Vecchia e nuova coscienza nella guerra

Vecchia e nuova coscienza nella guerra Vecchia e nuova coscienza nella guerra Dissi le ragioni per le quali la nostra guerra fu necessaria: necessaria per la nostra difesa, la nostra liberazione, la nostra rinascita e la nuova ascesa. E' bene ora dire perchè non tutti compresero il momento e la necessità. Non compresero la grandezza della lotta coloro i quali credettero che Bi trattasse di decidere semplicemente della, questione serbo-austriaca; e non videro che la soluzione di quel problema portava con sè la soluzione di tutto il problema dell'inoricntamento della Germania, di cui l'Austria-Untrhieria era uno strumento. La vittoria della Germania non avrebbe significato semplicemente un ingrandimento territoriale ad oriente e ad occidente, o soltanto la soggezione della Serbia a Vienna, bensì il trionfo del pangermanismo, la creazione della più grande Germania, la fine dell'autonomia delle Nazioni europee non germaniche, il dominio della nuova Germania non solo sull'Europa ma sull'Asia occidentale, sull'Egitto ed anzi sul nord 'dell'Africa. La conflagrazione era cosi vasta che il suo esito, se favorevole all'imperialismo tedesco, avrebbe trasformato la storia del mondo. Coloro che non avevano Intraveduto la complessità e l'immensità del problema, potevano immaginare che il rimaner neutrali potesse essere un vantaggio, od anche una salvezza. Era invece la perdizione sicura. Altri, o forse gli stessi, non avevano grande fiducia nelle forze italiane. Credevano che il paese fosse 'stanco dopo l'impresa di Tripoli, o non avesse capacità di lunga resistenza, o non avesse Tenergia e la volontà di affrontare grandi rischi ed enormi pericoli, I partiti estremi non avevano d'altra parte in Italia la coscienza patriottica che dimostrarono gli stessi partiti in Francia ed in Germania, dove i socialisti lavoravano ciascuno per il loro paese, tranne pochi isolati ed imbelli. Chi ■guardava dunque alla superfìcie, poteva immaginare che l'ambiente, l'opinione pubblica, fossero in massima contrari alla guerra. Ma costoro non avevano l'intuito^ vero dell'anima del paese. Il popolo vuol essére ■avvertito e, al momento critico, guidato; quando intende quali sono i •paci vitali interessi, e l'interesse coincida con l'onore e la ragion di vivere, il popolo compie, con tma forza, prima non calcolata, sacrifìci estremi. Gli uomini politici che in quel momento furono indecisi o contrari alla guerra, furono perciò vittime dì due incomprensioni:' non compresero la vastità e l'importanza della conflagrazione e degli effetti che ne sarebbero nati, e non compresero la forza e la capacità del popolo italiano. Una minoranza, che derivava le 'sue visioni e' la sua volontà politica tìai grandi idealisti del Risorgimento e rinnovava nella sua anima la concezione che ebbe Crispi della nuova storia d'Italia, si assunse il compito di persuadere Governo e popolo che solo dalla guerra si poteva aveire la salvezza della Nazione. E le buone ragioni prevalsero. Nel vecchio mondo dì allora, i governanti che si decisero alla guerra mostrarono un coraggio che sembrò è fu straordinario. Ma se essi non si fossero decisi, poiché gli eventi bellici sarebbero stati a non lunga scadenza favorevoli agli Imperi Centrali, un grande rivolgimento sarebbe avvenuto anche all'interno del nostro Paese, poiché avrebbero ripreso il sopravvento i neutralisti e l'Italia non sarebbe stata più padrona di regolare la propria volontà nel conflitto. L'intervento dell'Italia in quel momento critico del maggio 1915, salvò non soltanto la nazione italiana ma l'indipendenza e la libertà d'Europa dal dominio panjrermanico. Questo rovesciamento della situazione operato dall'Italia, molto apprezzato in un'ora critica della guerra, non fu poi valutato, nel suo immenso valore e con giustizia, all'indomani della vittoria. I nostri Alleati ebbero torto grave, ma dobbiamo anche riconoscere che i dirigenti della politica italiana dal ■1915 al 1919, molte cose non videro, altre videro male, e furono poco accorti e deboli nei metodi e nei mezzi. II trattato di Londra, che costituì la base della politica italiana, non considerò che un solo aspetto degli interessi d'Italia: quello dei confini naturali. Trascurò l'altro: quello del mondo coloniale. L'accenno alle colonie è contenuto in limiti così ristretti, he quando si trattò della ripartizione delle colonie tedesche, l'Italia non potè invocare il patto di Londra per avere la sua equa parte nelle attribuzioni. Il patto non contemplava che rettifiche ai confini delle nostre colonie, e niente più. Una grande occasione fu perduta per porre ampiamente il nostro problema coloniale, che la miopia dei Governi di Depretis, Cairoli e di Ru'dinl aveva fatto risolvere a danno dell'Italia. L'eventuale ripartizione delle colonie tedesche non avrebbe dovuto avvenire senza che l'Italia {avesse avuto di diritto la sua congrua parte. Altro errore, anch'esso grave, fu la non perfetta intesa per un'azione unitaria comune in tutto il processo ideila guerra. In un primo periodo parve che l'Italia perseguisse una azione quasi separata dall'azione degli altri. Era una questione di metodo; non certo dì fini, ma si produssero per questo, non in perfetta buona fede da parte degli alleati, malumori e malevolenze che culminarono in mi atto politico che ebbe significato innegabile di ostilità verso l'Italia. L'Inghilterra, la Francia e la Russia si misero d'accordo sulla spartizione dell' Asia turca, senza chiamare l'Italia al gran patto. Molti mesi passarono prima che il nostro Governo, a San Giovanni di Mcriana, potesse reclamare la sua zona asiatica; ma anche in quell'accordo l'Inghilterra e la Francia subordinarono la concessione all'assenso che avrebbe dovuto dare la Russia. L'Italia fu considerata cioè come un alleato secondario e accessorio in una questione di immensa importanza per lei, paese esclusivamente mediterraneo; e la malevolenza e l'ingiustizia si rivelarono proprio in quella primavera del 1917, cioè in uno dei momenti più difficili e tragici della guerra, in cui l'Italia compieva i più straordinari ed eroici sacrifici. Il giudizio attuale su quegli avve¬ nimenti, come sull'errore capitale del trattato di Londra, non è pronunciato ora, a fatti compiuti, ma fu da me ampiamente esposto nei suoi motivi in una seduta segreta della Camera del marzo o aprile 1917. Ma perchè questo ricordo? Non per volontà di far rivivere vecchie critiche, bensì soltanto per mostrare che la direzione diplomatica della guerra fu afflitta da errori di concezione o di metodo che hanno avuto peso doloroso sulla storia di ItaliaIn altro campo — nell'ordine e nella disciplina interna, indispensabile in temP° dì guerra — i Governi di allora rivelarono una debolezza ed uno smarrimento incredibili. Furono tollerate critiche e sobillazioni, che erano delitti. Lo spirito pubblico fu continuamente avvelenato; il Governo non reagì, come era suo dovere, contro le declamazioni infami che furono fatte nel Parlamento e nel Paese, per screditare la guerra ed esasperare l'anima del popolo. I pavidi, gli incerti, ed anche qualcuno che aveva fatto prima propaganda di neutralismo e poi critica di discredito contro l'intervento, furono assunti al Governo; segno non dubbio del¬ la povertà di coscienza con cui ti pretendeva di guidare i destini della Nazione, nell'ora in cui l'energia ed il carattere erano più necessari. Qual meraviglia che a Versailles la diplomazia italiana si presentasse incoerente, impreparata, improvvida, e rimanesse isolata e inconsiderata? Essa si presentava come espressione tipica del vecchio mondo. Gli avvenimenti avevano superato la capacità personale di chi governava; i vecchi uomini erano inferiori agli eventi, non certo per sentimento patriottico, ma, senza dubbio, per mente politica. Di fronte ai dirigenti, impari ai bisogni, furono le nuove generazioni, fu la nuova anima popolare. La gran massa del popolo non si negò a nessun sacrifìcio; non si lasciò abbattere dalle avversità, fu tenace nelle resistenze più tormentose, ebbe fede — ne diede a chi dubitava — nella vittoria finale. E' da queste forze nuove, da questa rielaborazione di coscienza popolare, che è sorto il nuovo spirito nazionale, fonte e garanzia del rinascimento e della potenza d'Italia. ANDREA TORRE.

Persone citate: Cairoli, Crispi, Depretis