; del 600 ii Chiabrera, il Pallavicino, il Bartoli; del 700 qualche volta il Parini; dell'800 il solo Monti. Abbondano, invece, i classici greci e latini. Inoltre, dalle schedine balzano vivi i modi, con cui Leopardi lavorava. O servivano esse a semplici appunti mnemònici: tDel Tasso ho letto sino alla p. 310 tutta la lettera 489. Del Magalotti tutta la lettera 13. Dello Speorni Dialoghi, Ven. Meietti, 1596. Fino a p. 274, dial. primo sopra Virgil. » ; oppure mostrano idee frammentarie e appena fissate: « Sappiate o care selve o cari monti, ch'è morto ec. Non lo credo, sarà un sogno, non è possibile ch'io sia così come sono ed ei sia morto, dimmi, ti ricordi tu di me? vedi, coro'io sono? le mie solite sventure? ec. Non vedi, morte, come sei crudele? » ; altre ancora, trascrivono, lunghe file di sinonimi, di locuzioni latine, di citazioni d'autori. Curiosissima è quella, citate dal Moroncini, in cui leggeri una specie di bella mostra di parole tetre : « crudo, vedovo, mendico, afflitto, nequitoso, infame, venefico, malefico, malnato, superbo, temerario, petulante*, protervo, indegno, malvagio, vorace, edace, miserando, ec. ». Il Moroncini poi, accanto alle va¬ i rianti e correzioni dei Canti, stampa pure quelle delle Annotazioni, importantissime da un punto di vista linguistico, poiché con esse spesso il Poeta polemizza con gli accademici della Crusca. Eccone un esempio: « Le varie note — dolor non finge. Cioè non forma, non foggia, secondo che suona il verbo fingere a considerarlo assolutamente. Non è roba di Crusca. Ma è farina del Rucellai già citata più volte, ec. ». Altrove, cotesta importanza diventa addirittura interpretativa, quanto quella delle dedicatorie, degli _ abbozzi, e di qualsivoglia altra variante. Così, la grande fatica del Moroncini ci dà u/i libro, ch'è vivente quasi al di là delle parole: biografia mentale e spirituale, curriculum d'ogni esperienza e d'ogni tormento. E' un Leopardi vivo, confessato, operante: uomo e poeta, letterato e filologo. Questa commossa impressione è aiutata dai numerosi fac-simili degli autografi, e dalla in vero magnifica e accuratissima edizione, la quale presentava difficoltà pressoché insormontabili. Ma oggi, ancor più che ieri, noi con fede e con gratitudine attendiamo da Francesco Moroncini l'edizione critica delle Operette morali. GIUSEPPE RAVEGNANI. (11. Canti di Giacomo Leopardi. Edizione critica ad opera di Francesco Moroncini. — Bologna, Licinio Cappelli. 1927. Voli. 2, L. 80. dtsRrhdgnhVptdmiqtGlCccmdstsmtaud