Chiaro di luna

Chiaro di luna Chiaro di luna Carlo Ravasio, Ugo di Santo Spirito, Aldo Palatini, Augusto Garsia, Arturo Tofanelli, Nicola Valenza: sei nomi, sei poeti. Soltanto due, il Ravasio e il Garsia, sono abbastanza noti: il primo specialmente per un volume di prose rustiche e saporite, il secondo per un notevole studio sopra il « Magnifico », e per certi romanzi mistico-spirituali, _ di tendenza manacordiana. Gli altri è gente pressoché inedita e ignota, la cui poesia, rappresentando diverse espressioni d'uno stesso volto, può permetterci il lusso di qualche marginatura, o di qualche non inutile digressione. Cominciamo dalla prima. Z. Se noi riguardassimo le cronache di questi ultimi anni, oppure se riascoltassimo i vaticini dei Barbanera, con il pio desiderio di sapere quale tono abbia oggi, o avrà domani, la poesia dei giovani e dei giovanissimi, noi, senz'altro, impareremmo che il cosidetto « chiaro di luna », odiato e deriso da Marinetti, è morto e sepolto da un pezzo. Ma, a quanto pare, esso. ha invece sette anime, come i gatti. Ucciso dalle filippiche di Corso Venezia, rispunta su dai cuori giovanili con l'aria svagata e un po' tonta di chi ha dormito tutt'al più per quattro ore; mostrando l'ugne in ogni pagina di libro; e dandosi d'attorno per farsi notare, sui marciapiedi delle città e per i viottoli delle campagne. E', per la verità, un chiaro di luna meno corrivo e zuccherato, la cui gamma presenta deviazioni e sottigliezze e tonalità diverse; ma che, nonostante le polemiche sopra il purismo e le dichiarazioni di fede neoclassica, sta 11 a dire quanto e come la poesia dell'ultima generazione sia per la maggior parte inzuppata di sentimentalismo, e tarlata dalla tabe romantica. E' male, o è bene ? Dobbiamo noi sperare, o disperare ? Assistiamo, o no, all' apparire di voci nuove; o queste ripetono e tritano la solita lìlotea ? C'è per lo meno il presentimento d'una nuova sostanza, o di una nuova estetica ? E' in corso una restaurazione dei nostri valori •letterari e morali, oppure si con tinua a rimasticare quanto s'è fat to e s'è detto da Carducci in poi ? Ecco, noi — e magari sarà opinione tutta personale —, da tempo stimiamo tanto decadente e sprovvista di qualità, la nostra epoca letteraria, da negare a coleste domande una ragione e una importanza qualsiasi. Crediamo piuttosto che, all'infuori di quattro o cinque giovani, appartati e riservati, come Montale, Titta Rosa, Grande, Ferrerò, Zoppi, tutti gli altri stiano bulinando e logorando le forme e le bizze degli ultimi varii romanticismi, sino a tramutare il crepuscolarismo in una mite arcadia belante, il futurismo in una insulsa e stravagante e inùtile giostra di frigide minchionerie, l'avanguardismo in un comodo modo d'eludere la fatica del verso. Siamo convinti, cioè, che la poesia dei giovanissimi si muova sopra terreni rettorici e arcadici, nell'incubo ili apparire formalmente notevole, ma « in essenti a » accordata sopra motivi specialmente dannunziani, pascoliani e gozzaniani. E se, non del tutto sorda ai costumi degli ultimi tempi, essa spazzola dalla naftalina le forme chiuse, lo fa con tanta provinciale malgrazia da farci ridesiderare persino lo stillicidio del verso libero e la musichetta delle rime occasionali. Cosi, per conto nostro, la sfiducia è pari allo sconforto; poiché, messe le mani tra una trentina di « novità », tanta è la scioperataggine di cotesti versaioli, che appena riusciamo a salvare dal naufragio una mezza dozzina di nomi. lruceCcscuzpvsidcMcmsnctfècdtmssmeiccnmrzlMeno il Valenza, il quale subito dichiara di rifuggire « dall'inalvearsi entro gli schemi tradizionali della poesia », gli altri sono tutti dolci, e talvolta scaltri, rimatori di terzine e di quartine; e nel Palatini, nel Tofanelli, nel Garsia vediamo rispuntare addirittura il sonetto. Ma. mostrando essi una mite fantasia, maggiormente propensa a terrene considerazioni che a sentimenti spirituali, cotesti poeti, ehi più e chi meno, hanno comune la tendenza di far rimare « cuore » con « amore », e « amore » con « dolore ». L'orizzonte poetico s'allarga cosi sino a De Musset. Par quasi che ritorni di moda il romanticismo amoroso e lagrimoso dei nostri bisnonni; e che cadenze di serenate salutino l'eterno sdolcinatissimo chiaro di luna. L'amore di Carlo Ravasio è carnale, lieto, petrarchesco, accarezzato mollemente dall'agile musicalità della quarta rima; l'amore del Garsia e del Valenza è sognante spirito, ansia spirituale, nebulosa astrazione; quello d'Ugo di Santo Spirito, dispettoso e agro, umanitario e sociale, concreto e torbido d'un'angoscia franta in disperate invettive e in schiaffi rettorici, pare nasca da uno strano e inconsueto miscuglio, le cui origini risalgono alle bizze mistiche di Iacopone e alle satire del Giusti; l'amore del Tofanelli, pagano, sensuale e decorativo, appare impastato con gli scampoli più dozzinali dell'« Isottèo » e del « Poema Paradisiaco »; e, infine, quello del Palatini risulta panteistico, o, me glio ancora, paesistico, aderente alle cose, quasi secco e scarnito. Eppure, se cotesti giovani poeti si diversificano quel tanto che basta per concedere ad ognuno un tono personale più che una già chiara fisonomia; e se nell'uno s'odono stanchi echi del D'Annunzio, o del Verhaeren, o del Vhitmann, e in un altro le influenze del Pascoli sono profonde quanto il disgusto che ci viene dall'imitazione servile, e in un altro ancora il misticismo è ancora tutto esterno e claudelliano; nessuno pare voglia dare ragione a quanti òggi riconoscono la necessità di andare contr'acqua alle ultime decadenze romantiche. Il male è che se ritornasse al mondo un critico ro mantico, poniamo il Tommaseo, non potrebbe che infuriarsi contro cotesti ultimi romantici; e tornerebbe a ripetere i « Consigli ai giovani », e a dire che vera poesia non è «s*,non ne' sommi cap*? del.concetto pò.^tico, nelle relazioni pm essenziali, jnella bellezza intuitiva. Le ìmmagi- ni, le sentenze, le descnzioncelle, lo' a o o a stile serviranno a bellezza, se il punto di vista poetico: se no, accuseranno l'impotenza dell'autore e l'inutilità del lavoro ». Ma, prendiamo il più significativo di questi giovani, e quello che meglio sa rispecchiarsi nei versi: Carlo Ravasio. Le sue «< Poesie d'amore », (Milano, Treves), nascono da una sincera commozione, tanto sincera che il poeta s'abbandona ad essa senza scrupoli e senza paura. C'è, nel Ravasio, la beatitudine del canto, della ritmica, della parola sonora che rimbalza, e limpida rieccheggia, e s'imposta nel verso per una euritmia tutt'intima ed essenziale. Cotesta musica aggraziata è però anche al di là delle parole; diventa sentimento; vive per se stessa. Infatti, spesso parla di serenate, il giovane Ravasio; e plettro e mandòla sono strumenti che ben s'addicono alle sue mani d'innamorato. Ma innamorato di che? Le sue fanciulle, le sue donne sorridono come simboli; e l'ebrezza, che per esse sale come un fumo di febbre, non teme di confondersi qua e là con forze immaginative, le quali da tempo ci sono note. Talvolta, il fondo dell'amore del Ravasio non è che rettorica, chiaro di luna, arcadiche esclamazioni. M'iial vinto; Son caduto al limitare della tua casa come un mendicante: m'hai preso tutto: non son più l'amante; sono Io schiavo: mi puoi torturare. Ho trascinato, là. De la bruciante polvere tutti l drappi deirorjjojrllo: non so più chi mi sia: sono uno scoglio sordo a ogni colpo, senza più sembiante... Qui, oltre tutto, il modo stesso di modulare l'endecasillabo ci riporta ai « messaggi » dannunziani; come, altrove, la sensualità meno schiarita del Ravasio non sa, nella sonnolenza d'una espressione di maniera, raggiungere una naturale e determinata schiettezza. Quando, invece, la spontaneità fa dimenticare al poeta la' simpatia per il classico, non in senso letterario, binomio « amore e morte », e il sentimento si converte in passione, allora si rintracciano versi, d'una grazia gracile ma festosa: Nevicò tutti 1 suol fioretti 11 melo e II pesco smL«e l'abito di Tosa... Danza, N'erella: Il corpo hai corno un'ala lenta che muovi e strascichi sull'anca... 4. Cosi, anche Le scale del cielo (Milano, Edizione originale), di Arturo Tofanelli, paiono « esercizi » di Andrea Sperelli, in una stasi di esaurimento lirico, e dimentico di ogni bravitù tecnica, che mai egli avrebbe scritto il verso pipa in bocca e fucile a bandoliera. Ma, a noi piace notare come le cantilene rin chiuse dentro il cuore, e il desiderio di vanire con Vattimo che fugge, e i singulti del cuore ancora bambino siano tutte cose e frasi fatte, la cui falsità, nel poeta, è evidente. Il morbo del bamboleggiare, a conti fatti, è epidemico: Parole color di 11116, un poco infranciosate, che spargon con soavità le bimbe corteggiate, Musetta color di lillà tessuta d'aria e di florl, cipria color di lillà, boutniet di sicomori... (Palat'nl) Piccole vaghe nubi che passata e consolate d'un sorriso il cuore, roselline di cielo, deh sappiate ch'essere lo mi vorrei senz'altro amore... (Garsia) Un semino portato dal vento a pie de la Croce è irrorato da una goccia del sangue del Signore. Più caro l'ha d'un chicco di frumento una formtcollna che s'affretta ad Interrarlo... (Valenza) Poveri giorni di mia giovinezza che via passate tenebrosi e morti, senza una gioia, un palpito, una fede una carezza! , (Ugo di Santo Spirito) Ma, partiti da una commozione comune, e curvi sotto il bagaglio d'una disperazione libresca, essi, con toni diversi, si ritrovano in Cristo: un Cristo romantizzato e decadente. Niente di male, per questo; Io stra no è che Garsia, con le Voci del mio silenzio (Foligno, Campitelli), vi arrivi più attraverso l'aiuto del Pascoli che attraverso quello dei Vangeli; e che Ugo di Santo Spirito, con L'offerta repugnante (Milano, Corbaccio), s'elevi a Dio addirittura attraverso Stecchetti : Dlcon che le movenze del tuo corpo duttile, snello, fresco, provocante. In carne traducean la vita insorta; ed or sei morta... Dlcon ch'or te ne stai fredda od Immota ne lo sconto canton d'un cimitero, disfatta In tua beltà fatta mistero, or che sei morta... Se, poi, consideriamo come traditrice la materia ispirativa, poiché non c'è bagno di purità formale che valga a redimerla, essendo essa tutta letteraria e comune ad altri poeti, vedremo che cotesti giovani, pur con le loro innegabili qualità — il Garsia, In ispecie, sa squisitamente miniare il verso! — non sanno comunicare assolute certezze. Troppe sono le note discordi; troppo il compiacimento di « sperimentarsi »; troppa l'astutezza di costruire sul vecchio apparenze di nuovi cammini. Il solo — del quale, tuttavia, non ci soddisfano "le forme libere, lasse o prose ritmiche che siano, usate per amore di semplicità — investito da una forza nettamente limitata e personific.itrice, crediamo sia il Valenza di Getsemani (Caltanissetta, editore Russo). Ma, per quanto tempo ancora noi dovremmo parlare di romantici e di romanticismo? GIUSEPPE RAVEGNAN1.

Luoghi citati: Corbaccio, Foligno, Milano