Il centenario dei "Promessi Sposi"

Il centenario dei "Promessi Sposi" Il centenario dei "Promessi Sposi" 1115 Giugno 1827 Alessandro Manzoni inviò al Monti la prima copia stampata della sua "cantafavola» paopi del tempo Il più grande romanziere del Settecento, a giudizio, non tanto dell'Inghilterra, quanto di tutta l'Europa letterata e specialmente degli ingegni più liberi e moderni, fu Samuele Kichardson, e Dionigi Diderot, buon trombettiere di tutte le novità e le audacie del Settecento, scriveva nel suo Elogio del romanziere inglese (1762): i 0 Richardson, Richardson1! uomo incomparabile ai miei occhi ! Tu sarai in ogni tempo la mia lettura ! Se, premuto da urgenti bisogni, dovessi vendere i miei libri, tu mi rimarresti, là in un piccolo scaffale, accanto a Mose, ad Omerot ad Euripide, a Sofocle ». Or (love son coloro Ohe II mondo alluminar eoa lor Bavero? Salomone, urmansore iponras, Avicenna e 11 loi podere! :>ov'è l'antivedere D'A'rislotil sovrano? chiedeva in una sua Lauda frate Stoppa, che cento anni prima di Francesco Villon scrisse un compianto sulìa caducità della bellezza, della gloria e delle < neiges d'antan ». E chi legge ora Pamela, Clarino Harlowe, Grandìnon, i celebratissimi romanzi del Richardson, a cui la letteratura europea deve di riverbero, e la Nouvelle Hilolsc del Rousseau e / dolori del giovane Werther del Goethe, e il Jacopo E orti». del Foscolo? Chi può resistere con attenzione costante alla lettura di quelle analisi prolissamente sottili, al fluire loquace di quel realismo minuzioso e moraleggiante, che a tanti ingegni fini e colti del Settecento rendeva immagine della serena poesia omerica? Rispondere che quella fu un'aberrazione del gusto, un miraggio del sentimentalismo, e che quegli uomini scambiarono per poesia una certa eloquenza, un certo pateticume morale allora di moda, sarebbe un cavarsi d'impiccio a buon mercato. Quell'arte non è più poesia per noi, ma poesia fu veramente per i lettori del Settecento, poiché ne furono profondamente commossi, e il sentimento diede moto alla fantasia, e gli uomini e le passioni rappresentate in quei romanzi si levarono nella loro immaginazione col forte rilievo e l'inimitabile naturalezza della vita. Ma 1' avviamento sentimentale predominante in una data età storica ha «pesso origine da certe inclinazioni dello spirito umanp lungamente represse o fuorviate, e che, liberate ora da condizioni propizie, si associano a certe antiche illusioni, ridanno vita a indistruttibili speranze, e si protendono verso l'avvenire, preannunciando un' utopistica trasformazione dell'uomo e dell'esistenza. Poi quel l'onda sentimentale urta contro lo dure barriere della realtà e della ne cessità e rifluisce, lasciando gli spiriti disillusi e travolgendo con so quel mondo fantastico che da essa aveva.vita. A cinquanta, a cento an ni di intervallo nulla talvolta ci sembra più remoto da noi, più ripugnante al nostro animo di certe for me del gusto e del sentimento, che esercitarono sullo spirito di altre generazioni una sovrana malìa. Pochi anni prima che il Richardson stam passe il suo primo romanzo, un altro inglese, un giornalista libellista poco letto e meno ancora stimato, pubblicava un libro nel quale, sulla traccia 'dell'avventura veramente toccata ad un marinaio inglese, raccontava i casi e le angoscie e le speranze che poterono agitare l'animo di un naufrago vissuto per lunghi anni solo su di un'isola deserta del Pacifico. Lo .scrittore si chiamava De Foe e il libro: Vita e avventure di Robinson Crosuè (1719-20). La prosa del Do Foe è chiara, ma prolissa talvolta ed arida come quella di un resoconto giudiziario; non v'è nel suo racconto ne passione nè lirismo: non vi è che la storia., pacatamente e minutamente narrata di un uomo di vizi e virtù mediocri che lotta colla natura selvaggia e coll'intimo terrore della propria solitudine, sorretto soltanto dalla volontà e dalle parole 'di conforto di una Bibbia, la cui voce riempie per lui il terribile silenzio mantenendogli vivo nel cuore il sentimento dell'umanità lontana. E quel libro e sempre vivo. I Promessi Sposi sono un romanzo della specie del Robinson, del Gi'BUts, del Don Chisciotte. La profon dita e la lucidità dell' osservazione morale, e la calma, non ignara delle tempeste interiori, del racconto, lo sollevano fuori dell'atmosfera sentimentale del tempo, lo sottraggono alle contingenze del gusto e della mo'da e gli donano la serenità delle creazioni non periture. E' un romanzo storico, e il Manzoni lo ha pensato — come egli stesso ammetteva — perche Gualtiero Scott gli aveva aperto gloriosamente la via; è, inoltre, ope ra di un poeta che aveva_ difeso le teorie romantiche ed in cui i romantici italiani salutavano un maestro; eppure del gusto, delle formo, delenocinli della topica estetica e sentimentale propria del romanticismo nulla troviamo in quel libro, tran ne il rispetto quasi religioso per Te Battezza storica e il fermo proposito 'di dir le cose più umili e le più alte con grande naturalezza. Walter Scott e i suoi imitatori ayevan fatto piacere ad innumerevoli lettori, l'aspet-to pittoresco, bizzarro, lontano, inverosimile della storia; descritto a sazietà castelli e torri e prigioni e pittoresche ruine; armature e giù itacoiori d robe e roboni e fatto ros¬ e a a o a e o a e i o o a d i o . e l n l e o o e l E o i e e o o o o e ; i o o e t -. a e ¬ seggiar mantelli bianchi o purpurei sopra il balenare delle corazze; il Manzoni ò descrittore così discreto che a stento vien fatto di ricordare certo cappello alla sgherra di don Rodrigo o la c famosa carabina » dell'Innominato. I romantici mostrano un grande amore, anzi un'adorazione fanatica, un ebbro fervore dionisiaco per l'inesauribile e multiforme bellezza, della Natura; e perciò la descrivono, in mille modi, instancabilmente; chi cerca qualche descrizione di paesaggio nei Promessi Sposi, deve accontentarsi delle t foglie ancora rosseggiante che fra Cristoforo, incamminato verso la casa di Lucia, vede pendere dai tralci nello squallore novembrino », o di quella luna « pallida e senza raggio » nel campo immenso del cielo € d'un bigio ceruleo » che illumina così modestamente l'alba ^li Renzo . fuggiasco là sulle rive dell'Adda. La poesia romantica che levava in alto le sue insegne nell' Europa sconvolta dalla rivoluzione e dalle guerre napoleoniche, e che portava nel suo fantastico mantello dai colori cangianti — nero a volte come quello d'Amleto, a volte rosso come il manto di Mefistofele — l'appetito enorme di avventure che i recenti casi meravigliosi avevano svegliato in tante anime, col proposito di appagarli, nel reame dell'immaginazione, stava creandosi un suo repertorio melodrammatico di contrasti violenti e di tipi enfatici che dovevano dominare per mezzo secolo nella lirica, nel dramma, nel romanzo. Erano la giovano castellana o la bella perseguitata, eterea, sognante ed angelicata cho sflora appena col piede breve la terra e cerca cogli occhi innocenti il cielo donde è discesa ed a cui sospira ; il giovane eroe, l'innamorato misterioso e fatale, avventuriero, spesso e deliziosamente perverso, come un corsaro del Byron; poi l'oppressore e persecutore implacabile, il malvagio sottile e dannato già nel l'alvo materno, cui è cara la propria perversità e se ne compiace e ne fa, come Jago, la teoria e l'apologia : terzetto melodrammatico, al quale si accompagnava, talvolta, il buffone sentenzioso, il clown che nasconde una morale profonda sotto le divagazioni grottesche o il mostro dal cuore magnanimo sotto apparenze deformi. E questi personaggi dovendo suggerire l'idea che la vita è sogno c apparenza, che il nistero avvolge da ogni parte quella che a noi sembra realtà, che ogni parola è un simbolo ed ogni anima ha in se più enigmi dell'antica Sfinge, parlano col tono solenne che conviene agli ini ziati, sentenziano o declamano come chi siedo sul tripode o esce dal Labirinto. Se ci volgiamo ad ascoltare le voci che parlano nel- romanzo del Manzoni, non udiamo che parole piane e comuni, non vediamo che gesti misurati, entriamo nella dimora dell'umile realtà, senza apparizioni, senza suggestioni, senza evocazioni diaboliche o misteri isiaci. La bontà in quel racconto è semplice e pacata, l'eroismo senza enfasi, la scelleraggine va per la sua strada, come accade nella vita, con parole brevi e gesti risoluti e il patetico della passione non è mai così intenso che nasconda o trasfiguri l'inferma natura, umana sotto apparenze angeliche o demoniache. Il libro manzoniano è il meno c romantico » dei romanzi; e appunto perchò è fuori del suo tempo, il tempo non gli nuoce. La simpatia tenace degli uomini si volge alla natura umana, e quanto più lo sguardo dell'artista sa penetrare nel profondo della nostra natura e quanto più rena e pacata è la rappresentazione che la sua arte ha saputo darci di quella esperienza morale, tanto più profonda e duratura è la vita poetica del libro. Quando il Manzoni ideò il romanzo il suo pensiero tornava da un viaggio spirituale ben più lontano che non fosse il vagare per lande brumose, per reggie o castelli in compagnia di Walter Scott; per cupe foreste o su mari selvaggi insieme ai banditi dello Schiller o del Byron. Il suo concetto della natura umana si era formato su esperienze che non ammettevano le povere illusioni su cui si reggeva l'iperbolico e declamatorio ottimismo di molti poeti romantici. Adolescente, aveva creduto con entusiasmo nella ragione, nella scienza, nella palingenesi morale e sociale annunciata dalla democrazia, e visto poi la livida marea rivoluzionaria, frangendosi contro i granito della realtà, non lasciare sul le rive della Storia che rottami insanguinati, e sulla superfi.ee della società sconvolta la cinica prepotenza dei nuovi ricchi. Poi, converti tosi al cattoliciamo, aveva vissuto e sofferto, per così dire, l'aspetto più drammatico del cristianesimo, la sua morale severa, il suo senso tragico della rinuncia e del sacrificio; i doveri che esso impone e il conflitto incessante tra.questi doveri e l'istinto, tra questi doveri e le convenzioni, lè transazioni, gli accomodamenti che la convivenza sociale impone. Voltosi a considerare con animo di poeta e di cristiano lo spettacolo della Storia, cioè dei modi e delle forme con cui l'uomo ha saputo attuare la sua umanità nel tempo, aveva rilevato, con dolore il contrasto tra le opere e le parole, tra le dottrine e le azioni, e come i migliori siano come disarmati dalla loro stessa sincerità e predestinati a soccombere nella lotta contro il male. Di qui uno sgomento accorato e quasi la tentazione di rinunciare alla lotta, e di invocare con desiderio la fine, cui aveva potuto resistere solo tornando con maggior umiltà al Vangelo e riscaldando il suo cuore nel pensiero di una Provvidenza indefettibile. Tali pensieri si ritrovano nel romanzo; ne sono il-substrato e quasi il midollo spirituale; ma non, in forma dimostrativa e moraleggianti, bensì diffusi e scorrenti come linfa per ogni vena dell'albero poetico. Quei casi così semplici e così comuni (a quel tempo o in ogni tempo) sono un aneddoto di cronaca lombarda del secolo decimosettimo, e insieme af¬ fermano veliti morali, che non oserei dire universali ed eterne, ma che sono valide certamente per ogni uomo formatosi nella civiltà europea e cristiana; quei personaggi, umili o alti, delineati con mano così ferma e con particolari così realistici hanno in sé quelle forze contradditorie, quel miscuglio di bene o di male, che ciascuno di noi riconosco in so, quando è sincero anche verso se stesso, e che sentiamo inerenti all'umana natura; quelle parole così naturali e adeguate all'indole, all'educazione, alla condizione di chi parla, hanno spesso una risonanza morale tanto profonda che ci fa lungamente pensosi; quel sorriso indulgente e malizioso che lampeggia talvolta sulla teatralità delle passioni e ce ne ri¬ corda l'originario e meschino egoismo, ci rammenta, senza offenderci troppo aspramente, la duplicità della nostra natura. Ora gli uomini possono fugacemente inebbriarsi del successo e della potenza 6Ìno a credersi « simili agli Iddìi »; possono anche abbandonarsi e avvilirsi sino a gridare d'esser bestie, coma Vanni Fucci; ma sono brevi demenze; quando il buon senso risorge essi ternano sempre volontieri a meditare su libri come i Promessi Sposi cho ci ricordano tutta l'infermità morale della nostra natura, ma senza toglierci la speranza dall'altezza ; che ci mostrano la cima, ma senza dissimulare quanto sia lungo,_ difficile, penoso lo sforzo per conquistarla. ALFREDO GALLETTI,

Luoghi citati: Euripide, Europa, Inghilterra