La voce dell'uomo della Ruhr nel silenzio dell'uomo di Locarno

La voce dell'uomo della Ruhr nel silenzio dell'uomo di Locarno La voce dell'uomo della Ruhr nel silenzio dell'uomo di Locarno Parigi, 20, notte. Il discorso pronunziato da Poincaré a Luneville suscita commenti diversi. L'interpretazione più anodina che ne viene data è che il ritorno in scena — davanti ad un monumento ai caduti — dell'uomo della Ruhr sia stato concertato di amore e d'accordo tra il Presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri nella visita che il primo fece al secondo due giorni fa dopo la chiusura ginevrina. Ma già da un pezzo gli amici di Briand facevano circolare la voce che il capo del Quai d'Orsay avesse perduto parecchie illusioni sul conto della politica di Locarno, sentendosi imbottigliato, e accarezzasse il proposito di reagire. A tale stregua l'intervento di Poincaré, in un momento in cui il ministro degli Esteri è costretto dalla nota indisposizione ad astenersi dal disbrigo degli affari, potrebbe prendere il senso di un avvertimento dato a Stresemann dallo stesso Briand, e traducibile nelle parole: «Ecco il linguaggio che d'ora innanzi Parigi terrà alla Germania se la sua politica non conciliante mi obbligasse a ritirarmi ». Il Presidente del Consiglio avrebbe cioè servito da spaventapasseri per mettere in fuga e tenere in rispetto i nazionalisti tedeschi. L'esperienza locarnfsta Ma questa non è, ripetiamo, se non una versione anodina, fatta apposta per mortificare la fantasia dei curiosi. Nella realtà, Briand non diede la settimana scorsa a Ginevra l'impressione di un uomo che ritenga la politica di Locarno esaurita e condannata. Secondo taluni informatori egli avrebbe tra l'altro lasciato intendere di essere disposto a considerare chiusa la vertenza delle fortezze orientali; ed a contentarsi al riguardo, per non mettere Stresemann nell'imbarazzo, di una dichiarazione formale del Reich: ora, non sarebbe questa la condotta di un uomo il quale non tenesse soprattutto alla salvezza ed alla continuazione della politica di Locarno. Più semplice, se non più comoda, è l'ipotesi secondo cui Raimondo Poincaré avrebbe parlato a Luneville molli proprio. Sennonché, ammettere tale ipotesi equivale a supporre che i due uomini siano in dissenso aperto sulla impostazione fondamentale della politica estera della Francia, ed è ciò verosimile? Dentro certi limiti, crediamo di non tradire un se greto rispondendo affermativamente Poincaré ha lasciato per molti mesi che Briand si occupasse da solo e quasi senza controllo del Consiglio dei ministri della delicata materia dei rapporti franco-tedeschi, e ciò per tre ragioni : prima di tutto, per provare al collega la propria gratitudine per avere accettato in un momento difficile di entrare in un Ga binetto non presieduto da lui; in secondo luogo, perchè l'opera di riassestamento delle finanze nazionali lo accaparrava totalmente; in terzo luogo, per un sincero proposito di la sciare che l'esperienza locarnista fa cesse il proprio corso, e dimostrasse quello di cui era capace. Oggi, di queste tre ragioni non ne sussiste più nemmeno una. Il debito di gratitudine è stato pagato; il riassestamento finanziario è cosa fatta, o per lo meno molto bene avviata; l'esperienza locarnista si dimostrerebbe fallace. Nulla di più naturale quindi che Poincaré torni a cacciare il naso anche negli affari del suo antico Dicastero. Un commento dei Débats I commenti di certi giornali sono, per illustrare questo nuovo stato di cose, sintomatici. Il Journal des Débats scrive: « L'opinione francese, generosa e pacifica, prende volontieri i propri desideri per delle realtà. Malgrado l'esperienza degli ultimi anni, essa ha illusioni facili. 11 Presidente del Consiglio fa il suo dovere di capo del Governo lluminandola e dandole tutti gli elementi propri per formarsi un giudizio. Vi è da noi tutto un partito politico per il quale il pacifismo è un monopolio, che serve come mezzo elettorale. Quel partito ragiona come se esso soltanto amasse la pace, ciò che non è se non una audace affermazio ne. Ma agisce come se fosse il solo capace di assicurarla, e ciò costituisce un vero pericolo. Esso crede che le sue parole, le sue compromissioni e le sue concessioni bastino a tutto; non ha memoria, nè facoltà di previsione. E' esso infati che nell'estate del 19H pretendeva che i suoi avversari esagerassero il pericolo straniero. E' bene che degli avvertimenti venuti dall'alto proteggano Il pubblico contro le correnti troppo ottimiste, che rischierebbero di creare risvegli penosi. A varie riprese il presidente Doumergue ha pronunciato, a tale riguardo le più savie pa¬ L ¬ role. I nostri amici inglesi, che coni tanta imprudenza hanno lavorato per il rapido risorgimento della Germania, cominciano da parte loro ad accorgersi che il ritorno di questa sulla scena' non semplifica gli affari dell'Europa, turbati dalla minaccia sovietisto. E' necessario che anche l'opinione pubblica francese capisca che non basta desiderare i riavvicinamenti perchè questi si compiano e che l'evoluzione morale della Germania sarà lenta. In attesa che questa evoluzione si operi, conviene vigilare, e conviene soprattutto che il Parlamento, malgrado le pressioni disorganizzatrici di tutto quello che è internazionale e socialisteggiante, permetta al Governo di fare la politica che si impone ». Un canto del cigno? Sennonché, mentre 'è facile rappresentarsi l'ordine delle considerazioni che hanno spinto Poincaré, all'indomani del nuovo insuccesso ginevrino, a pronunziare il discorso di Luneville, meno facile è spiegarsi la ragioni che possono avere spinto Briand ad accettare, come dobbiamo necessariamente presumere, che tale discorso venisse pronunziato. Qui entriamo in un campo di congetture che i pettegolezzi della politica interna rendono malamente penetrabili allo scandaglio. La versione dei maligni è che Briand abbia lasciato parlare Poincaré ùnicamente per spaventare la Camera dell'll maggio 1924 e aprirle gli occhi sul pericolo di affrontare le elezioni sotto l'egida di un uomo che è, sostanzialmente, sempre ouello della Ruhr. Poincaré è venuto facendosi, in questo anno d* Governo, una verginità da repubblicano di sinistra la quale disturba gravemente i piani di quanti — in prima linea — aspirano a succedergli. Attaccare un Capo di Governo che ha salvato il paese dalla catastrofe finanziaria e che fa l'occhiolino ai radicali è difficile, se non impossibile. Ma, quando questo Capo di Governo tiene un linguaggio che riporta indietro il paese di tre anni e che rimette in forse il ■riavvicinamento franco-tedesco, dargli addosso non ridiventa esso un dovere sacro? I fogli di .ginistra, che non hanno la testa in un sacco, intonano già il ritornello di un parallelo PoincaréBriand, che appare altamente sintomatico. Scrive il Frossard nel Soir: « Ahimè I la memoria di Poincaré, implacabile, non registra che il ricordo degli errori e delle colpe degli altri. Egli dimentica volentieri i prowri. che sono pesanti e che hanno gravemente minacciato in certi momenti la pace. Noi non vogliamo risvegliare delle vecchie controversie; ma. abbiamo tuttavia il diritto di ricordare che la politica di Poincaré ci ha quasi isolati nel mondo. E' stato necessario l'il maggio, la vittoria della sinistra, l'arrivo al potere di Herriot, le famose conversazioni di Londra perchè la Francia riprendesse « il suo vero volto ». Aristide Briand ha rimesso sul telaio l'opera di pace che, all'indomani di Cannes, Poincaré e Millerand avevano brutalmente interrotta. Artefice essenziale di quel patto di Locarno, che rimarrà l'onore della sua vita, il ministro degli Esteri si è impegnato, con un ardire che non esclude né la chiaroveggenza, nè la fermezza, nè la prudenza, sulla strada che conduce alla riconciliazione dei popoli e, in fin del conti, alla pace organizzata e stabile. Egli ha già incontrato molti ostacoli. Fedele al suo metodo abituale, non li affronta sempre direttamente, ma sa quello che vuole e va dove vuole andare. Grazie a lui, i malintesi si sono dissipati, la' collera calmata, una dètenle internazionale è avvenuta e i rapporti francotedeschi sono diventati migliori, più cordiali e anche più fiduciosi. Risultato apprezzabile 1 Noi ne noteremmo altri, se nulla venisse ad ostacolare la politica di saggezza del Qual d'Orsay. Ed è questo il momento che Poincaré sceglie per abbandonarsi alle sue ordinarie recriminazioni contro la Germania. Ebbene, a rischio di essere accusati di fare il giuoco del nemico, noi constatiamo che la politica di Poincaré contraddice quella di Briand. E' un'offensiva quella che comincia? Noi vorremmo saperlo, perchè la sorte della pace è in causa ». Accusare l'avversario di aggressione è elementare tattica di guerra. Ma, senza voler prestare ai casellisti un machiavellismo che forse li supera, nè a Poincaré una ingenuità che gli è probabilmente inferiore, potremo ritenere di questa'interpretazione maliziosa del discorso di Luneville il dato seguente: che gli avversari del Presidente del Consiglio hanno da oggi una nuova corda al loro arco e che le congiure contro il Ministero nazionale raddoppieranno di lena. Briand, nella sua camera dove non penetrano se non pochi fidi, si chiede, secondo i maligni di cui sopra, se non ci sia modo di fare del discorso di Luneville un canto del cigno. e, e»