La vera crisi romena

La vera crisi romena La vera crisi romena S'inizia oggi i Kiscinefl (Bessarahia), in regime di censura, il processo aU'ex-6ottosegretario di Stato Manoilescu, accusato di « alto tradimento » come messaggero del P.rincipe Carol. Questo processo è il primo episodio clamoroso della lotta a fondo ingaggiata dal Capo del Governo romeno contro i «carolisti», dacché — morto Re Ferdinando — il Principe esule a Parigi ha fatto sapere di tenersi pronto ad un eventuale appello del suo popolo; è, in fondo, una nuova manifestazione di singolare interesse di quella crisi romena della quale non si è mai parlato tanto come da quando il Governo di Bucarest si è messo a dire che una crisi romena non esiste. L'ordine regna a Varsavia. Aggiunge il Governo che la questione ereditaria è risolta dall'atto costituzionale del 4 gennaio 1926, col quale il Principe ereditario Carol abdicò ai suoi diritti in favore del 'figliuoletto Michele, e nega che quell'atto costituzionale possa formare oggetto di una revi sione. C'è un Consiglio della Reggen za di tre membri, scelti d'accordo col defunto Re Ferdinando: sapran no essi regnare. Ma in verità, Jone] Bratianu ed i partito nazionale liberale, che al suo cenno ubbidisce, si sono assunti un compito per il quale, allorché ne saranno a capo, bisognerà felicitarli. 11 compito consiste nella formazione materiale e spirituale della Grande Rumenia indicata dai trattati di pa ce, in assenza di un monarca che da solo, per la sua personalità e per il simbolo nella personalità in sito, sarebbe atto a creare un equilibrio fra le divergenti forze agitanti il paese. Si capisce : due o tre secoli addietro, la massa, inchinatasi davanti al Reuccio in pantaloncini, che piange se lo mostrano alla folla e viene allontanato da Bucarest se infierisca la paralisi infantile, avrebbe bravamente gridato « Viva il Re! », senza pensare ad altro. Ma 1 secoli sono pur passati ed il pensiero umano ne ha risentito l'influenza. La massa non lancia volentieri evviva al Re di sei anni, se sa che questo evviva va diritto all'indirizzo di Jonel Bratianu, colui che spedi e mantiene in esilio il vero Re. Il torto del Principe Carol sta nel non aver saputo, della regalità, tutelare giusto quello che i secoli trascorsi s'erano rifiutati di distruggere. * * La crisi rumena è una crisi di regime. Si premetta che dal punto di vista economico il paese — il più ricco di Europa, avendolo natura dotato di tesori immensi — non ha compiuto nel.tempo nostro i prò gressi che gli altri si sono affaticati a realizzare. Si premetta, ad esem pio, che dal 190i in poi, mentre dovunque si costruivano nuove ferrovie o si elettrificavano le esistenti a tutto andare, l'intera rete ferroviaria rumena si è accresciuta di soli 200 chilometri, costruiti per interessi privati. E anche dopo la guerra si è lasciato il vecchio materiale come era, dimenticandosi che la Transilvania non poteva più rimanere imperniata su Budapest e che bisognava invece decongestionare la regione, facendola gravitare verso Bucarest. La Transilvania sta alla vecchia Rumenia su per gin come la Croazia età alla Serbia. Orribile cosa era l'oppressione politica absburgica, intollerabile davvero : però ecco i redenti insorgere contro i redentori di Bucarest e Belgrado, eccoli a lottare come prima e più di prima per arrivare ad una partecipazione alla vita politica che li tolga dallo stato di terre di conquista e al tempo stesso per salvare il patrimonio economico e culturale col quale aderirono a un assetto in cui avrebbero dovuto essere tutti fratelli. Spieghi questo la forza di Pribicevic e di Stefano Radic in Croazia (e di conseguenza le noie che continuamente essi arrecano ai potentati belgrade si) e spieghi, per analogia, la forza di Maniu e Vaida in Transilvania (e di conseguenza l'ostilità che verso di essi nutrono Bratianu e soci). Che il popolo delle nuove terre mormorasse: « Si stava meglio quan do si stava peggio», pare che il defunto Re Ferdinando non lo avesse sentito ed il Principe Carol invece si. Nè si interpreti quel « si stava meglio... » pericolosa nostalgia dei passati tempi : la foga con la quale Maniu e Vaida combattono contro Bratianu e soci deriva appunto dallo stato di costrizione morale, in cui essi si trovano di darei alla Transilvania le auspicate condizioni di benessere in nome delle quali, per anni sacrificandosi ed insistendo nel predicare il verbo, indussero la loro gente a conservare la fede nella madre Rumenia. Il Principe Carol, girando per la generosa Transilvania, aveva sentito molte voci: per lui, adoperarsi ad esaudirle semplicemente significava curarsi degl'interessi della dinastia. Senonchè nella nuova Grande Rumenia il sistema politico 6 rimasto quello imperante nel piccolo regno rumeno, sistema riducentesi all'alternarsi al potere di alcune illustri famiglie e delle loro clientele. Impossibile, quindi, esaudire le voci transigane senza aver prima distrutto il siStema. E cuore del sistema erano i Rrotianu, e il Principe commise l'errore di affrontarli innanzi tempo. Se egli avesse avuto, oltre al dono di sapere dominare lo passioni inlime, il dono dell'attesa, più facile gli sarebbe statò tirare Bratianu giù di sella dopo l'avvento al trono. Ma irruente e irriflessivo anche in questo fil nonno l'aveva battezzato Karl der pWtzliche, Carlo il subitaneo) si tradì e indusse l'altro a sbarazzarsi di lui prima che la situazione si invertisse al punto da rendere possibile il ripetersi dell'episodio Guglielmo II-Bismarck. Il resto lo fece, a Corte, l'onnipotente principe Bnrbti Stirbey. dRstrFcncaecctcnolnttstspplllvtrntLloVriCFdpssqngipCdlscdgprtndzdtMrasdqlcdLTvfeplfeslcscscmnCosi passiamo all'aspetto secondo a r a o o i i e a a . e e e a i o n a , o e e : e i l o , l e , e i r. o e ù della crisi: la politica estera. La Rumenia è da anni una paziente sentinella avanzata che la Francia tiene nel sud-est europeo per garanzia. Si sa che nei Balcani la Francia desidera essere in buona con tutti, senza troppo promettere a nessuno, affinchè da tutti possa poi chiedere ed a nessuno sia costretta a dare. Logica è quindi la parte da essa sostenuta in Rumenia, Stato che non vuol essere balcanico e viceversa lo è. Ma Carol probabilmente dissente dalle direttive francofìle che alla politica del suo paese hanno impresso i Bratianu e gli Stirbey, o, se il dissenso non è proprio assoluto, desidera almeno che la Rumenia faccia davvero quella politica internazionale, basata sul giuoco di tutte le grandi Potenze, per la quale si è da Londra fatto tornare in patria Titulescu. Uomo intelligentissimo, autorevole e stimato, non compromessosi in lotte politiche interne pur avendo a suo tempo sostenuto la politica di Take Jonescu, Titulescu, assumendo nello scorso luglio la nuova carica, dichiarò che voleva preoccuparsi della Francia quanto dell'Inghilterra e dell'Italia: il risultato fu che leggemmo nel Temps note politiche da Bucarest inneggianti alla « Reprise de la ligne droite ». La ligne droite era la francese, dalla quale la buona Rumenia aveva osato allontanarsi nel breve periodo Vverescu. L'orientamento parigino caratterizza tutti i maggiori avversari di Carol. Jonel Bratianu, che nella Francia giura perchè sostenitrice dell'integrità dei trattati di pace, perchè imbevuto di dottrina francese e perché combattè la politica tedescofila del defunto Re Carol, tale quale come oggi combatte le idee del nipote mandato in esilio, è un cognato di Barbu Stirbey, il nemico irreconciliabile di Carol ed il rappresentante del pensiero gallico a Corte. Parenti di Stirbey, sotto bandiere francesi, hanno fatto le fucilate in Algeria e a Sedan; delle zie sposarono conti di Noailles e principi Caraman-Chimay. Come non' dubitare che rovesciato, ai primi di giugno, il Gabinetto Àverescu, la politica estera rumena dovesse avere una ripresa francofila? ILbgcpitorgtglndcrMAnche in materia di relazioni internazionali, come si vede, la Rumenia subisce la volontà impostale non dal Sovrano, non dalla maggioranza della Nazione, bensì dal gruppo delle famiglie alternantisi al potere. Si svaluterebbe l'azione di Maniu e Vaida insinuando che i rappresentanti delle terre venute a formare la Grande Rumenia si oppongono al sistema non essendo nessun loro potentato entrato in questo gioco; più giusto sarà dire che l'opposizione si basa sulla certezza che il regime non dà speranza di progressi economici e politici. L1 industria e gli agricoltori di Transilvania, che un tempo ricevevano da Budapest quanto danaro fosse loro abbisognato per lavorare e per produrre, oggi soffrono della politica finanziaria dei nazionali liberali, che non hanno quattrini forse nemmeno per la gente loro e che sono di una xenofobia atta a scoraggiare ogni entusiasta capitalista straniero. Vintila Bratianu ha cambiato, si sente assicurare. Ma solo a metà: più che mai egli esige che i presidenti delle aziende siano rumeni, i consiglieri e gli amministratori anche, più che mai egli reclama che il capitale delle aziende in pratica risulti per sei decimi rumeno, e cosi mantiene l'economia nazionale in una condizione di paralisi la quale magari non stupisce se si pensa al caos politico, ma allarma se si riflette sull'enorme sforzo che la Grande Rumenia dovrebbe invece compiere, per trasformare in normalità la sua improvvisa elefantiasi territoriale. E tale complesso di problemi politici ed economici, acuito dall'esistenza di problemi territoriali angosciosi, dovrebbe risolverlo un partito che non rappresenta la volontà del paese, col concorso di un Consiglio della Reggenza che non si è poi dimostrato docile come i suoi ideatori avrebbero voluto. I dissensi fra i Reggenti e Bratianu Fono cominciati già nell'agosto, quando il presidente della Corte di Cassazione Buzdu pan, che nel Consiglio è il più autorevole, si rifiutò di Armare la nuova legge sulle ferrovie, obiettando che non era stata votata conformemente all'art. 49 della Costituzione. Il Principe Nicola ed il Patriarca Miron da allora non firmano quello che Buzdugan non sottoscrive: ecco perchè il mese scorso Bratianu si è visto respingere un decreto che metteva alla testa dell'esercito un anti-costituzionale capo. Fra un incidente e l'altro, un dibattito e un processo; tra una rivo! fa di palazzo e una sommossa popolare, la Grande Rumenia ha dunque da andare avanti per anni dodici, aspettando che la maggiore età del Re Michele veramente condanni padre a chiudere la vita in terra straniera, sotto il borghese nome di Carlo Caraiman? Il pronostico è difficile; ma certo è che crisi di regime di tal durata non possono affrontarle impunemente nemmeno Stati di salda struttura. La crisi rumena resta all'ordine del giorno e se ne riparlerà, con brevi o lunghi intervalli, sino alla radicale soluzione. U, jcvrrdicJcpidtcsppdpstldnt