Il racconto dell'antropofago

Il racconto dell'antropofago UNA NOTTE DAGlil ZINGARI Il racconto dell'antropofago (DAI ROSTRO IMVIAIO IN CECO SLOVACCHIA) BRATISLAVA, agosto. Nella chiarità notturna, la sorda riva del Danubio, sommersa dagli alberi neri, che ancora stillavano le ultime lacrime della pioggia estiva, dava un senso di chiuso sgomento, quasi d'angoscia. Il buio versava nell'imbuto della valle larghe folate di frescura, che scherzavano appena con la corrente, di modo che i mulinelli attiravano per un attimo un prisma di scintille lunari, e si sfasciavano per ricomporre, più qua, più là, la loro insidia. E nulla, se non lo scroscio monotono del fiume, rompeva più il silenzio: nemmeno l'orchestrina di « Au café », che, nella filigrana nervosa degli alberi, sembrava ormai lontanissimo. Benché scintillante delle mille lucciole verdi dei suoi lampioncini. Attendevamo un piccolo rimorchiatore, da Samorin. Ma lo sciacquio delle ruote ed il fanaletto rosso, non si annunziavano ancora. Ed in quella immobilità sonnacchiosa, era come se fossimo in agguato. Veramente, un po' in agguato lo eravamo. Ma la fila degli alberi sembrava ima foresta placida nella raccolta scia delle foglie tremule, e una falce di luna che si era tagliata un varco tra le nuvole inargentate, immobile ora sull'orizzonte, aveva quasi l'aria di volervisi precipitare dentro, da un momento all'altro. Il mio compagno, poiché il rimorchio di Samorin era in ritardo, disse; — Andiamo fino al bivacco degli zingari. Sono quelli di Kosice. Non ti pentirai della visita. Vuoi ? — Quelli di Kosice ? Gli antropofaghi ? . — Ma si ! Quelli. Od altri. Sono accampati da ieri. Del resto tutta la Slovacchia n'è invasa. E questo è il vero regno della Boemia. Quello classico. Sei deciso ? Andiamo, dunque..; Un lumicino, il gobbo Non dovemmo percorrere molta strada. Mezz'ora di viaggio appena, nella tenebra. Finché si vide un lume, apparire e scomparire, come nelle favole, e un'ombra d'uomo ci sorse vicina, improvvisamente. Feci un salto in dietro. Ma udimmo subito una voce calda, bisbigliare qualche parola, ed avventarsi, come se, suo malgrado, fosse '.rattenuta da una specie di guinzaglio ideale. — Che cosa ha detto ? — chiesi, in sussulto. — Non aver paura, padrone !... — mi tradusse l'amico. — Nemmen per sogno ! Però... se tornassimo indietro !?... Eh ? Non era lo zingaro della buona tradizione spavalda quello che ci era sorto dinanzi, ma un piccolo essere deforme, quasi gobbo, col volto imbottito da una barba abbondante, nel quale gli occhi erano appuntati come due spilloni. Ed il sorriso bianco, nella faccia nera, sembrava scorticato in una noce di cocco pelosa. Si mosse in un gomitolo di stracci. — Che cosa facevi qui ? — Aspetto Radu. Che torni dalla città. — A quest'ora ? — Ha suonato a PresbuTgo. Coi fratelli. Un silenzio. — Vuoi mostrarci il tuo bivacco. E' possibile ? . — Non so. Aspetto Radu... Aspet tiamolo. Ci consultammo. — Aspettiamolo pure. Seduti sull'erba umida, nel ciglio della strada, vedevamo dall'altra riva lo scatolone quadrato del castello di Bratislava, dominare la valle notturna. Lo zingaro ci guardava. E taceva. Il lumicino della favola, oscillava nell'ombra, con un palpito rli stella mattutina. Il cane che aveva abbaiato ci raggiunse in quattro salti. Ci annusò. Si accovacciò ai piedi del padrone. — Com? ti chiami ? — feci chiedere al gobbo. — Rigo. Rada e le sae donne bellissime Ma non aveva finito di rispondere che si rialzò con uno scatto. Accennò che qualcuno doveva giungere, E sentimmo, infatti, la pedana monotona del cavallo, battere la strada fangosa con uno zoccolìo artificiale, come quello che si fabbrica fra le quinte di un teatro. Si avvicinò. A poco a poco Poi, l'equipaggio trainato dal ronzino magro, legnoso, fu in vista.. Al richiamo, i quattro che montavano la carriola, tirarono le redini e saltarono a terra. Erano vestiti come comparse. Bottoni d'oro su giacche di velluto. Cappelli larghi e stivali alti. Barbe nere, capigliature come la notte ed occhi fosforescenti. Agitavano violini e balalàike. Ci furono intorno a squadrarci. Sorpresi. — Che cosa volete? Ci sentimmo intrusi, in quello sfondo di fiume, in corsa per l'Ungheria. Edvanche un po' intimoriti dall'aria di quei quattro briganti da operetta — Il mio amico è un popta. E bisogna perdonare ai poeti. Egli desidera vedere il vostro campo. Radu sogghignò sospettoso. Guardò ì compagni. Si consigliò sottovoce. Guardò ancora noi. Alzò le spalle. S'inchinò, dopo un attimo di silenzio. — I poeti sono amici nostri. Siate dunque i benvenuti. • Rigo prese allora la briglia del cavalluccio dagli stinchi di legno, che nitri. E avanti. Per poco. Vedemmo subito il carrettone dalle finestrelle illuminate e le tende arcigne disposte in cerchio. Un via vai d'ombre come sullo schermo di un cinematografo: donne seminude, bel"issime, quasi sorprese nel sonno, che si fregavano gli occhi, ragazzi scalzi e scamiciati d'ogni età. un maialetto disturbato che grugni come se lo scorticassero nel giorno del Giudizio, in un tanfo tiepido e stagnante di bestiame. Un lume fumoso a petrolio rischiarava da un trespolo la scena. E dico la scena, perchè ebbi ancora una illusione di teatro, aspettando non so bene perchè, una battuta da melodramma, ora che il campo era a rumore. E che il coro degli zingari si era destato. «E li hanno anche mangìafu~> Fu cosi che ci trovammo in tomo al fuoco crepitante, perchè la notte umida era tutta un fiato di brividi. — Vuoi che ti cantiamo le nostre canzoni? Abbiamo musici, improvvisatori, mercanti di cavalli, calderai e donne che dicono la ventura. Questa è la tribù. Io sono il capo. D'inverno, i ragazzi vanno in città. D'estate, gli uomini' spaccano le pietre per le vie maestre. Viviamo di lavoro. E, se ti piace, siamo comunisti. E ortodossi. — Le « vostre n canzoni le canterai dopo. E noi le ascolteremo con piacere. Ma prima dovresti raccontarci qualche altra cosa. Sei di Kosice? — SI Dì Kosice. — Allora, hai sentito parlare di Filko — soggiungemmo. — E come vuoi che non ne abbia sentito parlare, se, per causa sua, i gendarmi mi hanno arrestato, tre volte?... Passò un lampo livido, una frustata d'odio nelle sue pupille. O mi parve. Il gobbo portò dei bicchieri. Vino di Tokai. Cercavamo di guardarci negli occhi, quasi attanagliati dal mistero di quella seduta notturna. — Sì. Fu alla fine di Febbraio, che un muto si presentò alla gendarmeria di Kasa. Fece intendere che aveva un segreto, un grande segreto da rivelare. « Apri bocca! » Non parla Sembra che le parole che deve pronunziare siano enormi. Dice: « Non puoi' parlare?». Il muto fa cenno di no. Dice: « allora scrivi! », E il muto scrive. Sì. A Uzhorod, nell' accampamento dì Filko, hanno ucciso degli uomini! « Hanno ucciso degli uomini? », leggono quelli della Procura, ad alta voce. Sii risponde con un cenno. « E li hanno anche mangiati 1 ». « Cane di zingaro, segnato da Dio, perchè non puoi parlare, tu ci vieni a graffiar delle favole su queste cartel». «Giuro che. dico la verità». Dice: «scrivi». E il r--:to scrive. « Chi sono questi assassini che poi si mangiano gli uomini? » domandano increduli e sorridenti i gendarmi. « Filko! Filko e i suoi zingari! ». « Pazzo tu sei! ». E non lo credono. « Giuro che dico la veritè! ». Dice: «scrivi!». E il muto scrive. « Ora firma! ». E lui firma. « Ma se hai mentilo! ». E lo gettano in prigione... La fiamma che crepita, illumina il Tokay nel bicchiere. Sangue. Abbiamo il volto rosso. Le mani rosse. La notte ci copre inutilmente col suo mantello bagnato. — Allora, i gendarmi vanno a Uzhord. Esplorano la terra. I fiumi : il Vag. l'Cug. Finiscono per arrestare Filko, la tribù, e portano tutti a Kosice. Ora sono là, da cinque mesi, aspettando il processo. — E gli uomini li hanno proprio mangiati? — insistiamo. Fa un gesto misterioso. Solleva le mani. — Lo dicono. Hanno confessato. Gli sembra di aver parlato troppo. Ma soggiunge: — Vuoi che ti canti le nostre canzoni? Terra maledetta In realtà, i cinquantatremila abitanti di Kosice, sono tatti in subbuglio. La procura è in gran moto 1 gendarmi vanno e vengono da Kasu a Uzhorod, la capitale della Russia subcarpatica, che prima apparteneva all'Ungheria. Ma il paese è cosi grande e così squallido! Monti e boschi. I boschi sono quasi impenetrabili. Per distese infinite. Bisogna interrogare centinaia di persone. E prima di trovarle, con una media di popolazione che si calcola sia di quarantotto abitanti ogni chilometro qadncnsttnMzdcsnrssPovppflmt conto di quadrato, col settanta per, analfabeti!? Ah, che terrai Terra maledetta, dicono coloro che la sentono nominare. E si fanno il segno della croce. Paesi sporchi che sembra sorgano su mucchi di letame, e sono quasi sepolti nella foresta. S'odono i tonfi dei tronchi degli alberi tagliati, che si abbattono via via, e che nessuno può raccogliere del tutto. Mancano le strade. Manca ogni mezzo di comunicazione. Non parliamo di ferrovie! Prima che la Cecoslovacchia vi andasse, vi era gente vestita soltanto di una camicia. I montanari non hanno mai da mangiare. La carestia ha stabilito nella zona una sua sede permanente. Il tifo ed il colera si alternano in tragiche epidemie. Passa il corteo della morte ad ogni ora. Un tempo, queste terre appartenevano ai baroni ungheresi. Oggi, dopo la registrazione della nuova carta politica, ed in seguito alla riforma fondiaria, sono proprietà dello Stato o delle città : a due passi dalla Galizia. Quasi sulla bocca delle sorgenti di nafta. Ma chi ha mai permesso la colonizzazione o lo sfruttamento del paese? L'Ungheria, no. Il legname non si poteva e non si può trasportarlo. E per rotolarne una piccola quantità necessaria, si aspetta d'inverno, che la neve raggeli. E i traini delle slitte possano scivolare sul ghiaccio di vetro. Allora, ecco i montanari alle prese coi lupi e con gli orsi. Ma come uccidere le belve, se non vi sono mezzi, di difesa, e non è concesso a nessuno di portare armi, e dal "21, quando gli ungheresi promossero un inutile « putch » per riannettersi la Slovacchia, e re Cario volò a Budapest inutilmente, il decreto permane, fermo ed inflessibile? Filko l'antropofago E' qui, dunque, che Filko e i suoi uomini hanno maturato i loro delitti, in questa avvelenata plaga d'Europa, che ebbe bisogno nel "20 delle colonne di autoambulanze cecoslovacche per disinfettarsi, e per avere degli ospedaletti da campo contro la distruzione e la moria. Gli zingari vivono nella foresta come barbari. Bisogna snidarli dai loro covi. La caccia all'uomo non ha tregua, finché la giustizia aon si è impossessata di tutti gli elementi possibili. Finalmente anche Fiifc ) è caduto nella rete. E' violento e arrogante. Tiene in soggezione i suoi uomini, col fascino che gli deriva dalla sua vittoriosa giovinezza: trentacinque anni. Ed incominciano, allora, gli interrogatorii minuti, interminabili, snervanti, tormentosi .Al terzo, dopo una serie di disperati dinieghi, di contraddizioni, di minacce, Filko, finisce per confessare — Sì. Abbiamo ucciso. China la testa. E si chiude in un mutismo esasperante. Passano i giorni. — Quanti ne avete ucciso? Dove li avete uccisi? — Non so... Oppone la sua testardaggine quadrata. Come se, ora, anche le sue stesse parole gli facessero paura. Di nuovo, chiuso iu se stesso. Il giudice istruttore,- raduna allora i giornalisti slovacchi ed ungheresi dei dintorni, perchè assistano agli interrogatori che si fanno sempre più mostruosamente interessanti. Cominciano a circolare voci paurose. Filko, a un tratto, le conferma tutte. Sembra che ormai la sua insensibilità sia assoluta. Un uomo di pietra. Un macigno. Ma anche i macigni rotolano dalla montagna. E la sua maschera si sfascia. — Andavamo per la foresta. Ci siamo imbattuti in un mercante, in viaggio per Kasa. Portava con se molto denaro. Troppo. Per toglierglielo, abbiamo dovuto ucciderlo con una .randellata... — E poi ? Ecco la timida ammissione, che, per la prima volta, conferma la denunzia dell'accusatore muto. — E poi ? — Lo abbiamo bollito. Per farlo scomparire... Dice una donna: — Avevamo fame. Che cosa volete fare, contro la fame ? Abbiamo man giato la carne. Sì. Ed il cervello lo ahbiamo dato ai bambini, perchè diventassero più intelligenti. Soggiunge un giovine. E non trema. — Una volta, mia madre, mi ha cucinato una zuppa. Buona. Era una zuppa di seni di fanciulla. Un po' insipida... La scoperta delle ossa Sono ammissioni incredibili. La pubblica opinione locale ne è com mossa Ma le prove? Le prove? Non basta che siano scomparse delle persone! In genere le vittime sono costituite da grassi mercanti d'oltre confine, o da contrabbandieri ungheresi, che varcano la-irontiera di na-l scosto. Chi- puA *anque documenta¬ rcdamspnnmUrrcntFlepsdffnsrasvtvisprgep-p[fqnptdsipatttgvsbudmgscpqlisgiccrfpmg:tlbiupctlsstnbspctrfiedn l re? Chi può precisar*? Bisogna, ricorrere alla ricerca degli scheletri e delle ossa. Le confessioni strappate ai colpevoli, non hanno un fondamento di verosim-g'ianza se non siano sorrette aa un fatto preciso, palmare. E le ossa degli uccisi hanno tro-'ato una tomba inaccessibile, nel -ilenzio umido della forestal Si scava, allora, la terra. E finalmente le ossa disperse compaiono. Un fremito d'orrore gela i ricercatori, che raccolgono e compongono i resti umani, per mandarli a Kosice, più tardi a Praga, per le indagini mediche. Dapprima, la procura nega che si tratti di ossa umane. Ma Filko? Ma Filko? che ha confessato!? I giornali che avevano già diffuso l'allarme e propagata la storia macabra, ora, per imbeccata governativa, vogliono sopire lo scandalo, nascondere l'esito delle perizie. Dicono che l'antropofagia è un bluff, una tavoletta diffamatoria, per terrorizzare i bambini. Si rimane per un attimo col respiro sospeso, nella parentesi delle ricerche che continuano. E continua anche la raccòlta dei resti umani. E si finisce per constatare, ancora una volta, che la tragica verità non po trebbe essere più angosciosamente vera. La Ubarla perduta Entrano in scena, a questo punto, i parlamentari slovacchi. Il rumore si fa generale, attraverso le interpellanze. Le polemiche sono clamorose. E si viene a una conclusione generalmente accettata: che si debba emanare, cioè, una legge eccezionale per- gli zingari. E' dal '71, che si -perca di trovare una legislazione de[fìnitiva, per questa piaga sociale quasi insanabile. Gli studii vengono perciò ripresi, e si elabora un progetto — la cui approvatone, non tarderà a sopraggiungere — secondo il quale tutti gli zingari di Cecoslovacchia debbano essere raccolti in una sola tribù stabile: con proprie scuole, proprii.mestieri, proprie attività. Che permettano loro di nutrirsi — come dire? — naturalmente... A Uzhorod, una scuola è infatti formata in fretta e furia. Gli zingari vi mandano i ragazzi, perchè vi sono trattati bene, e perchè vi si studia la musica» Ma il maestro stabacco, mantenuto dallo Stato, riceve un così magro compenso! Finirà per divorare i suoi allievi? E si stabilisce anche un regolamento di polizia provvisorio: gli zingari che non prenderanno dimora stabile, saranno internati in case di correzioni, ed obbligati a lavorare per forza. Ed allora, succede che, quando piove, gli zingari vanno al lavoro. Ma quando il sole batte implacabile, sulla campagna, l'istin- 0 nomade li riprende. E chi può raggiungerli è bravo. Intanto, Filko, è condotto, un mese fa nella foresta per un sopraluogo, perchè si è accertato che proprio in un determinato punto egli ha ucciso due donne Eccolo in mezzo ai compagni antichi. Un gran tremore lo prende. Si batte il petto e la fronte. A un tratto scoppia in un pianto dirotto. Sissignore. E' la prima volta in vita sua, che gli occhi gli si inumidiscono. Addio liberta! :\ddio complicità della selva impenetrabile! Addio istinto nomade del l'avventura! Assisterà all'epilogo di Kosice, fra breve: in quello che, dicono, sarà il più grande processo d'Europa: un atto d'accusa di un migliaio di pagine e centinaia di testimoni. Dieci uomini scannati. Cotti. Mangiati. Canzoni — Vuoi che ti cantiamo le nostre canzoni? Veramente il fuoco ad è quasi spento. Il cielo si è pulito, spazzolato. E la notte profonda si smeriglia di stelle. Or sì, or no, dal gran fiume, sale come l'eco di un richiamo interrotto. Le balalàike gemono in tono minore. La musica soffocata nel fruscio delle piante, si accora. Martella un ritmo dì singhiozzi. I violini fanno scivolare sotto l'ondata degli archetti torrentelli di lacrime. Chi piange? Che cosa piangono questi quattro zingari pezzenti, dinanzi a noi, ora che le donne curiose sono rientrate nelle tende senza nemmeno predirmi l'avvenire, che i ragazzi dormono dopo essersi riempite le tasche delle mie corone, die 1 cavalli scalciano legati ad invisibili paìi, e soffiano dalle froge insaziate? Una voce di tenore, ecco sale, sopra la musica. Dolce. Di sillabe, di consonanti, mischiate in un vero tripudio impossibile. Si tace. Radu mi porge ancora il bicchie re: un sorso di Tokay. Un £ izzo di fiamma lo illumina fra le : te mani e le mie, nell'atto in cui sto per prenderlo. Rivedo il mio volto rosso, riflesso nel suo. Sangue. Le mani rosse. Il bicchiere mi cade. Rotola per terra con un colpo secco'. Andiamo via! Andiamo via!... ENRICO CAVACGHIOLI

Persone citate: Cappelli, Cario, Radu