Manoscritto trovato in un "thermos,,

Manoscritto trovato in un "thermos,, Favole contemporanee Manoscritto trovato in un "thermos,, ci. , !Una grande notte d'estate col snoPmoalcolabile numera d'astri. Il vasto isonno dell'oceano non è rotto che dal limita della nave che sposta migliaia tonnellate d'acqua a 35 miglia ,il'ora. E' una notte da rockingehair. Fumeremo un imprecisabile numero di sigarette, probabilmente fino all'apparire dell'alba. Nelle tenebre non vedo nè il volto classico, nè i capelli biondo-cénere della mia esotica compagna di viaggio. So che la bella ainazzone di lungo corso ha una camicetta rossa e calza stivaloni da cavallerizza. Odo la sua voce: una voce dolce ma un po' sorda come un canto rotolare di perle dal cavo d'una mano in un cristal lo cavo: — Avete letto un « Manoscritto trovato in una bottiglia?». E' il ro manzo d'un naufragio. Sorridereste se vi dicessi che si può ancora trovare, in pieno secolo XX, un manoscritto in una bottiglia? Io l'ho trovato, ma in un thermos. E' più semplice e più moderno. Ascoltatemi. Dueanni fa avevo fatto attrezzare un piccolo uacht, il Charleston, per una crocieri nelle regioni meridionali dell'A Mantice. Ero partita da Lisbona con un piccolo e fidato equipaggio co mandato da un coriaceo lupo di mare ed avevo costeggiato le coste del l'Africa occidentale col proposito di deviare a.sìid-effc verso l'isola di Tristan da CunhaJche sorge — come sa pete — a meta strada tra l'Africa e l'America, nelh solitudini dell'Atlantico del Sud. lira l'epoca delle calmo e fino a quel niomento non ci eravamo imbattuti soltinto in qualche effimero uragano che Iveva costretto il Char Ustori a rudif danze, ma non aveva compromessa] la sua solidità. Eravamo giunti cai ài 32.o parallelo e navigavamo sfora un fondo di . 6000 piedi. Ma émbrava che la nostra nave slittavo sopra una distesa di smeraldo aizichè sugli scabri flutti oceanici I "Di giorno, durante una so sta del Charleston, gettammo le reti con la spèanza d'un'ottima pesca Qualche ob dopo le nasse rovesciavano sul wnte, con una ricca e scintillante pipa marina, un oggetto ci lindrico dimetallo, che a tutta prima scambiai pr un piccolo ordigno esplosivo, semi iato forse dalla guerra di corsa, di ( li quelle acque erano state teatro. N< 1 si trattava di un ordigno esplosivo,tra di un semplice e comu nissimo mirmos. Vi diro subito che questo prwlotto del comfort moderno eccitò la Imi a curiosità. Provvidi a farlo aprre e grandissima fu la mia meravigli quando, da un involucro di tela «irata, incapsulato nel thermos, le «Ì3 dita estrassero un grosso foglio d^carta sul quale appariva, piuttosto corrosa dall'acqua marina, una frac scritta a mano, in inglese e in;italiro. Essa suonava così: '» P-ìii' >■> in volo dall'Europa net gitignottcl 1918, sono stato costretto fid eUtf'are in seguito a incidente imiatotn, in un'isola sconosciuta tra ìÌ^O.onÌ longitudine e il 35.0 di. lati tubine Sud. Chiedo soccorso. A. Borendo ». c flfon vi dico l'emozione che mi ca gion(^i;'uesto scritto. La prima lettera ul'.more non aveva turbato più prof oscamente la mia adolescenza Consigliatami tosto col capitano, decisi di mettere la nave a tutto vapore verso la zona indicata che gli strumenti di bordo ci avrebbero facilmente permesso di precisare. Fu una navigazione arrischiata, giacché questa zona <1'acqua, poco nota ai navigatori, ha un substrato d'origine vulcanica. Le stesso isole dell'Ascen sione, di Sant'EIena e di Tristan da Cunha, che scalano quest'ampia distesa oceanica, sono prodotti eruttivi. Non sarebbe stato quindi improbabile cozzare in qualche scoglio ignoto, d'origine anche recente. « Ma la fortuna ci assistè. E non vi diro l'emozione che ci prese quando i nostri cannocchiali intravvi-dcro, nel terzo giorno di navigazione, l'azzurra sagoma d'un'isola, alla quale una bassa linea di scogliore faceva d;collana. Eseguiti i sondaggi di rito decidemmo di sostare a un miglio diilla barriera di scogli in attesa de giorno veniente, per poter approdare nje)le migliori condizioni di visibilità e Ól più largo margine di luce in previsione d'una operazione d'ancoraggio '.unga e faticosa. o Comunque stabilimmo di tentare, nella notte, degli spari luminosi con le pistole Very, per attrarre l'attendone degli isolani e del misterioso naufrago. Eravamo nel novilunio di luglio e la notte calò insolitamente tenebrosa sull'oceano. Subito lanciammo dei razzi di diverso colore. La sloggia iridescente, ricadendo sulla acque, tesseva sulla loro nera seta i più strani scintillìi... Ma dall'isola nessun seguale luminoso rispondeva a queste nostre interrogazioni. Mentre cominciavo già a disperare, diedi orline di fare un ultimo tentativo, con lancio simultaneo di 10 razzi. Ed co, spentosi il piccolo diluvio piromico, un tenue bagliore rossastro ■ patire sulla cima dell'isola. Il mi- rioso aviatore viveva? II. , In All'alba, lasciata sullo yacht metà bell'equipaggio col comandante in seconda, scesi insieme al capitano e agli /tiCti uomini in una scialuppa che filò tostò, a vigorose bracciate, verso l'igeila sconosciuta. Riuscivamo, man iplaho, a distinguere i caratteri della I terii. Le sue rive erano scogliose, ma 'l'altipiano che saliva verso il centro sdì essa appariva lussuseggiante d'una Ivegetazione tropicale. Girata la scoehera ed entrati nella rada riuscimfinalmente a scorgere sulla riva nomo — un bianco — fra uttffppo di indigeni. Egli agitava fo^flente le brtecia verso di noi... ' TFu cos'. che io conobbi Aldo Be-!ria, nn asso ài guerra che era stato!come ...Relitto nel;&ngao l918^ tA.."ante una ricognizione in idrovo- P*'*** all'alba del 26 il giovane aviafore era scomparso. Come egli fosse potuto giungere dal Tirreno in un'isola sconosciuta dell'Atlantico del Sud e avesse accettato di vivere fra una tribù di colore, era un mistero che soltanto l'audacia dell'aviatore e le possibilità tecniche del suo apparecchio non sarebbero riuscite a spiegare. Quando giunsi alia casupola costruita di tronchi d'albero, che serviva d'alloggio al giovane aviatore e nella quale egli divideva la solitudine della propria esistenza con una sconfortante indigena, provai una stretta al cuore. Osservavo intensamente il volto del volatore, un volto dal quale le sofferenze e l'abbrutimento della vita presente non avevano cancellato i nobili lineamenti della razza e i segni d'una maschia fierezza guerriera. Rivedo sempre, nel suo volto squadrato, l'occhio sinistro caratteristicamente socchiuso, quasi a concentrare e ad acuire lo sguardo. Esso assumeva una forza di penetrazione e di ostilità che in certi momenti aveva qualcosa di spietato. Era l'occhio del pilota da caccia e del mitragliere volante, che considera lo spazio non come un paradiso azzurro da conquistare, ma come il perenne pericolo e la mortale insidia da affrontare. III. « Il racconto che l'aviatore mi fece, fu semplice e strano: — Da cinque anni, signora, io vivo attendendo angosciosamente una nave che mi recuperi e mi riporti nella mia patria adorata. Non oso credere an cora al vostro arrivo e sono convinto di sognare. Voi mi chiedete come si sia svolta la mia meravigliosa e terribile odissea? La guerra ci aveva abituato a lunghe oro di volo senza scalo, con apparecchi spesso incerti e di limitati velocità, su cime e su acque, tra le insidie degli aviatori nemici. Avevo pilotato per due anni apparecchi di ogni specie al fronte: ma sul finire della primavera 1918 ero stato inviato a una base navale del Tirreno. Uscito all'alba del 26 giugno per bombardare un anfratto dell'isola G-..., dentro la quale avevo potuto riconoscere in voli precedenti un covo di sommergibili nemici, vidi improvvisamente emergere dai flutti un mostruoso dorso metallico. Un grosso sommergibile, sorpreso dal mio arrivo, cercava di allontanarsi a tutta velocità verso sud-est abbandonando una base che era divenuta pericolosa. Lo inseguii, ma non andò molto che il sottomarino si sommerse. Tuttavia ero deciso a non lasciarmi sfuggire il formidabile fuso, certo com'ero che esso sarebbe dovuto riemergere. Cosi fui trascinato alla straordinaria avventura! Ero giunto in vista del Golfo del Leone che — come sapete — è un nido di tempeste, quando il cielo fu improvvisamente invaso daun'immensa, cadaverica nuvola e unvento pauroso mi prese tosto nei suoi mulinelli. Tentai di innalzarmi per superare l'uragano ma fu inutile! D'altra parte ammarare sarebbe stato pazzesco. Allora, per salvarmi, decisi di filare in direziono della tempesta. Il vento mi proiettava letteralmente verso ovest a una velocità di oltro 250 Km. all'ora. Misi il motore a basso regime e mi affidai alle mani di Dio. Quanto durò e dove mi portò questa fantastica fuga tra il diluvio e le fol gori ? Non lo saprei dire. 11 ciclone andava tuttavia sfrangiandosi lungo il percorso e perdeva della sua vio lenza. Decisi allora una energica manovra c svincolandomi dalla vertigine dell'uragano, riuscii a deviare verso il Sud. Constatavo che il mio motore non aveva consumato che una parte della benzina e attribuivo que sta economia alla misteriosa forza aerea che mi aveva spinto fino a quel punto con l'impulso di una catapulta. Calcolando di non essere mollo distante dalla costa africana, tentai di rettificare il volo verso sud-est nella speranza di rintracciare il Continente nero. Ma forse per effetto d'un vento di deriva che mi trascinava fuori della rotta o per altro, io non riuscivo a vedere sotto di me, dopo parecchio ore di volo, che l'oceano e l'oceano... Il tempo peggiorava e una nuova burrasca andò fosc.ament-e germinando nolla serenità del cielo. La tattica che mi aveva salvato la prima volta, mi salvò anche la seconda, tanto più che il nuovo uragano era ni assai minore violenza del primo. Tuttavia fu soltanto parecchie ore dopo che io intravvidi il profilo di quest'isola. Riuscii ad ammarare, ma il vento mi cacciò contro la scogliera e il mio apparechio fu infranto. A nuoto, dopo infiniti stenti, riuscii a toccare terra. Non fu facile, dapprima, intendersi con questi indigeni che appartengono a<yli ultimi gradini della scala umana. Potei avere nace e ospitalità soltanto al patto di sposare una figlia del capotribù. Voi comprendete tutta la mia miseria, signora! Salvatemi. Non uso altre parole per scongiurarvi ». IV. La straordiuaria viaggiatrice tacque un momento, quindi riprese: — Era quello che volevo fare. Ma verso sera una bieca nuvolaglia andò addensandosi all'orizzonte, dietro il Charleston, e il capitano mi comunicò che sarebbe stato opportuno completare l'equipaggio della nave, per le opportune manovre di precauzione. Io voleva lasciar partire i miei uomini e rimanere nell'isola coll'aviatore, attendendo che le scialuppe del Charleston fossero tornate ad imbarcarci ; ma il capitano declinò ogni responsabilità circa la mia sicurezza. E fu lo stesso capitano Berendo a decidermi a partire, naturalmente dopo che io gli ebbi formalmente promesso fdi venirlo a riprendere tosto che il flnaltempo'fosse passato. Ma la temTpesta, scatenatasi al cader ^»"= notte, ci costrinse a spingere lo^y, parecchie miglia al largo'. Ca .À^ammo a ^poolo- yftppreS Wkjjfi notte, ma per fortuna, allo spuntar del giorno, la tempesta si calmò, e il Charleston potè riprendere la rotta verso l'isola senza nome. « Navigammo alcune ore, ma con angoscioso stupore, non riuscivamo a intravvedere terra. Pensammo agli effetti di qualche strana foschìa e ricorremmo agli strumenti di bordo per precisare il punto in cui l'isola ci era apparsa la prima volta. Ebbene gli strumenti ci risposero che ci trovavamo appputo nello specchio d'acqua in cui avevamo gettato l'ancora il giorno prima. Ma dell'isola nessuna traccia ! Per tre giorni frugammo in lungo e in largo tutta la zona dell'oceano che si stendeva — nell'angolo formato dal 20.o di longitudine col 35.o di latitudine Sud. Nulla! Tutt'intorno non si stendeva che lo sconsolato mistero delle acque. L'Oceano aveva inghiottito la sua favola... ì. CURIO MORTARI.

Persone citate: Aldo Be, Char, Cunha, Mantice

Luoghi citati: Africa, America, Europa, Lisbona