MACHIAVELLI

MACHIAVELLI MACHIAVELLI Dal Libro dei becchini: "22 Giugno 1527 - Nicholò di Bernardo Machiavelli riposto in Santa Croce „ Solo col suo no ili labro dei becchini dell'arte dei Medici e degli Speziali, nell'archivio di Stato di Firenze, reca, sotto la date del 22 giugno 1527 questa fredda notazione : « ... Nicholò di Bernardo Machiavelli riposto in Santa Croce... >. Non sappiamo se il Machiavelli fosso spirato quel giorno stesso o il giorno prima, essendo dubbia l'autenticità di una lettera attribuita al figlio Pietro, in cui si dà notizia della morte come avvenuta il 22: comunque, egli doveva quasi certamente essere in condizioni disperate sin dal 20, per il repentino aggravamento di certi disturbi di natura intestinale, di cui soffriva da tempo, e che, a nulla giovando il ricorso agli abituali rimedii, aveva assunto subito carattere deleterio e fatale. Ma. non la gravità, qualunque essa fosse, del morbo aveva ucciso Nicolò Machiavelli. Il corpo, non vecchio (da poco più di un mese, aveva compiuto i cinquantotto anni) e, malgrado la stanchezza per i disagi e gli strapazzi degli ultimi mesi di partecipazione ai fortunosi eventi del 1526V27, tuttora vigoroso e robusto, arrebbe probabilmente resistito, se la' resistenza fisica non fosse stata minata dalla radicale prostrazione di forze, in cui, sotto il -tragico crollo di ogni sua superstite speranza e illusione di uomo di azione e di sognatore, era.- da qualche settimana, piombato lo spirito del Machiavelli. Di crepacuore, più che di altro, era morto Nicolò Machiavelli: di crepacuore, non meno per la imminenza, ipvano per tant'anni prevista e deprecata, della servitù dell'Italia, ormai, a poco più di un mese dal sacco dì Roma, abbandonata, dalla ignavia 65 Governi e dall'incoscienza di popoli, alla mercè dei barbari, che per la impossibilità, più atroce per Sui d'ogni tormento, in cui l'iniquo ostracismo dalla vita pubblica decretategli dalla sua Firenze, appena riscossa al vìvere libero contro l'oligarchia medicea, lo poneva di mettere* un'ultima volta, la sua persona e l'opera sua a servigio dell'estremo sforzo, che, in un lembo di terra italiana, un gruppo di Italiani, e proprio ì suoi concittadini, si apprestavano eroicamente a fare, per tentar di scuotere da sé il giogo incombente della schiavitù. i 'Già da una decina di giorni prima «he. la improvvisa crisi del 20 giugno lo fìaesse in poche ore alla morte, era incominciata, invero, la agonia, se non del corpo, dello spirito di Nicolò Machiavelli: da quando, cioè, il '■10 giugno, dovendosi dal nuovo Governo di Firenze provvedere alla nomina del segretario del ristabilito magistrato dei Dieci per la Guerra, la fiducia dei governanti era caduta sul nome di un tal Francesco Tarugi da Montepulciano, e non su quello di Colui, che, durante gli anni della (Repubblica, aveva quell'ufficio, con tanta competenza e con tanto prestigio, tenuto e illustrato, e che, anchese altro non fosse, pareva naturalmente designato, da recenti e preziosi servigi prestati alla fortificazione delle mura e alla condotta della guerra contro gli Imperiali, a coprirlo di nuovo. A questa testimonianza del conto in cui lo tenevano i buoi cittadini, proprio nej momento in cui essi sj apprestavano a realizzare, senàaoi lui, il suo antico sogno della resistenza armata contro i barbari, a questa condanna all'inazione, quando l'opera sua avrebbe potuto e dovuto essere più necessaria e richiesta, lo spirito di Nicolò Machiavelli non poteva sopravvivere. Ma quella condanna non era, come potrebbe a prima vista sembrare, un atto di mera e cieca ingratitudine e misconoscenza dei Fiorentini. Essa aveva negli immediati precedenti della rivoluzione fiorentina del 16 maggio 1527 e nella mentalità degli uomini chiamati a reggere la risorta Repubblica antimedicea, una intima ragion d'essere, di cui non poteva sfuggire, sia pure attraverso l'amarezza degli inutili rimpianti, allo stesso Machiavelli la fatalità ineluttabile. Giacche i nuovi repubblicandi Firenze, nel cui animo risuonavano echi non mai del tutto' spenti deverbo savonaroliano, avevano intesobandendo Nicolò Machiavelli dallrestaurata libertà cittadina, di con dannare in Lui, non già l'antico segretario dei Dieci, l'antico servitordella Repubblica, l'antico collaboratore di Pier Soderini, bensì il recente consigliere di Leone X e di Clemente VII, il recente esaltatore delle fortune medicee, il recente colla boratore di Francesco Guicciardini aservizio dei Medici di Firenze e dRoma. Così, per un singolare capovolgmento di circostanze, pur sempre avverse, toccava a Nicolò Machiaveldi vedersi ora, dal sospetto di fedetà medicea, preclusa la via a ripren der l'ufficio, dal quale l'aveva, quindici anni prima, allontanato, per sospetto di ostinata fedeltà repubblcana, il memore rancore dei Medic'Ai quali il destino pareva riserbaril compito di essere sempre, così nelllieta che nella trista fortuna, così d'amici che da nemici, apportatori dsciagura al Machiavelli. Senoncbè, giustizia storica vuoche di ciò e del danno che ne segusottraendosi a Firenze e all'Italia, imomenti particolarmente gravi, cne quelli succeduti al sacco di Prat i e, e i l i del 1512 e al sacco di Roma del 1527, 1 attività di un. Uomo, qual'era il Machiavelli, non si addossi intera la responsabilità o la colpa alla meschina ambizione dei Medici o alla gretta faziosità dei repubblicani fiorentini. Un po' di colpa l'aveva, in fondo, anche il Machiavelli. Perchè, se è vero che l'ambizione- dei Medici era una meschina ambizione, incapace di grandi propositi e inetta a grandi ardimenti, e la libertà di Firenze repubblicana era una libertà da faziosi, cioè l'una e l'altra radicalmente diverse dalla ambizione e dalla libertà vagheggiate e sognate, per i Medici e per Firenze, dalla passione nazionale e civile di Nicolò Machiavelli, non è men vero che questi non aveva compreso lo spirito genuino, sia della politica medicea, sia della libertà fiorentina, e ne aveva quindi sperato ed atteso, di fronte ai problemi . nazionali, comportamenti ed atteggiamenti che era perfettamente illusorio sperare ed attendere. La verità e che a base delle relazioni fra il Machiavelli ed i Medici era sempre stato un reciproco equivoco, non meno profondo di quello che aveva ispirato le relazioni fra il Machiavelli e la Repubblica antimedicea. Questa obbediva a preconcetti e a pregiudizii teorici e pratici; che erano del butto estranei o antitetici allo spirito e ai propositi del Segretario dei Dieci, che si mantenne per tutta la vita al di fuori o al di sopra delle divisioni, e degli odii, onde erano, in ossequio a interessi, che il Machiavelli ignorava, irreparabilmente! separati ed armati gli uni contro gli altri i cittadini di Firenze. Sicché gli era, di fatto, accaduto, durante gli anni del suo servizio come Segretario dei Dieci e come collaboratore prezioso e instancabile della Signoria e del Gonfaloniere, più volte, di servire la fazione o la parte quand'Egli aveva inteso e voluto servire lo Stato. E al di sopra di Firenze repubblicana, Nicolò Machiavelli aveva sempre veduto l'Italia, e sèmpre tentato, in tutta la complessa ed eroica opera sua di animatore e di realizzatore, di inserire gli interessi e gli scopi della politica fiorentina negli interessi e negli scopi di una più vasta politica, non cittadina o regionalistica, ma nazionale, .mirante • a 1 far di Firenze il centro della difesa e della resistenza italica contro l'alluvione barbarica, quando, a vedere al di là di Firenze un'Italia, entro cui questa dovesse inserirsi e subordinarsi, egli era forse il solo fra i governanti della Repubblica, tuttora chiusi nei vecchi cancelli della politica particolaristica e schiavi dei vecchi egoismi cittadini. E quanto ai Medici, da cui non lo aveva mai irreparabilmente diviso la passione di parte dei repubblicani di Firenze, invano si erano essi illusi, vedendolo, dopo il loro ritorno a Firenze nel 1512 e il loro superbo ripudio, così a lungo e con tanta angosciosa insistenza implorar da loro la grazia di poterli servire, di averlo alla fine aggiogato al carro dei loro interessi dinastici e della loro poli-'tica grettamente fiorentina. Se Nicolò Machiavelli volle, con tutto l'ardore della sua indomabile sete di attività politica, accostarsi ai Medici, e farsi accettare da essi, a costo di umiliazioni e rinunzie, che gli sarebbero ! '] e parse insopportabili, ove egli avesse chiesto di servirli, per sè, e non per l'Italia, fu soltanto perchè egli si era a sua volta illuso che la fortuna dei Medici offrisse una possibilità di realizzazione al suo tenace programma unitario, e suppose in essi, vittima eroica della propria fede, animo e virtù, sufficienti a dar corpo al suo sogno del Principe Nuovo, destinato a farsi capo agli Italiani discordi e a dar loro unità di ordini e disciplina di armi, per guidarli a liberar la Patria dai barbari. Nè questa fede aveva acoeso e vivificate soltanto le pagine del Principe e dei quasi contemporanei Discorsi, ma, anche più tardi, dopo il crollo del programma tracciato nel Principe, aveva ispirato, benché in forma più tranquilla e pacata, quasi con un senso di attesa, l'arte della Guerra e dominato le Storie: ma sovratutto, aveva reagito con energia indomabile, all'incubo di sgomento gravante sull'Italia in seguito alla battaglia di Pavia, illuminando e determinando la sua estrema attività pratica nel tragico triennio dal 1525 al 1527, sino al sacco di Roma e alla vigilia della sua morte. Durante il quale triennio, pareva quasi di risentire l'eco del motivo ispiratore del Principe, nella proposta, che il Machiavelli, in uno dei momenti più angosciosi della crisi nazionale, avanzava, per mezzo del Guicciardini,' a papa Clemente, e che il pusillanime papa lasciava cadere, di sospingere Giovanni dalle Bande Nere — un altro rampollo dei Medici, e questo, almeno, meno indegno della illusione machiavellica — di cui « pare che fra gli Italiani non ci sia capo, a cui li soldati vadano più volentieri dietro e di chi gli Spagnuoli più dubitino o stimino più », a t rizzare una bandiera di ventura » e raccogliere un esercito di Italiani capaci dì tener testa agli stranieri incalzanti. Il Machiavelli si era, dunque, ingannato, e sul conto della Repubblica, e sul conto dei Medici ; perchè nè quella nè questi eran quali Egli si era illuso-dovessero e potessero essere. Non può fare perciò troppa meraviglia, che chiarito il reciproco inganno, egli si trovasse alla fine al bando e dagli uni e dagli altri: solo col suo sogno, come tocca, sempre, a tutti i profeti di una realtà, che è troppo alta per la. miseria dell'età presente, ma di cui essi maturano, con la veggenza della propria fede, l'avvento per l'avvenire. Il sacco di Roma e il bando dalla sua città riscossa a repubblica segnavano, per Nicolò Machiavelli, il fallimento della sua duplice illusione di italiano e di fiorentino. Era ora, perciò che egli morisse, perchè nè nell'Italia ormai avviata al servaggio, nè in Firenze, invano disponentesi a resistergli, c'era più posto per lui e per l'opera sua. Ma quella sua duplice illusione di fronte alla realtà immediata era insieme una presa di possesso della realtà futura: era la malleveria eroica, che quell'Italiano, unico fra gli Italiani, che si disponevano a porre l'Italia ai piedi di Carlo V, e i Fiorentini, che si preparavano a combatterlo in nome della sola Firenze, dava del diritto di tutti gli Italianidalle Alpi ai tre mari, alla indipendenza e alla unità, alle generazioni degli Italiani venturi. Perchè quello che poi, dagli Italiani, si fece, in tempi più prosperi e fausti, per dare indipendenza ed unità alla Patria, non si sarebbe fatto, se quell'Italiano non avesse, da solo, creduto e voluto per tutti, in tempi infausti ed avversiOnd'è giusto che gli Italiani di oggi, gli Italiani di Vittorio Veneto e della Marcia su Roma, gli Italiandi questa Italia unitaria, quale manon fu, prima d'ora, sin dai giorni di Augusto, celebrino in Nicolò Machiavelli, morto, quattro secoli or sono, nell'anno più infausto della storia d'Italia, pochi giorni dopo isacco di Roma, morto, nella sua Firenze, appena rinata a libertà, per resistere ai violatori di Roma, della disperazione di non esser chiamato a dar l'opera sua e la sua fede a servire, non la sola Firenze, ma l'Italianell'estrema battaglia contro lo straniero, uno dei massimi confessori e mallevadori del loro diritto, e quindi del loro dovere, di vivere, anche a costo di morire, liberi, nella Patria una. FRANCESCO ERCOLE.