Come nacque il capolavoro

Come nacque il capolavoro Come nacque il capolavoro Tre testimonianze concordano nel riferire come venne al Manzoni la prima idea dei Promessi Sposi: quella del professore Antonio Buccellati, in un libro scritto e cominciato a stampare vivente il Manzoni, ma pubblicato qualche mese dopo la morte di lui, e su cui principalmente si londò poi il Carcano, trattando appunto dell'argomento; quella del marchese napoletano Alfonso Della Valle di Casanova, nota specialmente per il riferimento del Tommaseo, in una lettera a Carlo Morbio; e quella infine del figliastro del Manzoni, Stefano Stampa. cE' stata quella grida.»» Delle tre testimonianze, la più autorevole e precisa è certo quest'ultima, in quanto si riporta a una esplicita dichiarazione dello stesso Manzoni. Racconta lo Stampa: « ...Un giorno ch'io mi trovava nel suo studio-a terreno» — lo siudio del patrigno, quello che si vede tuttora, quale egli lo lasciò, nella sua casa a Milano, all'angolo di piazza Belgioioso e via del Morone — « e ch'egli in piedi al suo scrittoio sfogliava i suoi manoscritti, venne fuori a dirmi (e sono dolente di non ricordarmi l'a proposito) : « — Sai cos'è stato che mi diede l'idea di fare i Promessi Sposi? E' stata quella grida, che mi venne sotto gli occhi per combinazione, e che faccio leggere per l'appunto dal dottor Azzecca-garbugll a Renzo, dove si trovano, fra le altre, quelle penali contro chi minaccia un parroco perchè non faccia un matrimonio, eccetera. « E pensai, questo sarebbe (un matrimonio contrastato) un buon soggetto da farne un romanzo, e per tinaie grandioso la peste che aggiusta ogni cosat... »., L'altre testimonianze in merito valgono a illuminare il fatto, circostanziandolo ne' particolari. La grida, divenuta indi, per virtù sua, famosa, il Manzoni aveva trovata in un trattato, che, dal solo titolo, si escluderebbe potesse richiamare l'attenzione d'un letterato, costituirò argomento di lettura per un poeta: se non si tenga conto che, nel caso specillco, il letterato era anche un profondo cultore di storia, il poeta era vago di varia e curiosa dottrina. Il libro dunque s'intitolava dal Commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto - Opera storico-popolare di Melchiorre Gioia, tstorlografo della Repubblica Cisalpina,- e il Manzoni so l'era portato da Milano, con altri pochi, tra cui le Historlae patriae di Giuseppe Ripamonti, ritirandosi, insieme con la famiglia; nella sua villa di Brusugllo. Era la Primavera del 1821. Il Grossi, autore già invidiato dell'Ildeganda, e che attendeva allora al compimento di quella sua « diavoleria... di crociate e di lombardi », l'aveva accompagnato nell'eremitaggio campestre, dov'egli s'era rifugiato, afflitto per 1 rovesci politici di quell'anno, la reazione infuriando, suoi amici incarcerati e processati, lui stesso sospettato e spiato da abbietti delatori. E leggendo, appunto, il Gioja, fermò la sua attenzione su la detta grida, ivi riferita; e, secondo la sua stessa confessione, concepì la prima, prima idea del romanzo. Indi intraprese uno studio sistematico diligente minuto delle vicende del tempo, da cui datava la grida, e della peste del 1630-'31. che avrebbe dovuto aggiustare ogni cosa. E leggendo all'uopo il Ripamonti, la tela originaria gli s'ampliò improvvisamente, non pur con la guerra del Monferrato, le questioni annonarie del Ducato Milanese ad essa connesse, i moti di Milano, il passaggio delle soldatesche alemanne, e, riguardo alla peste, il pregiudizio degli untori, e in contrapposto la pietà dei padri francescani, che s'erano volontariamente assunti la cura degli infermi al Lazzaretto — onde poi, rappresentativo, fra Cristoforo; — ma con i casi di suor Virginia Maria de Leyva — la monaca di Monza, — e il cardinal Federigo Borromeo, e la conversione di Francesco Bernardino Visconti — l'Innominato. A questo proposito 11 professor Buccellati, nel libro cui ho accennato, ricorda : ■ «... — Oh che tempi I — 'diceva Manzoni a Grossi, segnando specialmente la pagine del Ripamonti che alludono all'innominato: — sarebbe bene porre sott'occhio in modo evidente questa storia... ». « 24 Aprile 1821 » Di qui poi, 'da questa notizia del Buccellati, interpretata troppo ampiamente, e dal rimaneggiamento che ne diede il Carcano. nella sua Vita di Alessandro Manzoni, originò la leggenda, accolta, con riserve, dal De Gubernatis e dall'Albertazzi, e decisamente dal Cestaro: che, nell'abbozzo primltl- j-—<■ </*«**» fe^w. as wm*r Fax-stalle della prima pagina autografa dei ■ Promessi Sposi > vo del romanzo, il soggetto principale non fosse il contrastalo matrimonio di Renzo e Lucia, ma l'innominato e la sua conversione. Ora, dopo l'informazione dello Stampa, ossia la confessione del Manzoni stesso, la verità è indubbia. E similmente, per parecchio tempo, fu questione intorno alla data ili cut il Manzoni cominciò a lavorare al romanzo: mentre, a esempio, per. il Buccellati era il 1831, dopo gli arresti dei carbonari a Milano, per il Carcano era il '23, quando già il uonfalonieri a il Pellico erano incatenati nelle celle dello Spielberg. Ma anche a questo proposito ogni dubbio è abolito: nel manoscritto manzoniano — visibile nella Sala Manzoniana della Biblioteca, Nazionale di Milano — in capo alla prima pagina è la data: ■ 24 aprile 1821 ». Fu dunque, precisamente, addi ventiquattro di aprile del '21 — era proprio allora fallita la rivoluzione in Piemonte — che il Manzoni cominciò a scrivere il suo romanzo: «Gap. I. « Il Curato di », (Nella prima redazione dell'opera, ch'era divisa in tomi, i capitoli aveva no titolo, tino al capitolo secondo del tomo secondo, che corrisponde al capitolo nono del romanzo, come fu dato alle stampe). « Quel ramo del lago di Como... ». Tre mesi dopo che lavorava al romanzo, il Manzoni se ne distraeva brevemente, per un'improvvisazione poetica: quella cho doveva dargli una popolarità, quale ancora non gli aveva no acquistato tutte insieme le sue precedenti opere, gl'Inni sacri, le Osservazioni sulla Morale cattolica, Il Conte di Carmagnola: improvvisava l'ode Il cinque Maggio. Ma anche un altro lavoro poetico distraeva il Manzoni, per breve tempo, dal romanzo: quel A/orzo 18Ì1, il prorompente inno di libertà, dedicato alla memoria del poeta-soldato Teodo ro Koerner, caduto gloriosamente, a ventitré anni, alla battaglia di Lipsia: l'inno in cui il poeta riversò la piena delle doglie cruente e delle incontenibili speranze, consacrate appunto dalla rivoluzione del Ventuno : — «... al popoli data inaugurante... », doveva poi celebrarla Giovanni Bovio, nella superba lapide, cti'è murata nel cortile deininiversità di Torino, a ricordare i caduti di quell'anno. Ma questa poesia, come appare ovvio, non fu nemmeno presentata alla censura — che sarebbe stato, senza discussione, immediatamente, il carcere per il temerario poeta; — e rimase ben chiusa, per lunghi anni, in fondo a un cassetto. Da quelle divagazioni poetiche in fuori, e dal tempo dedicato alla revisione dell'Adelchi e al compimento del discorso annesso, sur alcuni punti della Storia Longobarda in Italia, il lavoro del romanzo procedeva incessante e serrato. E ne abbiamo successivi accenni e diffuse notizie nell'epistolario manzoniano. <Je rais enfonce dans mon romanci E* del 3 di novembre dello stesso ti la famosa lettera a Claudio Fauriel, sul romanzo storico: « ...Povr vous tndiquer orievement mon idée principale sur les romani historiqv.es... )e vous dirai que }e les concois cemme une représentation d'un état donne de la societé par le moyen de falts et de caractères si scmblables à la realità, qu'on puisse les croire une histolre veritable qu'on viendrait de decouvrir... ». Poi ramno seguente, nel Maggio, sempre scrivendo al Fauriel: « ... Sachez dove que je suls enfoncé dans mon roman, doni le sujet est piaci en Lombardie, et l'epoque de 1623 à 1631. Les memolres qui nous restent de eette epoque presentent et toni fuppotei une tiluatlon de. la *ft- iélé fort extraordinalre. Le gouvernement le plus arbilraire, combine avec anarchie féodale et l'anarchie popualr.e, une législation étonnante parceu'elle presente et parcequ'elle fait deirier, ou qu'elle raconle, une ignoràne profonde, feroce et prétentieuse — es classes ayant des intérèts et des maximes oppostes: quelques anedocls eti connues, mais consignèes dans des crils tris dignes de foi, et'qui monrent un grand développement de tout ela; enfln une peste qui H donnée de exercice à la scélératesse la plus conommée et la plus dèhonlée, aux priugés les plus absurdes, et aux vertus ei plus touchantes, etc. eie, voilà des matériaux qui ne feront peut-ètre que déciler la malhabilUè de ceiui qui va es mettre en oeuvre... j. Quant à la marche des ivinements et à l'intrigue, je crols qùe le meilleur moyen de ne pas taire comme es autrei. est de s'attacher à consideer dans la réallli la maniire d'agir des hommes, et de la considérer dans e qu'elle a d'opposi a l'isprit romanesque... ». 4 anni di Urna Nello stesso anno da cui è datata questa lettera, il '22, sei mesi dopo, precisamente addi 28 di Novembre, il Manzoni segnava la data nel manocritto dell'opera, in testa al capitolo primo del terzo tomo, che corrisponde al capitolo ventitreesimo dell'edizione. Questa data —- una delle quattro che i trovano nel manoscritto — è significativa: il Manzoni ha l'impressione d'avere superato la metà dell'operai e annota quindi il giorno. La data successiva si" trova in fine del capitolo nono del terzo tomo — corrispondente al capitolo ventisettesimo dell'edizio ne : — «. U Marzo 1823 » : Poi, l'ultima data è dell'opera compiuta, sei mesi dopo: «17 Settembre 1,823». L'opera compiuta?... 11. Manzoni doveva avorare ancora, soltanto per la prima edizione del romanzo — quella di cui oggi ricorre il centenario — circa altri quattro anni, fino al Giugno del '27. Il romanzo aveva avuto prima il tiolo di Fermo e Lucia: che Renzo Tra. maglino si chiamava allora Renzo Spolino; come Agnese e Lucia erano Zarella, invece che Mondella, e Perpetua era Vittoria, e il dottor Azzagarbugli era, a vicenda, dottor Pètola e dottor Duplica, e padre Cristooro era padre Galdino, mentre fra Caldino si chiamava fra Canziano. Della cura appassionata che metteva l Manzoni nella ricerca dei nomi de' suol personaggi, oltre a questi successivi mutamenti, basterebbe a far fede questo passo d'una lettera al Grossi ... Quanto al soprannome del bravo bergamasco, sappi che non ti lascio requiare, fin che non ne hai trovato uno a mio talento: voglio una parola indicante qualche qualità fisica notabile, che non sia però parola ingiuriosa. Io ho dovuto inventarne due, e sono lo Sfregiato e il Tiradritto... » Il nome scelto fu poi quello del Grignapoco, che troviamo al capitolo otavo, nella spedizione - notturna dei bravi in casa d'Agnese e di Lucia: « ...il Grignapoco, ch'era un tiravo del contado di Bergamo, il quale solo doveva minacciare, acchetare, comandare, essere in somma il dicitore, affinchè il suo linguaggio potesse far credere ad Agnese Che la spedizione veniva da quella parte tPapà sempre a quel sno romanico...] Da Fermo e Lucia, il titolo del romanzo divenne poi Gli sposi promessi e con questo, verso la fine del 182-ì, fu cominciata la stampa del libro presso la tipografia Ferrarlo, di Milano. Erano anzi già da tempo stampati il primo fascicolo, col frontispizio e la copertina, quando l'autore risolvette ancora una volta di mutare titolo, eleggendo quello che restò poi definitivo: I promessi sposi. E si dovette, in conseguenza, ristampare e copertina e frontispizio, e perciò, necessariamente, tutto il primo fascicolo. Per molti anni poi, la casa del Manzoni fu piena de' frontispizi e delle cooertine annullate: come ricorda Gib -imi Sforza, cui lo raccontava la cugina Vittoria Manzoni-Giorgini, figlia d'Ales (spppolcqsblrnllegc2ssGddnsac«mldvtadtstlpdcpvDnnltpcdmpndbcomrlnccacueulttcmcc sandro, che, sebbene allora bambina — era nata nel 1822 — aveva ricevuto tale impressiona di tutta quella carta stampata, che non se n'era più scordata. Ma quello non fu nè il primo, nè l'ultimo nè il minore guaio, che ritardasse il compimento dell'edizione. Il Manzoni, in questo tempo, veniva rifondendo tutto intero il libro, sottoponendolo a quella lenta, meticolosa, laboriosissima opera di revisione, che acquistò addirittura i caratteri del rifacimento, e di cui oggi abbianjo la documentazione esatta nella raccolta dei Urani inediti dei Promessi Sposi, curata dallo Sforza, e nella pubblicazione integra del primo autografo manzoniano, curata da Giuseppe Le- a; col titolo primitivo de Gli sposi romessi. Appare, attraverso queste duo ubblicazioni, per il confronto, che si uò quindi stabilire, tra la redazione riginaria del romanzo e il testo deledizione del '27 — prirra ancora cioè he l'autore, come poi fece, risciacuasse suoi panni in Amo, e da queo salutare lavaggio traesse, di puro ucato toscano, il testo definitivo dela grande ristampa del 1840; — appa dunque il travaglio, circa quadrienale, sostenuto dal Manzoni prima di cenziare l'opera alle stampe. Capito per capitolo, pagina per pagina, gli rimaneggiava, riscriveva, corregeva, emendava.- La stampa era cominata, come ho detto, verso la fine del 4: — dopo che il manoscritto era già ato confidato dall'autore, in visione, uccessivamente a varie persone: il rossi, prima di tutti; poi il vescovo i Pavia, monsignor Tosi, che si può re il direttore spirituale del Manzoi; il Fauriel; e più tardi Ermes Viconti, il Giudici, Gaetano Cattaneo, e tri pochi, che costituirono la cerhia privilegiala del primi veramente venticinque lettori », e forse nemen tanti. E nel Maggio del '25, alabate Degola, che appunto gli chieeva notizia del libro, il Manzoni scrieva: « Ho dato al torchio il secondo dotarne, e fra tre o quattro mesi spero i aver fatto lo stesso del terzo e ulmo... ». Macché I Passò ancora tutto il ts, enza che l'opera paresse avviata a rmine. In casa, 1 familiari ne ceavano, oramai, di quel lavoro, che areva andare più a rilento della tela i Penelope, Papà — diceva la figlia Giulia a hi glie ne chiedeva* notizia, — semre a quel suo romanzo, di cui non si edrà mai la fine... cRespice flnem» Il 20 di febbraio del "27, la contessa iodata Saluzzo Boero 6crive, da Torio, al Manzoni, a Milaao-. « Non sarebbe meritevole di perdoo, l'ardir mio, Chiar. Signore, se Ela non mi avesse altre, volte dimostraa un'amicizia da me sommamente aprezzata, perchè sento nel profondo del uore le bellezze delle impareggiabili i Lei poesie; Ella ha scritto un romanzo ; è stato pubblicato con le stame in Milano; difficilissiimo è il trovare qui una copia; vivacemente io la esidero: e quanto più cara mi sarebe 6e fosse un dono suo non Le sarà, erto, malegevole l'intenderlo; io dun ue domando a Lei medesima direttamente quest'opera sua... ». E in data 12 di Marzo, il Manzoni isponde alla contessa: ..La filastrocca della quale Ella ha a bontà di richiederne, è bensì staniata in grap parte, ma nulla ne è anor pubblicato, nè sarà che ad opera ompiuta. Del quando, non posso fare lcuna congettura un po' precisa; perhè di quel che manca alla stampa, na parte manca ancora allo scritto; il compimento di questo dipende Ja na 6o!ute incerta e bisbetica, la quae spesso mi fa «Ridare assai lento, e avolta cessare affatto per buon numeo di giorni... Nè anche posso tacere he, siccome l'aspettazione di alcuni mi aveva già posto in gran pensiero, osi in granfiassimo mi pone codesta. h'Ella si degna mosirarmi: che, riuardando al mio lavoro, sento troppo ivamente quanto poco sia meritevole i una sua curiosità; e troppo certamente prevedo quanto questa sia per ssere mal soddisfatta. Ma, ad ogni modo, la prova non sarà terribile che per la vanità; e io confido ch'Ella si ontenterà di dimenticare il libro nooso, senza cacciar per questo l'autore dal posto accordatogli nella sua benevolenza... ». Un mese dopo, 1*11 di Aprile, la fluida Giulia scriveva al suo padrino, l Fauriel, a Parigi: « ...Papa vous dit bien 'des ehoses. il rovante, et me eharge de vouì dire nu'il se croit enfln presqu'arrivé au out de son éternel onvrage. Vous saez pourtant que souvent un chapltre ui emporte des semaines, c'est sa sani toujours mauvalse qui en est la caue; alnsi donc c'est presque fini; mais uand sera-ce tout-à-falt fini?... ». Ma ecco. Analmente, che. In data 11 i Giugno del 1827, n Manzoni può crivere al Fauriel: « Rcspice flnem, cher ami; c'est pow mai une veritable consolation de pen er que disonnali je vous entretiendrai 'autre chote que de celle fastldieuse histoire, dont je suis ennuyi molmime autant que dix lectex.n, moi, ls-ie: paur vous, je vous le laisse a enser. Voiei donc, pour finir d'en arler, let derniert teuilies du dernier volume... ». Cinque giorni dopo — 16 di Giugno el '27 — il libro veniva messo in venita. E sùbito il Manzoni partiva con a famiglia per Firenze. Andava, come eprli stesso ebbe poi a dire, e come o già sopra accennato, a risciacquare uoi panni, in Arno: cioè a riprenere la protri» opera, per rifarla anora, efoiws»■••■<' • 'oscanamente la ingue _ i ; V r.\, torno, pazientemente, \. ■:-a\rion ancora lino ai 40: la Ma no.. go, il più e viscere iamante T d'$lta Tedici anni, -ti il più luni\ Mo, che nel• : cenerà il KShu 3ASS