UGO FOSCOLO

UGO FOSCOLO UGO FOSCOLO Eo l'anima, oppressa dal più sentito dolore. Passai la giornata d'ieri al letto del nostro Foscolo, che da oiroa tre giorni era agonizzante. Lo lasciai li sera spirante e il dottor Negri mi scrive ohe ora egli non è' più: finì i suoi giorni alle 8 3]4. (Da una lettera di Giulio Bossi al Panizzi - Londra, 11 settembre 1827) II verso che crea Dkirusi . Manium. Jura. Sancta. Sonto. — Queste parole dell» leggo romana il Foscolo scrisse centoventi ansi or sono in fronte al carme dei Sepolcri. Ricordiamocene, mentre compie^ il secolo dalla morte di lui. B tra £ diritti de' suoi mani gloriosi mi sembra esser questo: lasciamo oggì riposare dalle sue utili e inutili Fatiche la critica, lasciamo stare lei-egrandi e piccole parole. Non divaghiamoci neppure dietro ai raggianti fantasmi delle donne che, come in magici anelli d'una catena, avvinse- 10 eon rapida vicenda il poeta ; alle quali egli non volle rammemorata la caducità della bellezza e l'inerzia del sonno eterno, e per suo conto infuse loro i balsami, beati che preservano da morte. Lasciamo l'accessorio e l'effimero: guardiamo l'alto italiano, 11 poeta grande. Morte sol mi darà fama e riposo. La fama sarà certo perenne, e fin maggioro di quanta essa si potesse aepettare. Il riposo non fu soltanto termine de' travagli della vita, de' quali in parte ebbe merito senza vanto « in parte colpa non dissimulata, ma e vigilo culto di ammirazione o di affetto. Non parlo del monumento sepolcrale in Santa Croce, che è pulsi strana cosa indugi tanto, per lui che tutti quivi i grandi sepolcri sparse di novella luce e alla stessa mirabile chiesa fece, per così dire, un monumento. In quel commosso inno a Firenze, e ben degno di Firenze che in grandi ore della storia e sotto altissimi e perpetui riguardi fu veramente il onore d'Italia (il nostro capo Eoma, questo era sancito nel Petrarca), in quell'inno, dopo il vagheggiamento del dolce paese'negl'incanti della natura, il vertice dell'esaltazione è alle parole: Ma più beata che In nn'Jamplo accolte Serbi ritale gloriei ' E noi pensiamo quante glorie esso il poeta raccolse in un. carme. Porche tra l'ombre della vecchia etade Stendi luuge da aol voli si lunghi? doveva chiedergli, tra ammirato e stordito, il Pindemonte. Ma no, dolce amico: non è il poeta che voli lontano da noi, sono i lontani che per virtù del poeta vengono a noi, e, - nella simpatia del dolore e nella comunione degli eroismi, fanno una sola famiglia in una sola poesia. Ai nostri giorni, che abbiamo tan te ragioni di compiacenza — e tante altresì di pensoso raccoglimento e di severi propositi — non direi che possiamo insuperbire, stando alle prove e non ai programmi, dell'arte e della poetica nostra, se ci rivolgiamo a guardare quel che avveniva un secolo fa, quando operavano, ad un tempo e non soli, il Foscolo il Manzoni jl Leopardi, e non era morto il Monti, e venivan crescendo il Giusti e il' Prati, e altri eràn nati o per nascere. Non parlo di quel giocondo e trionfale prorompere della musica. In verità la diana del milleottocento risonò di troppe e troppo chiare e superbe voci perchè il giorno della patria, potesse oramai molto tardare e £1 popolo non risvegliarsi. Ma due araldi già del rinnovamento .e del risorgiménto erano stati, e l'uno si affacciò al secolo novo, l'altro si fermò presso alle soglie. Il Foscolo li vide con gli occhi suoi, © li sentì come nessun altro, il Parini e l'Alfieri; e come li fece vedere e sentire! Per me non credo che mai l'arte ne' suoi tempi migliori co' suoi tocchi e col suo lume abbia reso così la vita e la verità più vive e più vere, come il Foscolo fece rappresentando e consacrando i suoi due gran padri immediati. A proposito de' quali non so se ci sia chi per suo mal gusto gli allòr ne sfronda: eo che sillaba non si cancella della sublime pagina foscoliana, ch'è tutt'nno con l'intima coscienza della nazione. Benedetto il giovine che, nell'atto stesso di procèdere in suo pieno vigore ad affermare la grandezza propria, è così memore e conoscente de' suoi autori. Egli ben merita di eguagliarli, di superarli nel suo_ campo. Ma già un'aria di magnanimità, «eroica e pia, ardimentosa © mesta, ia, qui si distende varia e vasta, e empie il gran carme: nulla vi è di piccino o di mentito. E quella magnificenza di ritmi, che il Parini sì ben conobbe e trattò, ma nel suo poema era naturalmente venata d'ironia, e che l'Alfieri quasi inconsapevole raggiunse nella stupenda creazione del Saul, ma rotta e a sbalzi secondo l'incalzare de' tragici diver- pare, in poema non lungo, infinita. Infelice chi dimentica tali glorie del verso italiano e osa contaminarne il retaggio. Ho desunto .questo modo di poesia deci Greci, scrive il poeta iniziando le brevi note illustrative del carme o, coni'esso dice, dì questo tentativo; e soggiunge come e perchè. Chi ardirebbe contraddire? E si potrebbe aggiungere quel che abbia desunto dai Latini e dagl'Italiani. Ma la poesia nasce dall'ingegno e dal cuor suo, e poche poesie al mondo ebbero mai tanta densità di concetti e fervore di immagini in una così perfetta e perenne modulazione di musica. Odio il verso che suona e che non crea. Non ti crea più, ribàttè un giorno il Carducci, foscoliano ardente e, se non vi spiaoe, intelligente; ma, oltre a quello che può sembrar vero in ciò ch'ei volle dire, v'era un po' di malumore per essere quel fiero endecasillabo inteso del Monti — del quale, anche questo è da ricordare, nessuno più del Foscolo riconobbe le altissime qualità e le sonanti armonie spesso assai men vuote che i giudizi di certuni. — Ma ora ripenso a quel verso, non in quanto sia condanna d'altri, sì in quanto è rivelazione del poeta stesso, quasi sprazzo di luce viva sull'intimo della poetica foscoliana. Siamo al centenario anche della morte di Beethoven, sovrano signore dei suoni, o che si levino su dalla solitaria tastiera, o da un conversare di pochi, o da un contrastare e concertarsi di molti, spesso direste di tutti. Non abusiamo degli accostamenti di arte ad arte, de' raffronti tra i maestri di esse: con ciò molte volte non si fa che confondere e oscurare. Ma mi ricordo che Didimo Chierico — quell'intrinseco del Foscolo; e anche di lui « i vizi le virtù le ossa cominciarono a riposare > compiuti ch'ebbe i suoi anni — quarta do udiva una sinfonia e nominava il Petrarca, era indizio che quella musica era assai bella. Non dispiacerebbe dunque a Didimo (e tanto mi basta) se diciamo che un gran sinfonista poeta fu Ugo Foscolo. Che cos'era per Dante quel legame musaico di cui parla come di cosa, tolta la quale la poesia è perduta? Era il nesso ritmico, la tessitura poetica; erano i versi, il verso che crea, la musica che penetra e fa vibrante il pensiero. Nelle poesie dove il Foscolo è lui, dove è lui tutto, il numero è l'arbitro delle proporzioni, l'anima della perfezione. La lingua che nelle prose di lui, pur così ben posseduta e dominata, ha qualche mistura; la mente sua di pensatore e di storico, di critico e di esteta, che, con tanto vigor© e veri intuiti e onesti originali spiriti, mostra pur qua e là ubbie e bizzarrie; tutto diviene limpido, tutto schietto e sicuro nella forma poetica. E non solo dei canti più visibilmente fervidi ed ispirati. Pensate i-versi a Vincenzo Monti : Se tra' pochi mortali a cui negli mini che mi fuggir fui caro alcun ti chiede novella d'Ugo... (de' più. belli ch'ei componesse mai, disse con ragione il Carrer nel pubblicarli): come v'è impressa la vita e ne scintilla la poesia ! quanto mondo in pochi tratti e quanto cuore in pochi accenti! che profonda e superiore semplicità! e tutto si fa uno (-nel placido ritmo armonioso. Un'armonia suonò tutto quel mare, scrisse'altrove; ma entro breve sponda sa chiudere un mare di armonia. Nei tesori dell'arte potrete trovare che si eguagli a tali versi qualche luogo (tra altri per altre guise bellissimi) delle Epistole di Orazio. Nelle poesie poi che dicevo, di più. vasta ispirazione e di più accesa passione, quello che siano gli spunti, gli andamenti, l'onda e il colore musicale del Foscolo, 6 inutile ridirlo a chiunque abbia con un po' di orecchio e d'anima penetrato quei piccoli mondi poetici dei sonetti amorosi, nostalgici, meditativi, e contemplato le odi marmoree con trasparenze d'alabastro, e ammirato, oltre ai Sepolcri, le Grazie. Perchè il divino Ugo è poeta sempre, e quando scrive di getto e quando compone a frammenti. Si sa che in questo ricorda, e non in questo solo, Andrea Chénier. Ma più mi richiama, con qualche divario e molte' somiglianze, Catullo che, appassionato o alessandrino, con note di petto o di testa, rimane, nelle sue ore buone, eguale a se stesso. Ma questo accenno al verso che crea — non più che un cenno di quel che dovrebb'essere — mi riporta e rituffa nel sonante gorgo dei Sepolcri. Ed ora risento quella magnifica intonazione: Felice te che 11 regno ampio de' venti, Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi! Ohi le vele animate dal soffio della poesia, gonfie del cuore dei poeti, sfidano le prepotenti eliche spumose dei colossi del mare. Ed ecco che in tale splendido tratto, nel quale il Foscolo (senza forse, nell'ora dell'i¬ ntLncslincgntcegidsldisqtpaqmscctcdfcdlisznqrsinescledlvnpim—daegfilminotnsnfpgerlss1ddncgssnlpdcnnn■ e ì o i . l l a o spirazione avvedersene) riprende le mosse e i trapassi di una grande pagina virgiliana (la divinità dello stile di Virgilio è una frase pur sua), nè mai ripresa fu più degna e potente, eccolo che soggiunge: E me che 1 tempi ed 11 desio d'onore fan per diverse genti Ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamln le Muse del mortale pensiero animatrici. Le Muse proprio in quell'ora lo venivano esaudendo. Ma sappiam bene che nell'evocare gli antichi eroi egli suscitò anche i nuovi; sappiamo quali menti e quali petti si alimentarono e avvalorarono di lui e del suo carme: importerà nominare, e valgono per mille, Mazzini e Garibaldi ? E quel suo ir fuggitivo, e proprio pvtqfsrrpsflFglti e , e i o ? o per le ragioni che disse, gli ri avverò più che non potesse allora trentenne presentile. Ricordiamo anche questo. Come spesso accade, e di preferenza in più eletti, che il mattino sia tutto aneliti e promesse, il meriggio pieno di ardimenti e di ardori, e la sera poi tanto mesta quanto precoce (e, se meno precoce, mestissima); così tutta la luce, tutta la fiamma, tutto il tripudio dell'intelletto e del senso, tramontano per il Foscolo in un doloroso squallore. Il dolore mette l'ultimo sigillo alla sua grandezza, aggiunge una ragione dell'affezione nostra memore e riparatrice. Poi tutto dileguò: il soldato e il cittadino, il maestro e l'esule, fu¬ rdccocfpalreat rono una memoria. Restano le opere, | delle quali forse è tuttora più quel che va meglio conosciuto di quello che può essere negletto. Resta, sopra ogni cosa, il verso che crea: tutto che il poeta sognò e amò, gioì e sofferse, è nella sua musicale immortale poesia: inno e impulso all'Italia e agl'Italiani. Si adempia, anche per lui che la disse, quella grande parola: l'armonia vince di mille secoli 11 silenzio-, e la sua è un'armonia così pura e alta che bene accompagna e conforta i cimenti e le virtù della patria. Sen. GIUSEPPE ALBINI dell'Università di Bologna. drlTrvtvgtsnr Il classico ritratto del Poeta nella maturità dell'ingegno

Luoghi citati: Didimo, Firenze, Italia, Londra