Il pensiero di Foscolo

Il pensiero di Foscolo Il pensiero di Foscolo TJ*o Foscolo aborriva Napoleone: Fanno dell'avventura o del destino all'autore dei Sepolcri rivelò soprattutto l'aspetto istrionico del suo genio multiforme : Cesare sì, ma sen— il coraggio e la sincerità di Augnato, chiedente sul letto di morte agli amici, se egli avesse ben recitata la ma parto. Già nel 1799, ristampando in Genova l'Oda a Bonn-parte Uòeratore, da lui composta due ann■■■•Mi a Bologna, il giovane Foscolo, ufficiale allora nell'esercito deMawKM, arditamente rinfacciava aOMBqoistatoce, il trattato di Campofctinio e la libertà di Venezia slealBMoto trafficata coli'Austri a. NeJacopo Orti* (Lettera del 17 maTzo 1798) lo definiva uomo di animo bassa • crudele : c Che importa ohe abbia il vigore ed il fremito del leone, se b* la mesto volpina, e se ne compiace)». Nel 1814, presentendone la nana, scriveva da Milano alla contessa D'Albany: t Tiranno era, e sac rebbe in ogni evento Lncorregibilc mento tiranno quel nostro conqui€ statore: eia, oon pensieri sublimic d'animo volgarissirao : bugiardo c inutilmente, gazzettiere e droghie« re universale; ciarlatano anche € quando era onnipotente di forzoc Io lo abborriva sempre : lo stimava f e sovente lo disprezzava; non ho c mai potuto amarlo e non ho mai € potuto temerlo » (1). Al Foscolo certo non passava per la mente, mentre scriveva queste paiole, che giudici poco benevoli avrebbero ritorto più tardi, contro di lualcune di quelle stesse accuse che eglscagliava sul capo dell'uomo dalle inverosimili fortune, c che anche parlando di lui avrebbero potuto ripetere, quello che il Manzoni scrisse di Napoleone: che la sua memoria suscitava insieme invidia e pietàodio ed amore ugualmente tonaciPoiché, se nel Foscolo il poeta è sempre sinoero, appunto perchè veramente poeta, se il suo pensiero è sempre Ubero e, quando occorre, intrepidol'uomo ò pieno di contraddizioui. Le sue passioni erano violenti ed incoerenti: nel suo spirito, che l'intelligenza illumina, spesso dall'alto, e la contemplazione rasserena « c'era qualcosa di oscuro, di frenetico. U pensiero c virile, e l'azione spesso, incoerente; il giudizio quasi sempre sicuro e i! sentimento torbido, smisurato, declamatorio. Nella vita privata sembra, a volte, un adolescente viziato e abbandonato senza difesaai suoi istinti ribelli; negli atteggiamenti risoluti che egli prende nella vita pubblica e di fronte a quella che direi la sua coscienza civile, riapparisco l'uomo vero: l'uomo del miglior settecento: discepolo di Alfieriammiratore di Plutarco, che sente altamente di sò, pensa alla Storia che dovrà giudicarlo e drappeggia entro il mantello degli antichi erotragici, la nobiltà, delle sue risoluzioni. I romantici, nel loro bigottismo spiritualista hanno troppo diffamato il settecento. Il sensismo l'epicureismo, l'ottimismo ora vanitoso ed ora ingenuo, il pessimismo cinico e sfrontato del secolo ha offuscato ai loro occhi l'energia e l'innegabile intepidita intellettuale di molti tra quediscepoli del Locke, del Condillac o del Rousseau. Non solo l'Alfieri e iGoethe e lo Schiller e il Foscolo, e Andrea Chéuier e il Wordsworth ssono formati a quella scuola, ma molti fra gli spiriti più combattivi e fra gli scrittori più famosi della stessa reazione tradizionalista: lo Chateaubriand, il De Maistro, il Manzoniil Fichte, gli Schlegel; e tale origine c palese nella loro filosofia come nella loro critica o nella poesia II Foscolo c, non direi un alunnoperchè non si tratta di un'adesione teorica, ma un figlio spirituale deRousseau, che cerca contenere la tumultuosa passionalità di un temperamento impetuoso frenandolo coi comandi di un eroismo civile, di cui iclassicismo antistorico del settecento gli aveva preparato lo stampo. Icontenuto morale è dato dalle esigenze della carne, dai tumulti desangue, dall'acredine della bile: viene da quella Natura, da quell'uomo € primitivo' e spotataneo », che iRousseau aveva sfrenato ; viene ex impuri» naturalibus. La forma civile ed eroica cui quella materia deve adattarsi è data da Livio e da Plutarco: principalmente da quel Plutarco razionalista e repubblicano' chha ispirato i libri del Montesquieu e le tragedie dell'Alfieri. Da tale fusione e confusione nasoe l'ideale difh uomo tutto passione e magnanimità, percosso e travolto dalla tempesta dal sentimento, ma generoso e pietoso, anche se colpevole € effrenico ed eroico » ; sincero, a modo suoma a volte un po' troppo teatraledi cui si intrawedono alcuni lineamenti nella Vita dell'Alfieri, ma che il Foscolo realizza ed incarna con drammatico rilievo. Ed egli si conosceva assai bene: < Ricco di vizt di virtù, deliro », ha scritto di sinè tale conoscenza importava uno sforzo per dominarsi, che anzi devizi egli era, in fondo in fondo, superbo quasi quanto delle virtù. Sotto tale rispetto questi uomini appassionati e plutarcheggiantd del settecento preannunciano il romanticismo; ma a differenza dei romanticiessi non lasciano mai che la passione si eriga s principio metafisico dalle cose; non ammettono interferenze tra l'uomo che desidera fantastico, delira, e quello che spocola e contempla, e nei loro naufragi moralprocurano tener alto sui flutti torbidi l'intelligenza raziocinante. Se si considera il pensiero del FcJ scolo, non rispetto alle questioni metafisiche, poiché egli è in filosofìa rm empirista risoluto, inclina al natnralismo radicale del Diderot e de(l) • Epistolario., edlz. Le Monnler, v. li Vico non s'appropria o non ama «e nou l'idea che l'umanità esce dalla bestialità sotto il pungolo del terrore o per l'incanto della poesia, ma usi problemi e nelle controversie ohe la vita politica e letteraria dell'Italia contemporanea gli propone, vediamo che il suo criterio è lucidò e pratico. A sedici anni dedicava versi a Robespierre e rimava le declamazioni di moda ad esaltazione della libertà e dell'uguaglianza, ma già a diciannove, nell'Orfo al Buonaparte ricordava agli Italiani che aspettarsi l'indipendanza dagli Stranieri c miserabile illusione di schiavi e che la libertà si conquista oolla lotta e matura lentamente nel dolore. Molti Italiani — scrive nell'Orti» — « esclamano di es< sere stati venduti e traditi: ma se c si fossero armati sarebbero stati t vinti forse, non mai traditi: e Be t si fossero difesi sino all'ultimo sant gue, nè i vincitori avrebbero pot tuto venderli, nè i vinti si sarebt bero attentati di comperarli ». E nella lettera all'Albany già citata, dopo aver dato cesi duro giudizio del Buonaparte, aggiungeva sensatamente: t Ma egli aveva un altissimo met rito presso di me: aveva riuniti « ed educati alla guerra sei milioni « di Italiani; aveva precariamente t aggregati all'Impero gli altri pae« si d'Italia e tiranneggiatili in guit sa da invocare il momento di scucii tere il giogo ed unirsi a quei del « Regno ». E prima e dopo l'esilio egli, costantemente affermò, che se gli Italiani volevano liberarsi dagli Stranieri e saldarsi in nazione dovevano pensare più fortemente, sentire più dignitosamente e armarsi. Si oooupò di oritica e di storia letteraria, e diede a tali studi un'impronta e un avviamento originali; ma non si lasciò attrarre da quell'impressionismo lirico-sentimentale in cui si pavoneggia con tanto compiacimento l'egotismo romantico. Nella vera poesia cercò la trasformazione fantastica delle idee e delle forze che muovono la storia di un popolo non lo smarrimento dell'ingenuità senza pensiero, ma l'espressione più alta e complessa della spiritualità umana e disse che l'intelligenza storica è preparazione necessaria al sentire e all'immaginare con forza, Quindi il Rinascimento rimase per il Foscolo il fatto centralo della nostra cultura e l'espressione più era caco del nostro genio; non perchè fu i il secolo d'oro », il sscolo ricchissimo d'ogni maniera di scrittori, ma perchè allora tutte le energie dell'ingégno italico liberamente cooperarono a creare una nuova civiltà e10 spirito moderno si destò alla coscienza della propria forza. Del romanticismo incipiente ebbe forse il torto di non intendere la ragione storica e la complessa varietà di ispirazione, ma come fu felice e opportuna quella sorridente e irridente confutazione delle idee della Stasi da lui preparata noi Gazzettino del Bel Morula/ La Staci si ispirava al Rousseau, e Gian Giacomo era stato pure11 maestro sentimentale del Foscolo giovane; ma ora egli vedeva la parte più femminea e più abbandonatamente patetica dei sogni del Rousseau, uscire dal romanzo e dall'Arcadia per atteggiarsi a pensiero filosofico ed estetico; il classicismo virile del suo pensiero se ne sdegna ed egli si arma per difendere la poesia dalle gramigne e dalle cicute dell' «entusiasmo » romantico. La stessa lucidità critica sostenne l'animo di questo Ortis fremebondo e interiormente così agitato e turbato contro le insidie dell'ambizione o del bisogno. Era stato sempre ostile al Buonaparte; ed è noto che la canea letterata di Milano, la quale addestrava allora la lingua e i ginocchi alle vili adulazioni che di lì a poco doveva trasferire con così disinvolta esperienza dal Cesare francese a quello austriaco, si era concordemente accanita contro YAjaeefoscoliano, insinuando di sapervi discernere maligne allusioni al regime napoleonico. Era logico, pertanto, che l'Austria, tornata in Lombardia nel '14, pensasse al Foscolo come allo scrittore geniale e temuto, il quale meglio di ogni altro avrebbe potuto dirigere la rivista di coltura in armonia coi trattati di Vienna che la prudenza dell'imperial-reglo' governo meditava ad edificazione dei suoi sudditi cisalpini e che fu La Biblioteca italiana. Il Foscolo, dopo breve esitazione, rifiutò, e poiché con quel rifiuto si era preclusa ogni via a poter vivere del suo lavoro in Italia, riparò in Isvizzera, e di là in Inghilterra. Sebbene, proprio nel 1814, le tergiversazioni e dedizioni del Go verno provvisorio e la viltà ferooe della plebe milanese, che massacrò il Prina e accolse con evviva le solda tesche dell'Austria, lo avessero nau scato: sebbene scrivesse, in un'ora di sconforto: « Gli Italiani sono ormai « tali, che mille Licurghi e diecimila « Timoleoni e centomila Washington « e un milione di guerrieri Spartani « non troverebbero la via di costi« turali a Nazione », egli sentì tuttavia che la guerra era ormai dichiarata tra l'Italia e l'Austria, che se l'idea italiana serbava una speranza essa doveva maturare in tale lotta, e che gli Italiani futuri, nei quali egli, nonostante le delusioni, credeva come il suo Alfieri (Giorno verrà, tornerà giorno in cui...) gli avrebbero serbato gratitudine di aver con quel suo atto riconosciuto e additato nell'Austria il nemico fatale. Valicando al lora lo Alpi per non servire, il Foscolo iniziò una. tradizione, diede una testimonianza, armò la poesia e il pensiero italiano contro lo straniero e meritò che Giuseppe Mazzini, l'esule senza macchia, scrivesse in sua difesa contro i detrattori implacabi li : o A Foscolo l'avvilirsi non era possibile v. Non si è avvilito, infatti, di fron te alla patria e di fronte alla Storia: ma quali delusioni e sconforti ed i avvilimenti » interiori amareggiarono il suo esilio ! Come torbidi e tristi gli corsero in Inghilterra i suoi ultimi anni! Nell'uomo dalle risoluzioni virili riapparisce inaspettatamente il Foscolo dagli appetiti smisurati che già nei suoi anni giovani mostrava sotto le frasi declamatorie dell'umanitarismo alla Rousseau, i lineamenti morali di un Aroldo o di un Don Giovanni baironiani; Bin che la miseria e la vergogna vengono a svegliarlo da quel sogno, o da quel delirio. Ed allora il miglior Foscolo risorge e riprende animo ; sono i giorni di lavoro ostinato e amaro, di lotta contro lo scoraggiamento e il bisogno e contro le interiori rivolte dell'orgoglio; sino all'ultimo, sino alla idropisia e alla morte, così oscura e così desolata. In quelle ore penso che il suo maggior conforto fosse il pensiero-che, vinto come uomo, egli vinceva come Italiano, poiché dalla dura battaglia aveva portato in salvo la bandiera. Ed anche la poesia forse lo consolò in quei giorni: la poesia, cui le necessità della vita non gli permisero di dare opera nell'esilio, ma di cui serbava nell'animo la voce e l'incanto, t come in conchiglia murmurc di mare »: quella sua poesia tanto rasse.ronatri.ee, perchè alta e disinteressata ed in cui tutte le sue passioui si dissolvono o si compongono, in una malinconia così pura eri eroica che l'animo ne esce più temprata alla lotta, più rassegnata alla sorte. Dalie lontane scaturigini dell'incoscienza e della barbarie, dal mistero degli oriz¬ zonti, chiusi alla conoscenza, ma non alla fantasia, esce il fiume della Storia, scorrendo verso qual mare? per quali focit II poeta non sa, e non chiede alla Religione o alla metafisica di rivelarglielo. Esso scorre vasto, fragoroso, lampeggiante, agitato dalle ferine passioni dell'umanità primitiva, insanguinato dalla lotta eterna. Ma la Bellezza si svela agli uomini, risplende d'improvviso in quel caos e su quel furore: e innanzi alla Bellezza gli animi rasserenati posano: nasce la Pietà, nascono il ricordo^ ed il rimpianto ; i dolci affetti famigliari ed il culto dei morti. La vita ha un valore e l'umanità uno scopo : precario forse, e minacciato sempre dalla rinascente barbarie; ma al pensiero del Foscolo esso basta. Tutti i conflitti e lo sfarzo e il dolete degli uo¬ mini intendono a realizzare faticosamente una forma ideale di civiltà in cui ragione e fantasia, pensiero ed opere, bellezza e forza si accordano in una varia e feconda armonia. L'opera meravigliosa dura breve stagione; poi crolla e si dissolve sotto l'urto dello energie malefiche e selvagge che turbano porpetuamente il cosmo e sconvolgono la Storia; ma la Poesia, figlia della Memoria, accende allora la sua fiaccola presso le ruine e le tombe ; raccoglie le voci e lo memorie del passato, le avviva colla parola pittrice, le lancia sullo ali del ritmo, verso il futuro, some di nuove speranze a nuove generazioni: .... e l'armonia Vince di mille secoli il silenzio ALFREDO GALLETTI.