Il falegname che uccise il custode perchè lo aveva battuto

Il falegname che uccise il custode perchè lo aveva battuto Il falegname che uccise il custode perchè lo aveva battuto [Corte d'Assise di Torino) E' stato ripreso ieri il processo contro Luigi Dovis, il falegname ventiquattrenne che il 1S agosto dell'altro anno uccise 11 custode degli Istituti universitari del Valentino Nerlno Boni. Come i lettori ricorderanno, questo processo era già stato portato all'udienza nel febbraio scorso, ma in seguito ai molti elementi emersi, tali da far sospettare una natura psicopatica nell'imputato, era stato rinviato per gli accertamenti medico-legali. Le causali L'esame psichiatrico del Dovls — richiesto dalla difesa ed ordinato dal Presidente — venne compiuto in questo frattempo dai proff. Carrara e Tovo, i quali attraverso l'esame e la valutazione dei dati raccolti e dei rilievi compiuti, hanno concluso che l'alterazione psicopatica dell'imputato è tale da diminuirne grandemente la responsabilità. 11 fatto è noto. La mattina del 18 agosto, mentre il Boni passava In bicicletta per corso Bramante, venne raggiunto e colpito dal Dovls che lo seguiva pure in bicicletta. Sparati 1 colpi, questi si allontanò, ma trovata la strada sbarrata da alcuni operai, ritornò indietro. 11 suo tentativo dt fuga però fu impedito, che poco oltre egli veniva raggiunto dal tranviere Arato ed arrestato. Al fermo il Dovis non oppose resistenza alcuna ed all'Arato che aveva fatto la mossa di dargli un pugno per abbatterlo più facilmente, obbietta con calma : < Non battermi; quando saprai 11 motivo mi darai ragione ». E quando poi l'Arato cercò di prendergli la rivoltella che teneva in tasca, il Dovis, quasi con dolcezza, lo avvertì di fare attenzione perchè il caricatore conteneva ancora un proiettile. Singolare appare questo delitto, di cui il Dovis si rese pienamente confesso dandone anche una esplicita spiegazione. Egli era occupato dal no vembre 1925 come piallatore, presso la segheria Boffa in via Nizza, dove si recavano per far eseguire certi lavori preliminari molti clienti e fra questi 11 Boni, il quale nelle ore di libertà si dedicava alla lavorazione dei mobili. Ma il Boni — narrò l'imputato pur senza saperne precisare i motivi — lo trattava con prepotenza, minacciando di schiaffeggiarlo e di percuoterlo al minimo pretesto. Di più egli si lamentava anche a torto, con i proprietari della segheria, del modo con cui il Dovis eseguiva 1 lavori. Questi fatti determinarono nel Dovis un rancore che si venne via via accumulando. Il H agosto il Boni si recò alla segheria verso le 10 per far piallare certi listelli di legno usato, ma il modo con cui il Dovis disimpegno il lavoro non piacque come di consueto al Boni il quale lo rimproverò aspramente in presenza del padrone chiamandolo « bastardo, imbecille » e sferrandogli un pugno alla tempia sinistra che lo slordi e lo fece cadere per terra. Il Boni allora gli fu addosso e 10 percosse ripetutamente fin quando i presenti non intervennero a liberarlo. « E' una cosa che andava fatta > Questo trattamento usatogli dal Boni, cosi forte e robusto rispetto a lui (il Dovis fisicamente è disgraziato: piccolo, macilento e sciancato) determinò in lui il proposito di punire il suo persecutore. Cosi, armatosi di una rivoltella che teneva in casa da circa un anno, si diede senz'altro a ricercare il Boni in quella stessa serata di sabato, 14 agosto, e per tutta la giornata della domenica senza riuscire a rintracciarlo. Anche il lunedi ed 11 martedì egli lo ricercò invano cosicché dovette rinviare l'esecuzione del suo proposito di vendetta al seguente mercoledì 18 agosto, poiché in quel giorno sapeva di trovare certamente il Boni, riprendendosi il lavoro dopo le fèrie del ferragosto. La mattina del 18, in bicicletta, sprecò a ricercarlo in via Donizetti dovergli era stato detto che abitava e non appena lo vide uscire di casa, lo.seguì fino a che, giunto in corso Bramante all'altezza di via Muratóri, gli sparò alle spalle a breve distanza. 11 Dovls non seppe indicare il numero, elei colpi sparati: dichiarò però di non' avere avuto proprio il proposito diuccidere il Boni, ma soltanto di dargli una lezione e dì vendicarsi degli affronti patiti. Tuttavia quando fu.fermato pochi momenti dopo il delitto, accennando alla vittima, egli avova esclamato: « E' un uomo che doveva essere levato dal mondo >. E nell'ufficio del vigili urbani dove venne tradotto subito dopo l'arresto aveva ripetuto: « E' una cosa che andava fatta >, Ma più che coi funzionari e coi magistrati il Dovis si è confidato coi periti quando questi l'hanno ripetutamente interrogato. Ha narrato la sua vita grama e triste ed ha esposto tutte le sue sofferenze. Il suo mestiere di riquadratore forniva spunti e frequenti occasioni a unti per ironici riferimenti ad allusioni schermltrlcl alla sua deformità fisica : era chiamato « Bagonghi » col nome del nanerottolo a tutti noto, ma malgrado il dolore e la rabbia che provara per questi motteggi non si rivoltò mal, sia per la sua debolezza fisica, sia per la Innata timidezza che gli impediva quasi di parlare tanto era l'avvilimento che gli derivava . La fissazione di uooidersi Interrogato dai periti sul fatto, il Dovis non ricordò neppure il nome della sua vittima: lo descrive come un giovane alto che andava dal suo padrone « a far lavorare il legno ». Non era suo amico e non lo conosceva quasi neppure; Ma ogni volta che andava all'officina lo maltrattava e lo insultava, tanto che negli ultimi giorni dovette persino essere allontanato. Ma ritornò: « e allora — racconta l'imputato — lo ho perduto la testa, non so proprio quello che ho fatto ». 11 Dovls ha aggiunto di non ricordarsi più di quel che precisamente ha fatto contro il Boni, ma ha negato di averlo proprio voluto uccidere e di averlo rincorso a questo scopo: voleva piuttosto far vedere che era anch'egli • capace di reagire », a fax vedere che anch'egli « era un uomo ». La rivoltella l'aveva comperata un anno prima, ma per sè, per uccidersi. L'aveva .scelta piccola apposta, per poterla adoperare contro di sè; una rivoltella grossa gli avrebbe fatto paura... Aveva infatti quella che egli stesso riconobbe • una fissazione di uccidersi » da molto tempo. Era stanco di vivere sempre allo stesso modo. Ma di quel che ha fatto si è mostrato addolorato e meravigliato: « Diranno — ha soggiunto — voleva morir lui e pei va ad ammazzare un altro I». E si è disperato di ciò, dichiarando che avrebbe voluto essere lui al posto del morto. Il Dovis ha tentato più volte di uccidersi, anche prima del delitto. Circa un anno fa ha tentato di togliersi la vita recidendosi i polsi e delle incisioni gli resta ancora la cicatrice. Quasi nella stessa epoca ha tentato un'altra volta di uccidersi accendendo un braciere di carbone in una stanza che aveva affittato a bella posta a Pozzo Strada. Ma non avendo forse turato bene le aperture, dopo essersi buttato sul letto per attendere la morte e dopo essersi addormentato, si risvegliò che il carbone era consumato e spento. Dopo il delitto il rimorso per l'azione commessa si è associato sempre in lui alla tendenza per la propria distruzione : l tentativi di suicidio da lui attuati In carcere sono parecchi e sempre gli agenti giunsero in tempo a salvarlo. Ancora quando ricevette l'ultima citazione per il processo, si preparò un nuovo laccio con stracci di tela che nascose poi sotto il letto. Ma l'intervento del custòdi valse a impedirgli di adoperarlo. I periti riferiscono che sulla congenita debolezza mentale del Dovls si è da tempo inserito un atteggiamento psichico accentuatamente depressivo, melanconico che ha già avuto evidenti manifestazioni esteriori risalenti ad epoca precedente all'atto criminoso. E gli abusi alcoolici da lui ammessi (il Dovis beveva per diventare più contento e più allegro) hanno avuto su di lui un'Influenza progressivamente deleteria, cosicché una malinconia profonda, per quanto suscitata da una causa in apparenza futile si è andata man mano aggravando in una vera forma psicasterica. Psicosi melanoonica-depretsiva A determinare il Dovis all'atto criminoso è intervenuto e concorso — secondo i periti — un elemento di natura squisitamente morbosa, rappresentato dalla sua psicosi melanconicadepressiva. La sua imputabilità deve quindi essere adeguatamente ridotta. lei all'udienza il Dovis è apparso turbato, avvilito, accasciato, interrogato dal Presidente non ha voluto rispondere e quando fu fatto uscire dalla gabbia, perchè si potesse megli* sentirlo, non ha balbettato che poche incomprensibili parole, ostinandosi a non voler riferire nulla sul fatto. Dopo l'escussione della vedova dell'ucciso, sono sfilati i testi, numerosissimi. I precedenti del fatto riferiti in istruttoria dall'imputato sono stati sostanzialmente confermati, I fratelli Pasquale ed Ettore Boffa, proprietari della segheria ove lavorava il Dovis, hanno dipinto costui come un misantropo ed hanno aggiunto che eseguiva il suo lavoro meccanicamente, ma tuttavia con un certo scrupolo ed una certa diligenza. I testi furono spettatori alla scenata scoppiata tra il Dovis e 11 Boni 11 14 agosto e riferiscono 1 termini di quell'episodio. « Il Boni — concludono — era dieci volte più ione di lui! ». Esaurite le testimonianze, ha preso la parola l'avv. P. A. Omodel, patrono di Parte Civile, per la famiglia della vittima. Stamani seguiranno le arringhe dei difensori avv. Degasso e avv. Villabruna e quindi il verdetto. dlPllcemfdfiv

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